lunedì 20 luglio 2015

I MAFIOSI CI IMPOVERISCONO. 
ANCHE A TAVOLA

Se i prezzi di generi alimentari - frutta e verdura in primis - aumentano, è (anche) colpa delle mafie.
Nostrane.

"E' di palmare evidenza che la perpetrazione di attività estorsive in danno di imprenditori operanti sul territorio rappresenta grave e concreto pregiudizio alla libertà di iniziativa economica privata, allo sviluppo delle attività economiche di interesse della locale imprenditorialità,  a una promozione adeguata della dignità e della libertà dell'imprenditore, condizione indispensabile per il proseguimento attraverso l'iniziativa economica privata anche di un'utilità sociale. E' altrettanto di palmare evidenza che la perpetrazione di estorsioni in territorio nisseno nell'ambito di una programmata e sistematica attività delittuosa riconducibile a organizzazioni criminali solide e durature, oltre a creare pregiudizio al singolo imprenditore estorto, determina un'immediata ricaduta sulle condizioni in cui tutti gli altri imprenditori potranno operare e stabilizza costi impropri e rischi gravi che possono comprimere illegalmente le libertà sancite dall'articolo 41 della Costituzione"


"L'imposizione del pizzo da parte di due cosche mafiose in accordo tra loro e la connessa pretesa di mantenere quote di mercato in favore di imprenditori ritenuti affidabili perché certamente remissivi alle richieste estorsive sono fatti che compromettono la libertà degli operatori economici, la trasparenza e la competitività del mercato"

Dagli atti dell'operazione "Odessa" eseguita nel novembre 2005 su ordine del Gip di Caltanissetta Giovanbattista Tona (41 arrestati).

domenica 19 luglio 2015

AVERE IL CORAGGIO DI ESSERE LIBERI
(di fatto non solo a parole)

Libero Grassi (1924-1991)
"La <<Sigma>> è un'azienda sana, a conduzione familiare. 
Da anni produciamo biancheria da uomo: pigiami, boxer, slip e vestaglie di target medio-alto che esportiamo in tutta Europa. 
Abbiamo 100 addetti: 90 donne e 10 uomini. 
Il nostro giro d'affari è pari a 7 miliardi annui. 
Evidentemente è stato proprio l'ottimo stato di salute dell'impresa ad attirare la loro attenzione. 
La prima volta mi chiesero i soldi per i <<poveri amici carcerati>>, i <<picciotti chiusi all'Ucciardone>>.
Quello fu il primissimo contatto. 
Dissi subito di no.
Mi rifiutai di pagare. 
Così iniziarono le telefonate minatorie: <<Attento al magazzino>>, <<guardati tuo figlio>>, <<attento a te>>. 
Il mio interlocutore si presentava come il geometra Anzalone, voleva parlare con me. 
Gli risposi di non disturbarsi a telefonare. 
Minacciava di incendiare il laboratorio. 
Non avendo intenzione di pagare una tangente alla mafia, decisi di denunciarli. 
Il 10 gennaio 1991 scrissi una lettera al <<Giornale di Sicilia>> che iniziava così: <<Caro estortore...>>. 
La mattina successiva qui in fabbrica c'erano dei carabinieri, dieci televisioni e un mucchio di giornalisti. 
A polizia e carabinieri consegnai 4 chiavi dell'azienda chiedendo loro protezione. 
Mentre la fabbrica era sorvegliata dalla polizia entrarono due tipi strani. 
Dissero di essere <<ispettori di sanità>>. 
Fuori però c'era l'auto della polizia e avevano grande premura. 
Volevano parlare a tutti i costi con il titolare. 
Scesi e dissi loro che il titolare riceve solo per appuntamento e al momento era impegnato in una riunione. 
Se ne andarono. 
Li descrissi alla polizia e loro si accorsero che altri imprenditori avevano fornito le medesime descrizioni. 
Gli esattori del <<pizzo>>, i due che indifferentemente si facevano chiamare geometra Anzalone, altri non erano che i fratelli gemelli Antonio e Gaetano Avitabile, 26 anni. 
Furono arrestati il 19 marzo insieme ad un complice. 
Una bella soddisfazione per me, ma anche qualche delusione; il presidente provinciale dell'Associazione industriali, Salvatore Cozzo, dichiarò che avevo fatto troppo chiasso. 
Una <<tamurriata>> come si dice qui. 
E questo, detto dal rappresentante della Confindustria palermitana, mi ha ferito. 
Infatti dovrebbero essere proprio le associazioni a proteggere gli imprenditori. 
Come? È facile. 
Si potrebbero fare delle assicurazioni collettive. 
Così, anche se la mafia minaccia di dar fuoco al magazzino si può rispondere picche. 
Ma anche a queste mie proposte il direttore dell'Associazione industriali di Palermo, dottor Viola, ha detto no, sostenendo che costerebbe troppo. 
Non credo però si tratti di un problema finanziario, è necessaria una volontà politica. 
L'unico sostegno alla mia azione, a parte le forze di polizia, è venuta dalla Confesercenti palermitana. 
Devo dire di aver molto apprezzato l'iniziativa SoS Commercio che va nella stessa direzione della mia denuncia. 
Spero solo che la mia denuncia abbia dimostrato ad altri imprenditori siciliani che ci si può ribellare. 
Non ho mai avuto paura ed ora mi sento garantito da ciò che ho fatto. 
La decisione scandalosa del giudice istruttore di Catania, Luigi Russo (del 4 aprile 1991) che ha stabilito con una sentenza che non è reato pagare la <<protezione>> ai boss mafiosi, è sconvolgente. 
In questo modo infatti è stato legittimato con il verdetto dello Stato il pagamento delle tangenti. 
Così come la resa delle istituzioni e le collusioni. 
Proprio ora che qualcosa si stava muovendo per il verso giusto. 
Stabilire che in Sicilia non è reato pagare la mafia è ancora più scandaloso delle scarcerazioni dei boss.
Ormai nessuno è più colpevole di niente. 
Anzi, la sentenza del giudice Russo suggerisce agli imprenditori un vero e proprio modello di comportamento; e cioè, pagate i mafiosi. 
E quelli che come me hanno invece cercato di ribellarsi? 
Ora più che mai le Associazioni imprenditoriali che non si impegnano sinceramente su questo fronte vanno messe con le spalle al muro. 
La risposta infatti deve essere collettiva per spersonalizzare al massimo la vicenda"

Libero Grassi, lettera pubblicata sul "Corriere della Sera" il 30 agosto 1991 (il giorno successivo al suo omicidio).



Libero Grassi
"Caro estortore
Volevo avvertire il nostro ignoto estortore di risparmiare le telefonate dal tono minaccioso e le spese per l'acquisto di micce, bombe e proiettili, in quanto non siamo disponibili a dare contributi e ci siamo messi sotto la protezione della polizia.
Ho costruito questa fabbrica con le mie mani, lavoro da una vita e non intendo chiudere. 
Anche mio figlio, Davide, che dirige l’azienda al mio fianco, la pensa come me.
Se paghiamo i cinquanta milioni, torneranno poi alla carica chiedendoci altri soldi, una retta mensile, saremmo destinati a chiudere bottega in poco tempo. 
Per questo abbiamo detto no al <<geometra Anzalone>> [nominativo con il quale si presenta l'estortore di Cosa Nostra al telefono, N.d.A.] e diremo no a tutti quelli come lui"

"Io considero l'estorsione la madre di tutti i crimini, perché stabilisce un consolidamento della manodopera mafiosa sul territorio. 
Praticamente tu ti paghi, ti vai a pagare la criminalità, non la protezione. La criminalità del territorio. In forma stabile. 
Questa criminalità ovviamente poi è disposta e diventa arma d’uso dai livelli più alti.
[…] Ognuno, ogni istituzione, ogni industria, ogni individuo, ogni associazione deve prendere posizione su questa vicenda e non rimanere sul piano dell’ambiguità. 
Non è interessante quello che faccia lo Stato. Lo Stato deve fare il suo compito, già evidentemente definito.
Quello che è interessante – e credo che dobbiamo fare – è importante, è che noi da siciliani risolviamo noi questo problema con un atteggiamento preciso e dichiarato.
[…] Sono le associazioni e le istituzioni, in fondo, che debbono dire all'imprenditore: <<Tu puoi lavorare perché noi ti diamo le condizioni per lavorare>>. Che sono: la tranquillità, l’ambiente e la disponibilità al fare. Queste sono le condizioni per cui l’imprenditore può lavorare.
[…] Noi abbiamo bisogno della tranquillità ambientale. 
Né la connivenza, né la collusione. 
Perché io personalmente a questo non ci sto! 
Se gli altri ci vogliono stare, alla fine lo dichiarano, come l’hanno dichiarato. 
Un magistrato ha detto, in fondo, che se si vuole fare il manager industriale in Sicilia bisogna mettersi il cuore in pace e mettersi d’accordo prima con la mafia o insieme con la mafia. 
Questa è la condizione. 
Evidentemente a questa condizione, quando si oppone la cittadinanza, un dovere civico, le autorità, le istituzioni, queste sono le maniere per cui le condizioni cambiano. 
Poi, se le condizioni cambiano e c’è una dichiarazione in questo senso, io ci sto; sennò, non ci sto! 
Siccome io non ho paura, non voglio essere né connivente, né colluso…
[…] I contatti con la mafia avvengono tutti i giorni, normalmente, in tutti i posti. 
[…] La mafia è il maggiore interlocutore politico perchè assicura i voti di preferenza; 
il maggiore interlocutore amministrativo perchè è presente, attraverso sempre la scala delle preferenze nei partiti, nei consigli di amministrazione e nelle associazioni importanti; 
è il maggiore interlocutore finanziario, perchè ha i soldi. 
Io questo che sto dicendo a Lei l’ho detto al Tg1 che – purtroppo - questo pezzettino, poi lo ha tagliato. Forse, evidentemente, per ragioni di tempo.
Non si aspetti di trovare il mafioso a cavallo col cappello storto, perchè questo è folklore. 
Il mafioso è un fatto, come anche in Italia avviene alla Banca Nazionale del Lavoro, che ci sono tremila miliardi, di cui nessuno si è accorto, quella sera non hanno controllato il fondo cassa se era giusto o non era giusto. 
Ci sono vicende che per avere una raffigurazione che Lei mi chiede: <<Chi è il mafioso?>>. 
Il mafioso – Le rispondo - è chi non vede che mancano tremila miliardi dalla cassa. 
Oppure chi è ucciso perchè non ha rispettato la tangente, il gruppo, eccetera eccetera. 
In fondo quello che è stato ucciso era il Direttore Generale delle Ferrovie"



"... il primato della legge, il primato della politica, il primato della morale.
Ma c’è un primato superiore: quello della qualità del consenso. 
La formazione del consenso, che poi è l’arma della mafia. 
La prima cosa che controlla la mafia - cosa d’altra parte facile a trovarne una soluzione -  è il voto. 
La qualità del consenso. 
A una cattiva raccolta di voti corrisponde una cattiva democrazia. 
I valori morali sono transeunti, si formano, sono contemporanei. 
Non c’è un valore morale, non c’è una legge valida per sempre. 
La legge la fanno i politici, la fanno buona, la fanno cattiva, relativa al consenso. 
Sempre. 
Se i politici hanno un cattivo consenso faranno delle cattive leggi. 
E allora noi dobbiamo curare la qualità del consenso. 
[...] Non mi piace pagare, perchè è una rinuncia alla mia dignità di imprenditore. 
Io divido le mie scelte con il mafioso. 
Questo è il vero fatto. 
Non è che io non abbia avuto avvicinamenti... [...] Non pago, preferisco stare nei miei affari.
[...] Se tutti si comportano come me, si distruggono gli estortori, non le industrie!
[...] Io è quarant'anni che ci vivo. Ancora non sono morto, la maggior parte dei miei anni lavorativi li ho fatti.
[...] Io è quarant'anni che faccio l'industriale in Sicilia e non sono andato mai a cena con Greco, con Marchese [cioè con i mafiosi, N.d.A.]. Io questa necessità estrema non l'ho avuta. [...] Non è detto che gli industriali di Catania debbano fare tutti gli affari, mandandoci in avanscoperta o per concedere i subappalti al mafioso. Ma chi l'ha detto? Rinunciano all'affare!" 



"Paura? E perchè? 
Non serve avere paura. 
La paura fa il gioco della mafia. 
Bisogna avere il coraggio di fare scelte precise, di decidere da che parte stare. 
E non farsi cogliere da sentimenti irrazionali. 
Oggi uccidermi è più difficile. 
Mi sono esposto con le denunce e ho reso la società responsabile della mia vita. 
No, il sistema mafioso non mi eliminerebbe. 
Lo farebbe piuttosto se mi cucissi la bocca, se fossi uno di loro"

Libero Grassi, "Giornale di Sicilia", 30 agosto 1991 (il giorno successivo al suo omicidio).


Libero Grassi è morto e continuerà ad esserlo se noi non ne facciamo vivere le passioni e gli ideali nelle nostre piccole e grandi esperienze.
Sfrattiamo dalle nostre menti l'indifferenza.
Scacciamo l'ignavia dai nostri cuori.
Impegniamoci, dunque!
Facciamo vivere Libero attraverso le nostre azioni, le nostre parole e i nostri pensieri quotidiani.
Dimostriamo concretamente e senza ipocrisie che lui vive - davvero - con noi e dentro di noi.
Facciamone memoria piena, autentica, pratica.
Evitiamo di mettere in atto la solita, stucchevole, retorica messa in scena utile solo a farci credere - illusi - che la nostra coscienza sia a posto.
Come oggi è il giorno in cui un bimbo di nome Libero è sbocciato alla vita, così il testamento morale che questi ci ha lasciato sbocci nella mente e nel cuore di ognuno di noi.
Già, perchè adesso tocca a noi.
Soltanto a noi.

sabato 18 luglio 2015

LO STATO IN CUI CREDO IO


"Diceva bene Paolo Borsellino che 
senza le loro capacità relazionali (più o meno stabili, più o meno occulte) 
le mafie sarebbero solo bande di criminali senza futuro 
(lo diceva pochi giorni prima di morire, nel luglio 1992). 
Diceva altrettanto bene che 
<<Politica e mafia sono due poteri che 
vivono sul controllo dello stesso territorio: 
o si fanno la guerra o si mettono d'accordo>>.
Lo Stato in cui credo io 
non stipula accordi con i sistemi criminali di tipo mafioso, 
mai e per nessuna ragione, 
quei sistemi li combatte, fino in fondo e senza paura"

Giuseppe Lombardo
sostituto procuratore della Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria, 
Reggio Calabria, 6 maggio 2015 



mercoledì 8 luglio 2015

CHI L'AVREBBE MAI DETTO? IO



La previsione legislativa secondo cui per poter prestare servizio civile occorre essere necessariamente cittadini italiani è "sfacciatamente discriminatoria (chi l’avrebbe mai detto?)"poichè il suo "sapore palesemente discriminatorio" ne costituisce l'essenza.
Questo è ciò che avevo scritto qui, sul mio blog, il 14 gennaio del 2012.

Ora, dopo la bellezza di 3.784 giorni dall'entrata in vigore della norma (1° gennaio 2005) e di 1.215 giorni dal mio post, anche la Corte Costituzionale ci è arrivata.
Con la decisione presa il 13 maggio scorso, infatti, la Consulta (Presidente Alessandro Criscuolo, Giudice relatore e redattore Giuliano Amato) ha stabilito che "l'esclusione dei cittadini stranieri, che risiedono regolarmente in Italia, dalle attività alle quali tali doveri [di solidarietà e impegno sociale, N.d.A.] si riconnettono appare di per sé irragionevole.
Inoltre, sotto un diverso profilo, l’estensione del servizio civile a finalità di solidarietà sociale, nonché l’inserimento in attività di cooperazione nazionale ed internazionale, di salvaguardia e tutela del patrimonio nazionale, concorrono a qualificarlo – oltre che come adempimento di un dovere di solidarietà – anche come un’opportunità di integrazione e di formazione alla cittadinanza.
[…] L'esclusione dei cittadini stranieri dalla possibilità di prestare il servizio civile nazionale, impedendo loro di concorrere a realizzare progetti di utilità sociale e, di conseguenza, di sviluppare il valore del servizio a favore del bene comune, comporta dunque un’ingiustificata limitazione al pieno sviluppo della persona e all'integrazione nella comunità di accoglienza" (sentenza 25 giugno 2015, n. 119. In vigore dal 2 luglio scorso, sei giorni fa).
Dunque, prevedere il requisito della cittadinanza italiana per essere ammessi al servizio civile è incostituzionale, dal momento che viola ben due principi fondamentali della Repubblica italiana: gli articoli 2 e 3 della nostra Carta.  

Chi l'avrebbe mai detto? Io.

P.S. L'unica amarezza personale che mi deriva dalla pronuncia della Corte è il dover constatare che Giuliano Amato sia d'accordo con me. Pazienza, non si può voler tutto nella vita... 

Aggiornamento del 9 luglio 2015
Il 1° luglio scorso - lo stesso giorno in cui sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana sono state pubblicate le motivazioni del suddetto verdetto della Consulta - il Capo del Dipartimento della Gioventù e del Servizio Civile Nazionale presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri (nominato da Matteo Renzi il 9 aprile 2014) ha emanato il "Bando di selezione per complessivi 985 volontari da impiegare in progetti di servizio civile nazionale in Italia di cui: 823 per l’accompagnamento dei grandi invalidi e dei ciechi civili; 150 relativi a progetti autofinanziati e 12 in un progetto approvato dalla Regione Siciliana".
Il giorno seguente - lo stesso da cui la norma dichiarata incostituzionale dalla Corte è abrogata - l'ASGI (Associazione Studi Giuridici sull'Immigrazione) ha inviato una lettera al Dipartimento per far (giustamente) notare che il bando, pur citando la sentenza n. 119/2015 della Consulta, la ignora.
Esso infatti esclude dalla possibilità di partecipare al servizio civile gli stranieri regolarmente soggiornanti in Italia che non possiedano uno dei permessi indicati nel bando stesso.
E - alla luce del verdetto della Corte - "tale esclusione risulta del tutto illegittima", commenta puntualmente l'ASGI.
Sarebbe bastato - prima di pubblicare il bando - leggere le motivazioni della pronuncia della Consulta.
Se alla Presidenza del Consiglio l'avessero fatto, avrebbero compreso facilmente che il criterio costituzionalmente legittimo per stabilire l'ammissibilità alla selezione del servizio civile non è la cittadinanza o alcune tipologie di permessi, ma - più in generale - la regolare residenza.
Qualora si voglia rispettare la Costituzione - invece di violentarla in continuazione - devono semplicemente essere inclusi tutti coloro che - italiani o stranieri - risiedano in maniera regolare nel nostro Paese (e non limitare l'ammissione ad alcune categorie di individui, a seconda della loro cittadinanza o del titolo di soggiorno).
Per caso, non è che quegli 823 ragazzi chiamati ad accompagnare persone invalide e cieche potrebbero svolgere il proprio servizio civile direttamente alla Presidenza del Consiglio dei Ministri?