... PER LA LEGALITA' E LA GIUSTIZIA!
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Paolo Borsellino (1940-1992) |
"Non amo [...], quando mi incontro con gli studenti, parlare di mafia o parlare di mafia come spesso coloro che mi ascoltano si aspettano, cioè di fatti inerenti alla criminalità mafiosa dei quali per ragioni professionali mi son dovuto occupare. Perchè mi sembra estremamente più importante, quando si parla con degli studenti, scandagliare quali sono le ragioni di fondo (culturali, economico-sociali) per cui non solo esiste questo fenomeno [...], ma quali sono le ragioni culturali e socio-economiche per le quali questo fenomeno è o sembra così invincibile, nonostante l'impegno di tanti magistrati e tante forze dell'ordine, nonostante tanta attenzione che va crescendo nell'opinione pubblica.
Quindi io vorrei brevemente accennare a queste ragioni, per la parte che spero possa più interessare una popolazione studentesca [...].
Vorrei cominciare dicendo che, in un tempio della cultura qual è la scuola, non si può soprattutto non parlare di quella che io chiamo <<la cultura della legalità>>, una cosa che probabilmente a scuola si insegna molto poco, sulla quale ci si sofferma molto poco, ma che mi sembra estremamente importante.
Che cosa io intendo per <<cultura della legalità>>?
Intendo sapere e recepire appieno che cosa sono le leggi e perchè le leggi debbono essere osservate.
Le leggi [...] sono dei comandi e dei divieti che dà lo Stato, comandi e divieti che normalmente prescrivono certe attività o vietano certe attività, che normalmente sono accompagnate dalla cosiddetta sanzione.
Cioè, se si compie un'azione che lo Stato proibisce o se non si compie un'azione che lo Stato impone, lo Stato impone una sanzione e, a seconda del tipo di sanzione che lo Stato impone, le leggi si distinguono in leggi penali o in leggi civili.
[...] Cioè, tanto per fare un esempio, se io costruisco una casa aprendo una finestra sul fondo del vicino, poichè questa azione è proibita dalla legge - ovvero bisogna osservare certe distanze, non si può andare a guardare dappresso nel fondo del vicino - lo Stato impone una sanzione, una sanzione civile, cioè il vicino può costringermi a farmi chiudere questa finestra.
Se io, nonostante lo Stato mi impedisca di uccidere, per fare l'esempio del delitto più grave, uccido il mio prossimo, lo Stato mi punisce con una determinata pena da 21 a 24 anni di galera, o ancora di più se ci sono delle aggravanti.
E allora verrebbe fatto di pensare che le leggi vengono osservate soprattutto perchè, se non si osservano, ci sono queste sanzioni, sia penali (se si tratta di leggi penali), sia civili (se si tratta di leggi civili).
Ma non è vero.
Perchè le leggi non vengono osservate dalla maggior parte della popolazione perchè, nel caso in cui non venissero osservate, si rischia di sottostare alla sanzione stabilita; le leggi, la maggior parte della popolazione le osserva o dovrebbe osservarle perchè acconsente a esse, cioè ritiene che si tratti di comandi o divieti giusti.
La maggior parte di noi non apre finestre sul fondo del vicino, non fa sorpassi in curva per strada, non uccide, non ruba, non perchè teme che - violando queste leggi - possa incorrere in una sanzione, ma osserva queste leggi perchè ritiene che sia giusto non aprire le finestre sul fondo del vicino, non uccidere, non sorpassare in curva [...]. Perchè altrimenti, se così non fosse, se le leggi non fossero osservate soprattutto perchè i vari cittadini consentono a esse, cioè ritengono giusto e doveroso quel divieto, be', non basterebbero tanti carabinieri quanti sono i cittadini della Repubblica italiana, perchè ce ne vorrebbe almeno uno per ogni persona, per sorvegliarla e saltarle addosso non appena commette il divieto.
Voi sapete che la maggior parte della popolazione osserva le leggi perchè sente di doverle osservare, non perchè teme il divieto.
Ma è chiaro che, tanto più queste leggi vengono osservate, quanto più si ritiene che le leggi siano giuste.
Cioè quanto più il cittadino tende a identificarsi con le Istituzioni, tanto più il cittadino si sente partecipe, parte integrante dello Stato, del Comune, della Provincia, della Regione, cioè di quell'organo che emana queste leggi.
Perchè, quanto più invece comincia per una qualsiasi ragione a ritenersi estraneo a queste Istituzioni, tanto più o tanto meno osserverà i comandi che da queste Istituzioni promanano, e allora ci vorranno sanzioni più forti.
Questo è quello che per ragioni storiche è avvenuto nella gran parte del Meridione d'Italia e soprattutto in Sicilia, perchè proprio lì, per una vicenda storica o socio-economica che si chiama grosso modo <<questione meridionale>>, il cittadino del Meridione si è sentito lontano, si è sentito estraneo allo Stato. Conseguentemente l'impulso istintivo di osservare le leggi non è stato mai sentito pesantemente, ecco perchè in queste regioni, soprattutto nelle più grosse regioni meridionali quali la Campania, la Calabria e la Sicilia, si sono create queste situazioni generalizzate di disaffezione alla legge, di non osservanza della legge che, con varie articolazioni, sia in Sicilia, sia in Calabria, sia in Campania, hanno provocato il sorgere nella storia del fenomeno di queste grosse organizzazioni criminali.
Perchè?
Perchè ci sono dei bisogni del cittadino che sono il bisogno di giustizia, il bisogno di sicurezza - il bisogno di sicurezza sia dal punto di vista civile, sia dal punto di vista economico - che il cittadino chiede naturalmente che gli vengano assicurati da un'istituzione sovrapersonale quale è lo Stato, inteso in tutte le sue articolazioni: Stato, Comune, Provincia, eccetera. Quando ritiene che non gli vengano assicurati, quando non si identifica, quando non ha fiducia nelle pubbliche Istituzioni, cerca naturalmente di trovare dei surrogati a queste esigenze.
Vi faccio qualche esempio, probabilmente più facile da capire.
Se il cittadino vuole reagire a un danno subito, per esempio uno scippo o una rapina, e ha la sensazione che le Istituzioni non gli assicurino una risposta a questo danno che ha subito, se c'è un'organizzazione la quale, sostanzialmente e apparentemente, tende a presentarsi come un'organizzazione in grado di fargli recuperare la refurtiva o impedire che per le strade avvengano le rapine, si rivolge a queste organizzazioni. Questa è una delle ragioni per le quali queste organizzazioni criminali riescono a trovare addirittura un grosso consenso nella popolazione, cioè quel consenso che invece dovrebbe essere rettamente indirizzato verso le Istituzioni pubbliche e lo Stato.
Se passiamo più specificamente al campo che più vi interessa - questo mi sembra che sia un istituto che si occupa del commercio - è chiaro che nella vita ordinaria, civile, economica di ogni cittadino, regolata dal libero mercato, è chiaro che i vari contraenti - siano essi imprenditori, siano essi industriali, siano essi soggetti economici in genere - hanno bisogno naturalmente per le loro contrattazioni di una fiducia, di quella che io vorrei chiamare fiducia, cioè la fiducia di poter svolgere liberamente la contrattazione con il proprio contraente, il quale rispetterà i patti, pagherà quel determinato prezzo che io gli ho imposto, che abbiamo concordato per la vendita.
Se io ho un'industria, ho bisogno che mi si assicuri intorno la fiducia, cioè che io possa trattare con i miei operai a determinate condizioni, senza che queste condizioni vengano rotte o non vengano rispettate una volta che i patti vengono firmati.
Questa fiducia chi la deve assicurare?
La fiducia chiaramente la deve assicurare lo Stato, sia garantendo le generali condizioni perchè le contrattazioni private si possano svolgere in un clima di reciproca fiducia, sia intervenendo allorchè da queste contrattazioni nascano delle controversie, intervenendo cioè con l'amministrazione giudiziaria per risolvere queste controversie. Se il mio vicino, il mio contraente, non mi paga, io devo essere in condizione di rivolgermi a un giudice che lo condanni a pagare e che mi assicuri la possibilità di riprendermi quello che gli ho dato, di eseguire le esecuzioni immobiliari, pignoramenti e così via.
Quando tutte queste cose non funzionano, cioè quando questo clima di reciproca fiducia non viene assicurato dallo Stato, non funzionano perchè la società civile non è ben vigilata dalla presenza pesante dello Stato; quando nel caso di controversie nascenti tra le parti lo Stato, con un'amministrazione della giustizia che è allo sfascio e che è inefficiente, non assicura la possibilità di risolvere pacificamente queste libere contrattazioni, allora, se esiste, se storicamente si è formata un'organizzazione criminale in grado di assicurare qualcosa del genere, un surrogato di questa fiducia che lo Stato deve poter assicurare fra tutti i cittadini, ecco che queste organizzazioni traggono forza, perchè un surrogato di questa fiducia l'organizzazione criminale di tipo mafioso riesce ad assicurarlo. Riesce ad assicurarlo - nel momento in cui il mio vicino non mi paga - perchè opera questa minaccia per cui, se io mi rivolgo a loro, se i cittadini si rivolgono a loro, nelle popolazioni meridionali si ha la possibilità di recuperare un debito che la giustizia non mi può far recuperare presto, dato che una causa civile dura 10, 20 anni.
Viceversa, io posso rivolgermi a taluno al quale pagherò una tangente, un pizzo; in realtà mi dà un servizio, mi protegge, nel senso che mi assicura che la mia fabbrica non sarà oggetto di attentati o non mi faranno ruberie o qualcosa del genere.
Cioè la mafia nasce, si presenta, come qualcosa che assicura questi servizi.
Naturalmente questi servizi non li può presentare a tutti, perchè per dare a uno deve togliere all'altro.
Mentre la fiducia che lo Stato dovrebbe garantire riguarda imparzialmente tutti i cittadini, la fiducia che distribuiscono le organizzazioni criminali è una fiducia a somma algebrica zero, perchè, per fare il vantaggio di uno, le organizzazioni criminali devono fare necessariamente lo svantaggio dell'altro.
La vera essenza della mafia è questa.
E' quando, per scendere ancora più nel particolare, il cittadino ritiene talmente inaffidabile la Pubblica Amministrazione che non la ritiene sostanzialmente affidabile nel momento in cui distribuisce le commesse, gli appalti pubblici eccetera, cioè in quella distribuzione di ricchezza che purtroppo nel Meridione è molto più ampia della produzione di ricchezza.
Nel Meridione soprattutto si distribuiscono risorse piuttosto che creare risorse.
Però quando lo Stato non si presenta con la faccia pulita, tale da assicurare l'imparziale distribuzione di queste risorse, allora ecco che lo Stato spesso diventa il veicolo in cui si inserisce l'organizzazione criminale rivolgendosi alla quale si ha quantomeno la speranza di riuscire ad accaparrare quella commessa, quell'appalto pubblico, quella possibilità di lucrare sulla distribuzione di risorse pubbliche.
Ed ecco perchè queste organizzazioni criminali hanno sempre cercato di inserirsi nel mondo del potere politico, nel potere burocratico: per avere le leve per inserirsi in questi ambiti di distribuzione della ricchezza. Quindi è errato pensare che la mafia sia soltanto un supporto, una conseguenza del mancato benessere economico, tant'è che da taluni si sono sostenuti tipi di intervento quali: più soldi diamo più possibilità di lavoro diamo, più risorse dispensiamo allora in questo modo...
Eh no, in realtà lo Stato ha sì il dovere di intervenire dove vi sono sacche di disoccupazione, sacche di miseria, sacche di emarginazione, ma quando interverrà in modo tale da non riuscire a captare la fiducia dei cittadini sulla imparziale ed equa distribuzione di queste risorse, le organizzazioni criminali da questo profluvio di risorse in più si inseriranno per poter meglio lucrare.
Pensate soltanto - l'avete probabilmente letto sui giornali - a quello che è avvenuto in Irpinia [...] in riferimento alla ricostruzione del dopo terremoto. E' stata una torta meravigliosa messa a disposizione di una di queste organizzazioni, che si chiama camorra, la quale non soltanto si è accaparrata gran parte delle risorse, in più si sono scannati uno con l'altro per vedere come meglio si doveva distribuire tra loro delinquenti.
La vera essenza, la vera causa di resistenza delle organizzazioni mafiose è questa.
[...] Se queste sono le ragioni di fondo del pericolo e della persistenza dell'attività mafiosa, non illudiamoci che le azioni giudiziarie, per quanto penetranti, possano fare piazza pulita della mafia.
Si potrà accertare l'esistenza di quello o di quell'altro mafioso, raggiungere le prove, condannarlo, ma se non si incide a fondo sulle cause che generano la mafia è chiaro che la sua pericolosità... è chiaro che ce la ritroveremo davanti così come era prima.
Tutti abbiamo assistito al grande clamore che si è fatto attorno al maxiprocesso di Palermo. Finito il maxiprocesso, si è cominciato punto e daccapo. Ma è evidente, poichè, quando un'azione è soltanto giudiziaria - e così soltanto poteva essere quella della magistratura e della polizia - e non incide sulle cause di fondo del fenomeno, è chiaro che ce la saremmo dovuti ritrovare davanti, così come ce la siamo ritrovata.
La verità è che vi è stata una delega inammissibile a magistrati e polizia di occuparsi essi solo della mafia, e lo Stato non ha fatto sostanzialmente nulla; non ha fatto nulla perchè non aveva un'amministrazione della giustizia efficiente in senso soprattutto civile, a cui il cittadino si potesse rivolgere quando doveva risolvere i suoi problemi.
Noi sappiamo il grande sfascio che c'è nella giustizia soprattutto civile in Italia, non è possibile fare una causa e concludere in tempi minori di 10 anni o 12 anni.
[Lo Stato, N.d.A.] non ha fatto nulla per dare alle pubbliche amministrazioni, soprattutto a quelle locali, mi riferisco al Meridione, ma ci sono grossi problemi del genere anche in tutte le altre parti d'Italia...
Per dare un'immagine credibile, il Presidente della Regione siciliana [il democristiano Rino Nicolosi, N.d.A.], poche settimane fa, ha dichiarato che le Usl, cioè le Unità Sanitarie Locali siciliane, subiscono e non resistono a grossissime pressioni mafiose. Addirittura nella formazione degli esecutivi: sostanzialmente i mafiosi si sono inseriti pesantemente anche lì, perchè le Usl oggi amministrano enormi quantità di denaro per quello che dovrebbe essere l'adempimento delle condizioni di salute di tutti i cittadini, che si disperdono in mille rivoli creando anch'esse una sanità allo sfascio.
Che cosa si è fatto per dare allo Stato, in queste regioni e comunque dappertutto in Italia, un'immagine credibile? Si è fatto ben poco...
In Sicilia è soprattutto accentuata con riferimento alla mancanza di credibilità degli enti locali, quelli che stanno più a diretto contatto con il cittadino. Come enti locali mi riferisco al sindaco, mi riferisco ai prefetti, alle Unità Sanitarie Locali, ai vari enti, alle varie aziende che agiscono negli enti locali, che sono quelli che il cittadino vede.
C'è questa mancanza di credibilità.
In realtà c'è in gran parte anche del resto d'Italia e siccome la mafia, forte oggi della potenza economica enorme che ha per il traffico di sostanze stupefacenti, tende a operare in qualsiasi parte delle regioni italiane, ecco che questo diventa un problema di tutti.
E diventa un problema di tutti non gridando che il giudice deve arrestare più persone o la polizia deve presidiare più [...], perchè la vera soluzione sta nell'invocare, nel lavorare affinchè lo Stato diventi più credibile, perchè noi ci dobbiamo identificare di più in queste Istituzioni.
[...] Non si tratta di un fenomeno di facile o immediata risoluzione.
La criminalità si può contenere, ma non fare scomparire del tutto.
E' un dato storico ormai accettato, ma la soluzione che io auspico è riuscire a non avere più questa pericolosissima forma di criminalità la cui caratteristica principale sta proprio nel confondersi e stravolgere il senso vero delle Istituzioni statali.
[...] Io non mi sento protetto dallo Stato perchè oggi la lotta alla criminalità mafiosa viene sostanzialmente delegata soltanto alla magistratura e alle forze dell'ordine, e si ritiene che sia un fatto esclusivamente di natura giudiziaria, mentre un fatto esclusivamente di natura giudiziaria non è.
Come dicevo prima, se non si incide sulle cause profonde di questo particolare fenomeno criminale ce lo ritroveremo sempre davanti.
Questa delega lasciata soprattutto a magistratura e forze dell'ordine cosa ha provocato?
Ha provocato una sovraesposizione di magistratura e forze dell'ordine.
Cioè, nella mentalità del criminale è chiaro che eliminare il magistrato che si occupa di mafia o il poliziotto che si occupa di mafia significa eliminare l'unico nemico. E in questo il magistrato e l'appartenente alle forze dell'ordine si trova eccessivamente sovraesposto e quindi poco protetto.
E non sono chiacchiere, perchè se noi facciamo il conto di quanti magistrati e di quanti poliziotti sono stati uccisi dall''80 ma anche prima - si cominciò nel 1970, con il primo delitto eccellente - il numero diventa incredibile. [...] Ed è chiaro, non erano protetti loro e non è protetto nessuno che si occupa di queste organizzazioni mafiose. [...] E questa sovraesposizione è sicuramente intollerabile perchè c'è chi reagisce o chi ritiene che, nonostante questa sovraesposizione, debba continuare a operare come operava prima. Ma c'è anche chi ovviamente può trovare estreme remore alò proprio lavoro e ha una situazione o sensazione di pericolo in cui si può trovare.
Nonostante debba dire che, almeno in Sicilia, ma credo che sia avvenuto così in tutte le altre parti d'Italia, non è mai capitato che per l'uccisione di un giudice o di un poliziotto si siano fermate o si siano bloccate le indagini, perchè se n'è trovato sempre un altro che prendeva il suo posto.
Ciò nonostante, se noi proviamo a immaginarci che cosa sarebbe oggi l'efficienza delle forze di polizia e della magistratura in Sicilia se fosse ancora in vita il procuratore Gaetano Costa, se fosse ancora in vita Rocco Chinnici, se fosse ancora in vita nella polizia Ninni Cassarà, se fosse ancora in vita nei carabinieri il capitano Basile o il giudice Cesare Terranova, se noi proviamo a immaginarci che cosa ha significato azzerare questa massa enorme di esperienze e di capacità investigative e di volontà di lavoro, se noi proviamo a immaginare questo, dobbiamo trarre purtroppo la negativa conseguenza che la mafia in questi casi ha colto bene nel segno.
[...] Coloro che cominciarono a interessarsi di questi problemi non è che raccolsero grossa solidarietà all'interno del Palazzo di giustizia, perchè si riteneva che fossero un po' dei fanatici o delle persone che si volevano interessare di una cosa che tanto andrà sempre così ed è inutile metterci mano.
Poi questa indifferenza in gran parte...
Si parla di un procuratore generale che avrebbe chiamato il giudice Chinnici e avrebbe detto: <<Guarda, riempi il collega Falcone di piccoli processi di rapina, così finisce di rompere le scatole e occuparsi di problemi di mafia>>.
Questo è scritto [...] nel diario [di Rocco Chinnici, N.d.A.]"
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Paolo Borsellino |
"[...] il consenso alle istituzioni alternative [a quelle dello Stato, N.d.A.] che può provocare singoli e anche diffusi vantaggi, si risolve sempre in profonda ingiustizia verso la generalità.
Perchè il consenso alle pubbliche istituzioni venga recuperato è anzitutto necessario che esse funzionino (non è la magistratura e la Polizia che possono assicurare la sconfitta della mafia: occorre la risposta globale dello Stato).
Ma occorre insieme che venga da parte di tutti recuperato il senso etico della vita, la consapevolezza che il benessere a vantaggio personale o familiare non può essere perseguito a scapito degli altri; che è questo l'imperativo morale principale del nostro tempo anche su scala planetaria.
Chi impersona le istituzioni deve essere imparziale ed efficiente distributore dei beni e dei servizi che è delegato ad amministrare (finirla con le occupazioni delle pubbliche istituzioni da parte dei partiti e dei gruppi e delle lobbies).
Chi dalle istituzioni (nelle quali deve riconoscersi) è amministrato, deve percepire come inderogabile il dovere morale di non perseguire il proprio vantaggio e quello del suo ristretto clan di appartenenza (famiglia, gruppo, nazione) cagionando contemporaneamente e necessariamente il danno degli altri consociati. [...] questa (risoluzione del problema morale)" è "la chiave di volta, l'unica strada perseguibile per difendere la società dal malaffare"
Paolo Borsellino, incontro-dibattito sul tema "La persona oggi di fronte alla nuova morale: nel sociale e nel privato (istituzioni, mass media, professionalità)" organizzato dal Direttivo della Sezione F.I.D.A.P.A. (Federazione Italiana Donne Arti Professioni Affari) di Mazara del Vallo (Trapani) presso l'Aula Consiliare S. Egidio, Mazara del Vallo, 31 maggio 1989.
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Paolo Borsellino |
"Non è che ci siano indizi che ci fanno pensare che il potere politico collabori con la mafia nel senso che noi giudici attribuiamo alla collaborazione nel reato. Perchè se questi indizi ci fossero è chiaro che ci sarebbe un numero estremamente ampio di politici incriminati. In realtà, un caso almeno rilevante c'è stato ed è quello che riguarda l'ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino. Non soltanto è stato accertato che questo signore era vicino e aveva delle cointeressenze con le organizzazioni mafiose, ma che addirittura era organico alla stessa mafia e aveva commesso quindi il reato di associazione mafiosa.
[...] Sono emersi dalle nostre indagini tutta una serie di rapporti fra esponenti politici e organizzazioni mafiose che nella requisitoria del maxiprocesso vennero chiamati <<contiguità>>.
Cioè delle situazioni di vicinanza o di comunanza di interessi che però non rendevano automaticamente il politico responsabile del delitto di associazione mafiosa. Perchè non basta fare la stessa strada per essere una staffetta. La stessa strada si può fare perchè in quel momento, almeno dal punto di vista strettamente giuridico, si trova conveniente fare convergere la propria attenzione sullo stesso interesse.
Questo non ci ha consentito, dal punto di vista giudiziario, di formulare imputazioni su politici.
Però stiamo attenti...
Vi è un accertamento rigoroso di carattere giudiziario che si esterna nella sentenza, nel provvedimento del giudice, e poi - successivamente - nella condanna, che non risolve tutta la realtà, la complessa realtà sociale.
Oltre ai giudizi del giudice esistono anche i giudizi politici, cioè le conseguenze che da certi fatti accertati trae o dovrebbe trarre il mondo politico.
Esistono anche i giudizi disciplinari.
Un burocrate, un alto burocrate dell'amministrazione che ad esempio abbia commesso dei favoritismi potrebbe non aver commesso automaticamente - perchè manca qualche elemento del reato - il reato di interesse privato in atto d'ufficio, ma potrebbe essere sottoposto a procedimento disciplinare perchè non ha agito nell'interesse della buona amministrazione.
Ora, l'equivoco su cui spesso si gioca è questo; si dice:
<<Quel politico era vicino al mafioso, quel politico è stato accusato di avere interessi convergenti con l'organizzazione mafiosa, però la magistratura non lo ha condannato, quindi quel politico è un uomo onesto>>.
E no!
Questo discorso non va perchè la magistratura può fare soltanto un accertamento di carattere giudiziale. Può dire:
<<Be', ci sono sospetti, ci sono sospetti anche gravi, ma io non ho la certezza giuridica, giudiziaria, che mi consente di dire che quest'uomo è mafioso>>.
Però siccome dalle indagini sono emersi tanti fatti del genere, altri organi, altri poteri, cioè i politici, cioè le organizzazioni disciplinari delle varie amministrazioni, cioè i consigli comunali o quello che sia, dovevano trarre le dovute conseguenze da certe vicinanze tra politici e mafiosi, che non costituivano reato, ma erano o rendevano comunque il politico inaffidabile nella gestione della cosa pubblica.
Questi giudizi non sono stati tratti perchè ci si è nascosti dietro lo <<schermo>> della sentenza, si è detto:
<<Questo tizio non è mai stato condannato, quindi è un uomo onesto>>.
Ma dimmi un poco, ma tu non ne conosci di gente che è disonesta, ma non è stata mai condannata perchè non ci sono le prove per condannarla, però c'è il grosso sospetto che dovrebbe, quantomeno, indurre soprattutto i partiti politici a fare grossa pulizia e non soltanto a essere onesti, ma apparire onesti, facendo pulizia al loro interno di tutti coloro che sono raggiunti da episodi o da fatti inquietanti, anche se non costituenti reato?"
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Paolo Borsellino |
"Io dico che singoli politici quando conoscono rapporti illeciti o immorali con singoli mafiosi hanno tutto l'interesse a tacere. Gli altri che sono fuori da questo intreccio nulla sanno.
Sono convinto che i rapporti tra mafia e politica ci siano.
E ne sono convinto non per gli esempi processuali (pochissimi), ma per un assunto logico.
E' l'essenza stessa della mafia che costringe l'organizzazione a cercare il contatto con il mondo politico.
Non ne può fare a meno.
La mafia tende ad esercitare una sovranità assoluta sul territorio e inevitabilmente è destinata ad entrare in contrasto con lo Stato che legittimamente impone la sua sovranità. Questo conflitto virtuale la mafia lo risolve con l'accordo condizionando, dall'interno, le istituzioni facendo eleggere uomini di sicuro affidamento. Che possono essere anche non mafiosi, ma devono garantire scelte nell'amministrazione pubblica che siano favorevoli all'organizzazione.
Ora questa è sociologia. Sul piano giuridico bisogna cercare le prove. E queste ce ne sono sempre state pochissime anche quando ci siamo illusi di essere prossimi a straordinari traguardi.
[...] A questa volontà del mondo politico [cioè la volontà di colpire nella direzione dei politici collusi con la mafia, N.d.A.] io non ho mai creduto"
Paolo Borsellino, intervista rilasciata a Giuseppe D'Avanzo pubblicata su "la Repubblica" del 14 settembre 1991, con il titolo "<<Ero nel pool antimafia, ora me la fanno pagare>>. E Borsellino si svegliò Insabbiatore...".
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Giovanni Falcone e Paolo Borsellino |
"Occorre dare un senso alla morte di Giovanni [Falcone, N.d.A.], della dolcissima Francesca [Morvillo, moglie di Falcone, N.d.A.], dei valorosi uomini della sua scorta.
Sono morti tutti per noi, per gli ingiusti, abbiamo un grande debito verso di loro e dobbiamo pagarlo gioiosamente, continuando la loro opera.
Facendo il nostro dovere;
rispettando le leggi, anche quelle che ci impongono sacrifici;
rifiutando di trarre dal sistema mafioso anche i benefici che possiamo trarne (anche gli aiuti, le raccomandazioni, i posti di lavoro);
collaborando con la giustizia;
testimoniando i valori in cui crediamo, in cui dobbiamo credere, anche dentro le aule di giustizia;
troncando immediatamente ogni legame di interesse, anche quelli che ci sembrano innocui, con qualsiasi persona portatrice di interessi mafiosi, grossi o piccoli;
accettando in pieno questa gravosa e bellissima eredità di spirito.
Dimostrando a noi stessi e al mondo che Falcone è vivo!"
Paolo Borsellino, veglia commemorativa delle vittime della strage di Capaci (Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Antonio Montinaro, Rocco Di Cillo, Vito Schifani), chiesa di S. Ernesto, Palermo, 23 giugno 1992.
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Paolo Borsellino insieme alla sua famiglia |
"Vivere nella legalità significa determinarsi nei propri comportamenti professionali, familiari e sociali con la convinta osservanza della legge.
Cioè determinandosi secondo normative comportamentali rispondenti a valori giuridici accettati.
Cosa deve intendersi per accettazione della norma (delle leggi)? [...] Perchè si osservano le leggi?
[...] La causa principale di osservanza delle leggi è il consenso che il destinatario del precetto presta al comando.
[...] E tanto più questo consenso è diffuso e convinto, quanto più il cittadino si riconosce nelle istituzioni da cui promanano questi comandi.
Quando questa cultura delle istituzioni è diffusa, l'osservanza delle leggi, la legalità nei comportamenti è spontanea e naturale poichè gli imperativi statuali vengono vissuti come imperativi personali a comportarsi così come il cittadino sente di dover comportarsi, a prescindere dalla minaccia della sanzione.
[...]
Cosa occorre fare
Rivoltarsi culturalmente e moralmente [...]: dove c'è cultura non c'è consenso per la mafia.
Isolamento della capacità di infiltrazione.
Come e perchè avviene l'infiltrazione (risoluzione del conflitto fra due diverse sovranità con l'inserimento all'interno delle istituzioni pubbliche <<in esso si ramificano e prosperano>>).
Come può essere evitata?
Profonde trasformazioni istituzionali (oltre che culturali).
Sconfitta della partitocrazia almeno così come oggi viene intesa.
Alleanza degli onesti.
Sacrifici degli onesti.
Ricerca dei diritti e non dei favori.
Consapevolezza della insufficienza della repressione.
Ognuno deve fare la sua parte"
Paolo Borsellino, incontro dal titolo "Legalità e ordinamenti giuridici paralleli" svoltosi a Paternò (Catania), 14 marzo 1992.
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Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e Antonino Caponnetto |
"Droga libera: espressione estremamente contraddittoria (termini inconciliabili) per l'uomo di legge e lo studioso di problemi inerenti al traffico e alla diffusione delle sost. stupefacenti.
Nei tempi moderni il consumo di massa della droga nasce come fatto di oppressione coloniale e bellica e continua come l'attività più intensa e pericolosa della criminalità organizzata.
La lotta alla droga è quindi storicamente lotta per la libertà: dall'oppressione e dal crimine.
[...] Lotta di libertà ma anche lotta contro il crimine organizzato che presiede ai suddetti traffici e lotta (anch'essa di libertà, cioè di libertà dal bisogno) per consentire a intere popolazioni di milioni di persone (pakistani, thailandesi, laotiani, colombiani, curdi) di affrancarsi dalle necessità di coltivareoppiacei per sopravvivere o per ottenere i mezzi necessari per le loro lotte di indipendenza.
[...] Tesi semplicistica e peregrina affacciatasi in Italia qualche anno fa: liberalizziamo ul commercio di droga e togliamo quindi dalle mani di Cosa Nostra la ragione prima della sua attuale potenza.
Tesi che ha colpito fantasie sprovvedute anche perchè spesso associata ad altra avente a oggetto più propriamente la tossicodipendenza (il drogato, poichè è partecipe di attività illecite - acquisto - viene necessariamente criminalizzato, e quindi risucchiato nell'ambiente criminogeno [in generale], mentre così non sarebbe se il commercio fosse libero) - Paragoni col proibizionismo - Non reggono, perchè il consumo di alcolici pur se dannoso se assunti smodatamente, non assume gli stessi effetti totalizzanti del consumo di droga.
Tesi semplicistica, con riferimento alla potenza di Cosa Nostra, che non è riassumibile soltanto nel traff. di droga anche perchè ha dimostrato di sapersi adattare alle mutate condizioni sociali e del mercato, sopravvivendo.
Peregrina perchè non tiene conto della attuale rapidità delle comunicazioni internazionali.
A parte le consideraz. mediche, sociali, morali etc. che, in ogni caso, indurrebbero a disattendere de plano [facilmente, senza difficoltà, senza contestazioni, N.d.A.] simili proposte, si osserva:
1) Possibilità di introdurre la liberalizzazione sull'intero pianeta o su consistenti aree geografiche: nessuna.
[...]
2) Teoricamente sussisterebbe possibilità di liberalizzaz. limitata a singoli Stati o a ristrette aree geografiche, sotto la spinta di aberranti ideologie o miracolistiche soluzioni prospettate dai <<partiti folli>> o da frange di essi.
Lascio ai medici, ai sociologi, ai teologi e agli studiosi di morale e ai criminologi il compito di dimostrare come l'uso di droga non deve essere liberalizzato per considerazioni attinenti alle loro scienze (io mi limito a ricordare l'art. 1 cost.: La Rep. richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà sociale - art. 3: La Rep. ha compito di rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana - art. 4: Il cittadino ha il dovere di svolgere attività o funzione che concerne al progresso materiale e spirituale della società - art. 10: L'ord. giurid. italiano si conforma alle norme di dir. intern. generalmente riconosciute - art. 11: L'Italia consente alle limitaz. di sovranità necessarie a un ordinamento che assicuri pace e giustizia fra le Nazioni - art. 32: La Rep. tutela la salute).
Ma, anche se per assurda ipotesi, e con rilevantissime modifiche costituz. un paese, come l'Italia o un ristretto gruppo di nazioni, liberalizzassero il consumo, oltre al verificarsi dei danni sanitari e sociali di cui diranno gli altri relatori, nessuno degli ulteriori obiettivi verrebbe raggiunto, perchè:
1) Nessuna diminuz. del potere della criminalità organizz., che trae i suoi maggiori proventi non dal traff. naz. ma da quello internaz., che continuerebbe a svolgere, facilitato dalla maggiore libertà di movimenti conseguenti in Italia alla liberalizzazione.
2) Emarginaz. dell'Italia dalla Comunità Internazionale.
3) Lo Stato it. stesso si trasformerebbe, per reperire la droga necessaria al consumo ufficiale interno, in traff. internaz. di droga, ovvero dovrebbe autorizzare i traff. internaz. a operare sul suo territorio o ancora dovrebbe promuovere le coltivazioni di sost. stup. in loco, riducendo gli agricoltori operanti in vaste zone geografiche alla situazione dei contadini pakistani, laotiani, colombiani, curdi etc., ovvero dovrebbe divenire produttore di quelle droghe sintetiche, unanimemente riconosciute come i più potenti veleni.
4) Il territorio dello Stato diverrebbe meta e ricetto di consumatori di droga provenienti dalle vicine aree geografiche (esseri prevalentemente asociali e dediti al crimine) che qui troverebbero più comodo e meno rischioso rifornirsi.
5) Non verrebbe affatto eliminato il mercato nero della droga (e il conseguente fiorire dello paccio clandestino illecito), alimentato da una vasta categoria di consumatori clandestini.
a) Persone che per ragioni di prestigio sociale eviterebbero le strutture pubbliche di distrivuz. (parallelo con l'aborto clandest.).
b) Minori, che diverrebbero la meta preferita degli spacciatori clandestini, subendo un ancor più forte impatto di quello attuale.
c) Consumatori non soddisfatti delle dosi e delle qualità di droga ufficialmente fornite, evidentemente sotto controllo medico (trattandosi quanto meno di veleni).
Droga libera, pertanto, sarebbe una pestilenza tale da porre le condizioni perchè la comunità sociale diventi l'accozzaglia incontrollabile di uomini non liberi perchè costretti a vivere in una aggregazione umana esclusa dal novero delle nazioni civili e quindi da quella storia umana, che come ci ha insegnato B. Croce, è soprattutto storia di libertà"
Paolo Borsellino, incontro-dibattito sul tema "Droga libera o uomini liberi?" organizzato presso l'Istituto Tecnico Agrario "A. Damiani" dalla "Lega contro la droga" di Marsala, in occasione della "2a Giornata di solidarietà alla lotta contro la droga" dedicata a Giovanni Giacalone, Marsala, 29 gennaio 1988.
Paolo Borsellino è morto e continuerà ad esserlo se noi non ne facciamo vivere le passioni e gli ideali nelle nostre piccole e grandi esperienze.
Sfrattiamo dalle nostre menti l'indifferenza.
Scacciamo l'ignavia dai nostri cuori.
Impegniamoci, dunque!
Facciamo vivere Paolo attraverso le nostre azioni, le nostre parole e i nostri pensieri quotidiani.
Dimostriamo concretamente e senza ipocrisie che lui vive - davvero - con noi e dentro di noi.
Facciamone memoria piena, autentica, pratica.
Evitiamo di mettere in atto la solita, stucchevole, retorica messa in scena utile solo a farci credere - illusi - che la nostra coscienza sia a posto.
Come oggi è il giorno in cui un bimbo di nome Paolo è sbocciato alla vita, così il testamento morale che questi ci ha lasciato sbocci nella mente e nel cuore di ognuno di noi.
Già, perchè adesso tocca a noi.
Soltanto a noi.