Quando un verbo imperativo nasconde un sostantivo... declinato al femminile!
"Un giorno, dopo aver corso per pochi minuti, Ariana si ferma: è stanca.
Uno dei ragazzi che stanno giocando poco lontano scoppia a ridere.
<<Non hai energia sufficiente per giocare!>>.
Ariana lo guarda infastidita.
<<Lascia perdere>> aggiunge il ragazzo. <<Il calcio non è uno sport per ragazze>>.
Adesso Ariana ne ha abbastanza.
<<Perché?>> gli chiede andando verso di lui. <<Tu hai due occhi e un naso, e li ho anch'io>>.
Lui la guarda, confuso.
<<Tu hai due gambe, e io pure. L'energia che hai tu, è quella che ho io, ma ho bisogno di allenamento. Tu ti sei allenato molto, perché puoi farlo tutte le volte che vuoi. Io invece sono una ragazza e non posso uscire di casa per allenarmi quando mi pare. E' questo quello di cui ho bisogno. Ma se potessi allenarmi seriamente, potrei giocare contro di te e allora sì che giocheremmo ad armi pari>>.
<<Forse puoi giocare con me>> risponde abbassando lo sguardo.
E' evidente che vorrebbe mettere fine alla conversazione.
Ma Ariana è ormai partita lancia in resta, intenzionata ad attaccare.
<<Se tutti parlano come te, allora per noi non c'è niente da fare, ma se incoraggi le ragazze come me, dicendo, Bene, brava!, allora potremo allenarci e in futuro diventare buone giocatrici. E il mondo scoprirà che l'Afghanistan è un Paese che può competere con chicchessia>>"
Awista Ayub, "Giocando a calcio a Kabul", Piemme, 2010
(titolo originale "However tall the mountain. A dream, eight girls, and a journey home", letteralmente "Per quanto alta possa essere la montagna. Un sogno, otto ragazze e un ritorno a casa", 2009).
"In Afghanistan non ho incontrato nessuno che simpatizzasse con i talebani o sostenesse di essersi trovato a proprio agio sotto il loro regime.
Ho tuttavia incontrato fratelli che pensavano che le loro sorelle dovessero
starsene in casa e non andare a scuola,
e persino importanti funzionari della Federazione sportiva
che si chiedevano
se il calcio femminile potesse conciliarsi con la religione.
In mezzo, c'erano ragazze che si consideravano buone musulmane,
che pregavano ogni giorno,
rispettavano le Scritture, vestivano pudicamente.
Ma anche loro volevano andare a scuola, istruirsi,
avere una carriera lavorativa,
sposarsi con chi volevano e quando volevano,
e giocare a calcio, o praticare qualsiasi sport, senza dover chiedere il permesso
agli uomini di casa.
Ragazze desiderose di cogliere qualsiasi opportunità fosse data loro"
Awista Ayub, "Giocando a calcio a Kabul", Piemme, 2010
(titolo originale "However tall the mountain. A dream, eight girls, and a journey home", letteralmente "Per quanto alta possa essere la montagna. Un sogno, otto ragazze e un ritorno a casa", 2009).