pur definite eufemisticamente <<deviazioni>>,
sono così numerose, intrecciate,
da non far più scorgere - a volte - il retto percorso che doveva essere seguito.
Deviazioni così consistenti da marcare l'assenza di una volontà politica superiore in grado di incanalare e guidare attività che si pongono sulle estreme frontiere della legittimità del potere, della sovranità dello Stato.
Confini dove la certezza del diritto, la forza della democrazia,
sfumano in un'incerta ed insidiosa terra di nessuno.
Non è senza significato che,
fra tutte le <<deviazioni>> addebitate al Sid,
e successivamente al Sismi che ne prenderà il posto,
le più gravi,
e documentate oltre ogni possibile dubbio, visto le sentenze passate in giudicato,
riguardino proprio l'operato dei servizi in connessione ai reati di strage che, a partire dal 1969, insanguinano il Paese.
E' una constatazione che,
dopo essere stata fatta propria da numerose sentenze,
costituisce il tema fondamentale delle attività della Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi.
Sin dalle prime sedute della Commissione emerge, pressoché unanime,
un comune punto di partenza,
vera e propria ipotesi di lavoro che guiderà le attività dei commissari.
L'impunità -
che ha consentito ai responsabili delle stragi avvenute in Italia nell'ultimo ventennio di rimanere sempre (unica eccezione Peteano) nell'ombra -
non deriva, viene detto,
<<da oggettive difficoltà connesse al reato di strage
né da una generica inefficienza degli apparati pubblici,
ma da atti e omissioni volutamente posti in essere>>.
Quando
- in connessione con le inchieste sulla strage di piazza Fontana -
ci si comincia ad imbattere in
un variegato e strabiliante susseguirsi di atti e omissioni frapposti
all'accertamento della verità, all'individuazione dei responsabili,
si è ancora lontani dall'assegnare il giusto significato a questi interventi, a questi accadimenti.
Solo più tardi,
quando in connessione con altre, successive stragi,
si dovranno registrare analoghi, gravissimi interventi,
ci si renderà conto che
le omissioni, le falsificazioni, gli occultamenti di indizi, le sottrazioni di testi, i depistaggi, la disinformazione, l'apposizione arbitraria del segreto,
non prendono posto casualmente.
Né possono essere ridotte, come si è continuato a fare,
a dissennate e criminali iniziative da addebitare a figure di servitori dello Stato che,
dopo anni di tranquilla carriera,
appena approdano nelle stanze segrete dei servizi di sicurezza
gettano la maschera e rivelano bagliori di luciferina malvagità.
S'intravede -
nel procedere che sbarra la strada alle verità sulle stragi, in questa trasmutazione di persone di grande esperienza che, anziché servire lo Stato si fanno complici di terribili omertà -
una metodicità, un prevalere di comportamenti così costanti
da imporre una sorta di triste prevedibilità.
Elementi che,
per essere compresi pienamente,
chiedono che si vada oltre le singole vicende,
che si superi la ristrettezza delle biografie dei singoli ufficiali, funzionari, incriminati;
che si giunga perfino a guardare gli eventi al di là del breve e affannato e mutevole operare dei reparti e dei nuclei, dei servizi e degli organismi della sicurezza che pur cambiando, spegnendosi e rinascendo, paiono dispiegare sempre gli stessi comportamenti.
E incorrere negli stessi gravissimi errori"
Giorgio Boatti, "Piazza Fontana. 12 dicembre 1969: il giorno dell'innocenza perduta", Einaudi, 2009, nuova edizione aggiornata
(il saggio è stato pubblicato per la prima volta nel 1993 dalla casa editrice Feltrinelli).
"Piazza Fontana -
come Peteano nel 1972,
la bomba in piazza della Loggia a Brescia e l'attentato al treno Italicus del 1974,
la strage alla stazione di Bologna del 1980 -
è il capitolo di una guerra,
che pur invisibile,
è cruenta ed è in corso, per oltre un decennio, nella penisola.
Guerra non ortodossa, pilotata da strateghi così saldamente annidati nei sancta sanctorum dei servizi e della difesa nazionale da rinunciare talvolta [...] ai toni sommessi. Alle coperture mimetizzatrici.
Guerra condotta in tempo di pace e in mezzo alla gente da reti clandestine e da terroristi mossi come fossero eserciti e soldati dispiegati a fronteggiare ogni possibilità d'alternanza nella democrazia italiana.
Guerra dura e sporca: non rispetta innocenti. Nelle sue inafferrabili mimetizzazioni non conosce perenni fedeltà a schieramenti. Si sottrae alle sue stesse segrete gerarchie. E - a volte - si morde la coda e scatena sorde rese dei conti anche tra le proprie fila.
Di questa guerra piazza Fontana è la prima tragica pagina,
perseguita con gelida pianificazione.
Quanto accade dopo -
principalmente l'impunità ai colpevoli e la verità inaccessibile
sbarrata dal fronte di omertà che salda, in un patto scellerato,
potere politico e stratificazione dei servizi, vertici militari e settori della magistratura -
è la prima volta di tante altre"
Giorgio Boatti, "Piazza Fontana. 12 dicembre 1969: il giorno dell'innocenza perduta", Einaudi, 2009, nuova edizione aggiornata
(il saggio è stato pubblicato per la prima volta nel 1993 dalla casa editrice Feltrinelli).
"La filatura criminale procede infatti
tra spazientite ordinazioni di timer necessari agli ordigni
e chiacchiere trascinate
tra botteghe di libraio
[il terrorista neofascista Giovanni Ventura,
riconosciuto in via definitiva dai giudici responsabile della strage di piazza Fontana.
Tale verità giudiziaria non ha potuto sortire alcun effetto giuridico
in quanto per i fatti milanesi del 12 dicembre 1969
Ventura era stato irrevocabilmente assolto in un precedente processo, N.d.A.]
e studi d'avvocato
[il terrorista neofascista Franco Freda,
riconosciuto in via definitiva dai giudici responsabile della strage di piazza Fontana.
Anche per lui tale verità non ha potuto avere alcuna conseguenza giuridica
per la stessa ragione sopra rammentata nel caso di Giovanni Ventura, N.d.A.],
missioni in casolari nella campagna veneta per depositare arsenali d'armi ed esplosivi
e pasticciati affari fra personaggi che non dovrebbero avere nulla in comune tra di loro.
Vi si aggiungano amicizie strette in collegio e
vanterie di importanti e misteriosi legami con pezzi grossi degli apparati romani
capaci di sventare le curiosità e le sacrosante intromissioni
di qualche servitore dello Stato -
come il commissario Pasquale Iuliano -
che non ha dimenticato il proprio dovere
e che, proprio per questo,
la pagherà cara
in un Paese dove il potere è da sempre debole con i forti e forte con i semplici.
[...]
Quella della <<cellula nera>> veneta
è un'azione di terrorismo e di provocazione politica
che cresce sotto l'ombra protettiva di apparati contigui a quelli militari,
si dirama guidata da una pseudo-intelligence
cresciuta nel sottobosco di un Triveneto
che allora più che mai è ancora avamposto della Guerra Fredda
contro il Patto di Varsavia e il blocco comunista.
E in questo contesto è obbligatorio pensare
alla disperazione di un galantuomo come
il commissario Pasquale Iuliano, capo della Squadra Mobile di Padova,
che ha intuito buona parte di quanto è prossimo ad accadere.
Intercettando le telefonate con cui Freda ordina i timer per gli ordigni,
Iuliano sarebbe persino vicino a produrre le prove
dell'escalation eversiva della cellula nera e
a incastrare i responsabili prima che compiano l'ultimo e irreversibile passo.
Ma è proprio su questo passaggio cruciale che
da Roma saetta l'ordine che
lo rimuove dall'incarico e lo esilia,
per tappargli la bocca e lasciare libero corso alla cospirazione,
in uno sperduto ufficio della Pubblica Sicurezza in quel di Ruvo di Puglia"
Giorgio Boatti, "Piazza Fontana. 12 dicembre 1969: il giorno dell'innocenza perduta", Einaudi, 2009, nuova edizione aggiornata
(il saggio è stato pubblicato per la prima volta nel 1993 dalla casa editrice Feltrinelli).
"La strage di piazza Fontana,
e le azioni di quel 12 dicembre che le sono collegate,
non costituiscono solo un attentato terroristico.
Rappresentano l'avvio di una strategia volta a mutare,
con un solo evento di pianificato impatto,
il panorama politico italiano.
E' una strategia che qualcuno ha definito <<strategia della tensione>>
e che più propriamente, da lì a qualche anno, troverà il suo nome giusto in <<stragismo>>.
La definizione più sintetica dello stragismo
è quella data dal presidente emerito Francesco Cossiga
nel corso di una sua lunga e complessa testimonianza
davanti alla Commissione parlamentare di inchiesta sulle stragi
[l'audizione avvenne il 6 novembre 1997, N.d.A.]:
<<Lo stragismo aveva come fine
- altrimenti era pura follia e quindi terrorismo puro -
... di creare una situazione di destabilizzazione
che rendesse possibili avventure autoritarie o dittatoriali.
Come ad esempio in Grecia>> "
Giorgio Boatti, "Piazza Fontana. 12 dicembre 1969: il giorno dell'innocenza perduta", Einaudi, 2009, nuova edizione aggiornata
(il saggio è stato pubblicato per la prima volta nel 1993 dalla casa editrice Feltrinelli).
"Le sentenze definitive
pronunciate a carico di alcuni degli esponenti di destra qui individuati,
nonché gli elementi probatori
ulteriormente acquisiti in questo dibattimento,
hanno consentito di ricostruire in modo inconfutabile
l’esistenza di un gruppo criminale che,
a partire dalla fine del 1968
(pur con episodi prodromici collocati negli anni immediatamente precedenti),
definì ed attuò la cosiddetta strategia della tensione,
teorizzò cioè la necessità storica,
per un sodalizio di ispirazione neofascista,
di compiere attentati terroristici
finalizzati a provocare nel nostro Paese una condizione di tensione sociale
(anche mediante l’attribuzione di quelle azioni ad organizzazioni della sinistra extraparlamentare od anarchiche)
che determinasse una situazione di emergenza istituzionale
e consentisse il sovvertimento delle istituzioni democratiche
da parte di forze golpiste"
Corte d’Assise di Milano, sentenza n. 15/01 del 30 giugno 2001
(causa per la strage di piazza Fontana a carico di Maggi Carlo Maria + 4).
Nella medesima pronuncia i giudici parlano di
"strategia eversiva culminata negli attentati del 12 dicembre"
e di "funzione eversiva dell’attività terroristica",
ribadendo
"l’idea di fondo della strategia della tensione,
cioè la necessità di attuare un'escalation di violenza indiscriminata
nei confronti dei cittadini,
finalizzata alla creazione di uno stato di tensione
che legittimasse l’intervento autoritario
di forze istituzionali politiche e militari".
"[...] il generale Maletti,
ex ufficiale del Sid condannato per i depistaggi su piazza Fontana
e da tempo residente in Sudafrica,
in un'intervista a un quotidiano nell'agosto del 2000,
rivela l'apporto che settori dell'intelligence statunitense
avrebbero fornito nel periodo antecedente la strage
alla formazione estremista Ordine Nuovo
[l'organizzazione criminale neofascista responsabile della strage milanese, N.d.A.].
Il tutto per creare,
con gli attentati,
un clima adatto a instaurare in Italia un regime autoritario
simile a quello che i generali greci,
con l'avvallo della Nato,
avevano imposto dall'aprile del 1967 ad Atene"
Giorgio Boatti, "Piazza Fontana. 12 dicembre 1969: il giorno dell'innocenza perduta", Einaudi, 2009, nuova edizione aggiornata
(il saggio è stato pubblicato per la prima volta nel 1993 dalla casa editrice Feltrinelli).