venerdì 20 novembre 2015

IL TRAVAGLIO DELLA RAGIONE 


Ieri sera, nel corso del programma televisivo "Otto e Mezzo" (precisamente al minuto 17:23 della puntata), la conduttrice Lilli Gruber domanda a Marco Travaglio:  
<<Come ci comportiamo con l’Islam?>>.
La risposta del direttore de "il Fatto Quotidiano" è saggia e illuminante:
<<Forse potremmo cogliere l’occasione di questo grande dibattito sui nostri valori, i valori dell’Occidente.
Se li abbiamo, li nascondiamo molto bene, devo dire. 
Oggi Daniela Ranieri sul “Fatto” ha scritto un bel pezzo per ricordare che i primi a combattere i nostri valori siamo noi, che li stiamo smantellando a uno a uno. 
Avevamo un valore che era il welfare, lo stiamo un po’ smantellando, no? 
Avevamo il valore del parlamentarismo, della democrazia parlamentare. Le Costituzioni vengono cambiate. 
[…] Rivalutiamoli noi questi valori e poi facciamoli assaggiare anche un po’ agli immigrati. 
Perché io penso che il peggio che noi possiamo fare è quello di farli incazzare tutti. 
Le politiche che predicano le destre sono politiche - oltre che incivili e disumane - anche controproducenti e demenziali, perché quest’idea di levargli le moschee, non dargli una casa, farli vivere malissimo, trattarli malissimo, non farli entrare, insultarli tutte le sere in televisione, indipendentemente dal fatto che siano dei profughi, che siano dei delinquenti, che siano dei clandestini, che siano degli irregolari, che lavorino, che delinquano, è assurda! 
Perché se noi vogliamo che la nostra civiltà venga apprezzata da loro, gliela dovremmo in parte far assaggiare anche a loro. 
Sarà brutto dirlo: cerchiamo di comprarceli, in qualche modo, cioè cerchiamo di farli vivere mediamente bene, perché guarda che per arrivare a desiderare di farsi esplodere (a parte che si devono anche drogare molto spesso per arrivare a farsi esplodere), guarda che arrivare a sognare di farsi esplodere vuol dire che veramente non hanno nulla da perdere. 
Diamogli qualcosa da perdere! 
Questo, secondo me, è il minimo che si possa fare nella quotidianità da parte di tutti. 
Cioè questi famosi valori, se li abbiamo, tiriamoli fuori, perché molto spesso ce li siamo dimenticati.
Noi ce ne ricordiamo soltanto quando fanno un attentato, dice: <<Mettono a rischio i nostri valori!>>.
Ma i nostri valori, noi, dove li abbiamo messi in questi anni? 
Tiriamoli fuori se li abbiamo! Per tutti.
Fermo restando che dobbiamo essere dei Paesi seri, organizzati. 
La Merkel, quando ha detto: <<Facciamo entrare i profughi siriani>>, non ha detto: <<Venga chiunque e si comporti come gli pare!>>
No, quello è uno Stato organizzato, gli hanno detto: <<Oh, venite qua, rispettate le leggi, non pensate di fare come se foste a casa vostra. Qua c’è un sistema di regole, non si sgarra!>>
Infatti la Merkel è passata dall'essere un’aguzzina per aver detto a quella bambina palestinese: <<Se tu non hai diritto di stare qui, te ne devi tornare nel tuo Paese!>> e sembrava Hitler da come era stata dipinta. E poi è stata dipinta come Madre Teresa di Calcutta perché li faceva entrare. 
Non è né Hitler, né Madre Teresa di Calcutta. 
E’ la Cancelliera di un Paese serio, che ha preso una decisione e che però fa rispettare le regole. 
La nostra civiltà occidentale è anche fatta da regole e quindi chi la vuole assaggiare deve rispettarle.
Penso che sia giusto>>.



venerdì 6 novembre 2015

SOLO QUESTIONE DI VOCALI?

Il mio consiglio di lettura odierno dimostra una volta di più come si possa (rectius, voglia) stuprare la propria terra, violentando la salute collettiva e il bene(ssere) comune.
Lo trovate qui.
Ora, dato che tra le varie case leghiste (ma pagheranno le tasse sugli immobili?) quella che racchiude il territorio bergamasco è storicamente una delle più importanti dal punto di vista elettorale, politico e amministrativo, forse bisognerebbe porsi una domanda cruciale:


Speriamo che oltre alle imposte, le camicie verdi paghino anche i danni.
Almeno per omissione di controllo.
O sono forse incapaci d'intendere e di volere (oltre che di vedere)?

mercoledì 4 novembre 2015

DARE PER PRIMI L'ESEMPIO

Beppe Alfano (1945-1993)
"Mio padre era un uomo inflessibile.
Difficilmente ammetteva compromessi e spesso peccava perfino di eccesso di zelo.
Come quella volta dell'incidente in classe, per esempio.
Aveva sempre fatto il professore di educazione tecnica alle scuole medie e, quando eravamo tornati in Sicilia dal Trentino nel 1976, aveva ottenuto un posto alla Galileo Galilei di Terme Vigliatore, in provincia di Messina. Divideva le sue ore di lezione tra la sede centrale e quella distaccata, che si trovava a Vigliatore, dove abitavamo.
Anche io, come tutti i ragazzini della frazione, ero iscritta lì nella sezione unica e per poter essere sua alunna c'era voluta una dispensa speciale del provveditorato. Siccome inoltre era vicepreside, capitava spesso che me lo ritrovassi dietro la cattedra anche come supplente. 
Ero a casa con la febbre il giorno in cui uno dei miei compagni ruppe la maniglia della porta, e io venni a sapere dell'accaduto quando mio padre rientrò, all'ora di pranzo. 
Il mattino dopo tornai a scuola e lui entrando in aula con aria seria, esordì: 
<<Mi ha detto il bidello che è stata rotta la maniglia>>
Sulla classe calò il silenzio. 
Tutti gli studenti lo amavano e pendevano dalle sue labbra. 
Li aveva conquistati lasciandoli liberi durante le sue ore di discutere di ciò che li interessava e partecipando ai loro dibattiti con curiosità; quando però era ora di dedicarsi allo studio, esigeva la massima concentrazione e non ammetteva repliche. 
I ragazzi sapevano che non si arrabbiava gratuitamente, che considerava la lealtà e la trasparenza valori fondamentali. 
Capirono immediatamente che per la questione della maniglia sarebbe andato fino in fondo. 
<<Voglio sapere chi è stato>> proseguì infatti, guardandoci negli occhi, uno a uno. 
Nessuno aprì bocca e tra i banchi iniziò a serpeggiare un lieve disagio, benchè tutti dissimulassero.
Papà girò attorno alla cattedra, ci si appoggiò e incrociò le braccia: 
<<Se non viene fuori il colpevole>> proseguì <<rischiamo di far saltare la gita. O mi dite chi è stato, o sono costretto a pescare qualcuno io>>
Ancora silenzio. 
Io osservavo la scena dal mio posto, tranquilla e distaccata, perchè la vicenda questa volta non mi riguardava. 
Passarono alcuni istanti che parevano infiniti, poi mio padre trasse un profondo sospiro e si girò nella mia direzione. 
<<Sonia>>
<<Che c'è?>> sobbalzai, destandomi dal mio torpore. 
<<Se nessuno si fa avanti, paghi tu per gli altri>>
Sgranai gli occhi: <<Ma io ero assente!>>
Improvvisamente tutta l'attenzione si concentrò su di me, anzi su noi due: io ero allibita dalla sua mossa, lui sembrava amareggiato ma irremovibile. 
Adesso erano i miei compagni che si godevano lo spettacolo e, com'era prevedibile, nessuno di loro si fece avanti per difendermi. 
Naturalmente non ci fu verso di fargli cambiare idea: fece rapporto additandomi come la responsabile del danno. 
Mi arrabbiai da morire e quel giorno a scuola non gli rivolsi più la parola. 
Una volta a casa fu però costretto a rendermi conto del suo comportamento. 
<<Dobbiamo dare l'esempio>> fu la sua lapidaria giustificazione. 
<<Questa è l'esasperazione dell'esempio!>> protestai. 
Non servì a nulla: a pagare dovevo comunque essere io. 
E pagai. Non solo quella volta, ma per tutti e tre gli anni che lo ebbi come insegnante. 
Non voleva che qualcuno pensasse che mi favoriva, che ero avvantaggiata in quanto sua figlia, così mi trattava anche molto più severamente degli altri. 
Per esempio, mi interrogava tutti i giorni. Ero una delle prime della classe, con pagelle piene di 8 e 9; solo nella sua materia avevo 6. Agli esami, la commissione mi voleva promuovere con 9 e anche allora si intromise insistendo che dovevano darmi 7. Non c'era verso di fargli capire che anche farmi scontare al negativo quella nostra parentela era un'ingiustizia. Fortunatamente, agli esami, la professoressa di italiano lo prese in disparte e, senza troppi giri di parole, lo ridusse a più miti consigli. Fu probabilmente solo grazie a lei che uscii con il voto che mi spettava. 
Ma si trattò di un'eccezione: di solito mi toccava rassegnarmi. 
Del resto, è quello che succede con le persone dotate di carisma. 
Di fronte a un padre tanto caparbio e trascinatore, non potevo che alzare le mani"

Beppe Alfano, testimonianza della figlia Sonia raccolta nel libro da lei scritto "La zona d'ombra. La lezione di mio padre ucciso dalla mafia e abbandonato dallo Stato", Rizzoli, 2011.

Beppe Alfano con la figlia Sonia

Beppe Alfano è morto e continuerà ad esserlo se noi non ne facciamo vivere le passioni e gli ideali nelle nostre piccole e grandi esperienze.
Sfrattiamo dalle nostre menti l'indifferenza.
Scacciamo l'ignavia dai nostri cuori.
Impegniamoci, dunque!
Facciamo vivere Beppe attraverso le nostre azioni, le nostre parole e i nostri pensieri quotidiani.
Dimostriamo concretamente e senza ipocrisie che lui vive - davvero - con noi e dentro di noi.
Facciamone memoria piena, autentica, pratica.
Evitiamo di mettere in atto la solita, stucchevole, retorica messa in scena utile solo a farci credere - illusi - che la nostra coscienza sia a posto.
Come oggi è il giorno in cui un bimbo di nome Giuseppe è sbocciato alla vita, così il testamento morale che questi ci ha lasciato sbocci nella mente e nel cuore di ognuno di noi.
Già, perchè adesso tocca a noi.
Soltanto a noi.