"La resistenza, individuale e collettiva, agli atti dei
pubblici poteri che violino le libertà fondamentali e i diritti garantiti dalla
presente Costituzione, è diritto e dovere di ogni cittadino".
No, ciò che avete appena letto non è frutto del pensiero
rivoluzionario di un pericoloso sovversivo no global marxista-leninista.
Si tratta di una proposta - risalente a settant'anni fa -
del deputato democristiano Giuseppe Dossetti (che nel 1959 sarebbe stato ordinato sacerdote) inerente "Lo Stato come
ordinamento giuridico e i suoi rapporti con gli altri ordinamenti".
Dopo essersi insediata il 25 giugno 1946 e aver
contestualmente eletto il proprio presidente nella figura del socialista
Giuseppe Saragat (che nel 1964 sarebbe stato eletto Presidente della Repubblica),
l'Assemblea Costituente, il 15 luglio seguente, decise di nominare una
Commissione incaricata di elaborare e proporre il progetto della nuova
Costituzione (composta da 75 deputati, scelti da Saragat secondo il criterio
della proporzionalità dei gruppi politici rappresentati).
A sua volta la Commissione venne suddivisa in tre
Sottocommissioni, in base alle tematiche da affrontare: fu presso la prima di
esse - chiamata a elaborare i principi generali della nuova Carta e sancire i
diritti e i doveri dei cittadini - che l'onorevole Dossetti avanzò la proposta
sopra citata.
Dopo avervi definito il compito e la funzione giuridica e
politica dello Stato (il quale “protegge, favorisce, coordina e, dove occorra,
integra le attività dei singoli, delle famiglie, degli enti territoriali e
delle altre forme sociali”, art. 1) e il fondamento della sua sovranità (che
“si esplica nei limiti dell’ordinamento giuridico costituito dalla presente
Costituzione e dalle altre leggi ad essa conformi”, art. 2), il deputato della
Dc espose quello che lui stesso definì "l’abituale principio della
resistenza, logico corollario dei due articoli precedenti”.
Principio, del resto, non certo innovativo, ma tratto dalla
Costituzione francese del 19 aprile di quello stesso 1946.
L'intento di Dossetti era inserire anche nella nostra
Costituzione un precetto generale, un diritto-dovere fondamentale, demandando
poi alla legge penale il compito di sancirlo e regolarlo concretamente, così
che in caso d'inosservanza potesse essere stabilita - di volta in volta -
l'apposita sanzione, in relazione alle specifiche situazioni e alle conseguenze
derivate.
Come ben spiegato dal deputato Aldo Moro - che nel 1963
avrebbe assunto la carica di Presidente del Consiglio - proporre la rivoluzione
sia come diritto etico-giuridico (se nata “da uno stato di indebita
compressione dei diritti di libertà sanciti dalla Costituzione”), sia come
dovere morale (“che è bene sia affermato dalla Costituzione, nel senso che la
passività, di fronte all'arbitrio dello Stato, costituisce inosservanza di un
dovere morale fondamentale”) avrebbe comportato affidare a tale norma “un
preciso e netto significato giuridico, in quanto pone un criterio direttivo al
legislatore penale, affinché non consideri come reati degli atti commessi con
apparenza delittuosa, ma che hanno invece il nobile scopo di garantire la
libertà umana” (Commissione per la Costituzione - Prima Sottocommissione,
seduta del 3 dicembre 1946).
In quella stessa seduta d'inizio dicembre la prima
Sottocommissione approvò la norma Dossetti a stragrande maggioranza, con 10 sì,
1 no (il democristiano Carmelo Caristia) e 2 astenuti.
Questa venne così inserita nel Progetto di Costituzione
approvato dalla Commissione e presentato alla Presidenza dell’Assemblea
Costituente il 31 gennaio 1947, il cui articolo 50 recitava:
"Ogni cittadino ha il dovere di essere fedele alla
Repubblica, di osservarne la Costituzione e le leggi, di adempiere con
disciplina ed onore le funzioni che gli sono affidate" (comma 1).
"Quando i poteri pubblici violino le libertà
fondamentali ed i diritti garantiti dalla Costituzione, la resistenza
all'oppressione è diritto e dovere del cittadino" (comma 2).
Pur avviando la discussione della norma Dossetti nella
seduta del 23 maggio 1947, l'Assemblea, dopo un intenso dibattito, decise di
rinviarne il giudizio, ripreso e definitivamente risolto solo tra la sera del 4
dicembre 1947 e la tarda mattinata del giorno seguente.
Nel corso della seduta del 5 dicembre, infatti, il principio
proposto da Dossetti - nonostante fosse stato appoggiato in diverse occasioni
da deputati importanti come il già ricordato Aldo Moro (democristiano), il pur
dubbioso Palmiro Togliatti (comunista, ministro della Giustizia dal 21 giugno
1945 al 12 luglio 1946), Fausto Gullo (comunista, ministro della Giustizia
succeduto a Togliatti) e Giuseppe Grassi (liberale, ministro della Giustizia
succeduto a Gullo; il 27 dicembre 1947 avrebbe firmato in tale qualità il testo
definitivo della Costituzione) - fu soppresso su proposta di tre deputati liberali
(Aldo Bozzi, Amerigo Crispo e Giuseppe Candela), due del Fronte dell'Uomo
Qualunque (Francesco Colitto e Cesario Rodi), due democristiani (Giambattista
Bosco Lucarelli e Corrado Terranova), due repubblicani (Ugo Della Seta e
Arnaldo Azzi) e un conservatore monarchico (Francesco Caroleo).
Come disse in Assemblea l'onorevole Fausto Gullo, poco prima
che venisse decretato lo stralcio finale della norma Dossetti:
"A me pare che nella nuova Costituzione noi dobbiamo
affermare il diritto del cittadino di ribellarsi all'arbitrio e alla tirannia.
[...] E' un monito che si dà all'autorità: se essa decampa
[sconfina, N.d.A.] dai limiti legittimi, avrà di fronte il cittadino col suo
diritto di ribellarsi.
Non è detto che quest'atto del cittadino debba assumere la
forma estrema dell'atto rivoluzionario.
Ci sono tante maniere di ribellarsi.
Affermare questo principio non significa altro che dare concreta attuazione a
quegli altri diritti che noi abbiamo affermato nella parte generale della
Costituzione, i diritti del cittadino, i diritti dell'uomo.
Se questi diritti
sono violati o offesi dall'autorità costituita, i cittadini offesi, e come
collettività e come singoli, hanno il diritto di ribellarsi"
(Assemblea
Costituente, seduta antimeridiana del 5 dicembre 1947).
Ecco, il 4 dicembre prossimo cerchiamo di rammentare e fare
nostro quel monito, esattamente 70 anni dopo la sua provvisoria approvazione e 69 anni dopo la sua conclusiva bocciatura.
Per dimostrare che i cittadini - votando NO al referendum
costituzionale - vogliono e sanno ribellarsi alle prepotenze di un potere che
sopporta sempre meno i limiti costituzionali e democratici partoriti dalla
Resistenza al nazi-fascismo.