Vignetta realizzata da un sacerdote, don Giovanni Berti (qui il suo sito) |
14 settembre 2015
Lettera aperta ai feroci, ai "prima i nostri", ai "facile
parlare, prenditeli in casa"
OSPITERESTI DEI PROFUGHI E DEGLI IMMIGRATI A CASA TUA?
Sì. L'ho già fatto e continuerò a farlo.
L'ho fatto insieme a Luca Rastello con profughi della guerra balcanica.
L'ho fatto con A., marocchino, dopo anni sistemato e sereno, che è diventato
mio fratello.
L'ho fatto per anni con 5 ragazzini randagi di Kourigba che ho tirato
grandi, fatto studiare e sistemato strappandoli allo spaccio e allo
sfruttamento.
L'ho fatto con una coppia di clandestini romeni, lei incinta di 8 mesi, che
dormivano su una panchina in novembre dopo essere stati cacciati dalla famiglia
italiana, dove lavoravano in nero, all'annuncio della gravidanza. Ho
fatto nascere la loro bambina, che ha dormito nella culla di mia
figlia e adesso è una splendida ragazzina.
Ora che l'argomento "portateli a casa tua" lo abbiamo
liquidato, vi spiego perché l'ho fatto, continuerò a farlo e mi sono
conquistata il dovere, insieme a tantissimi altri, di marciare scalza.
L'ho fatto perché non ero sola e con me c'erano i miei
genitori, la mia famiglia, gli amici che mi hanno aiutato: la mia tribù
solidale e buonista. Ampia, larga, piena di gente di tutti i colori, classi
sociali e portafogli.
Non lo Stato, il Comune, #mafiacapitale e tutte le scemenze che tirate fuori
quando parliamo di questo: io, i miei amici e compagni. Punto. Perché era
giusto farlo. Punto.
Non ho ospitato profughi, immigrati, clandestini: ho
ospitato persone. Uomini e donne che sono diventati amici, fratelli, sorelle.
L'ho fatto perché i miei nonni paterni hanno nascosto per
due anni una famiglia ebrea, madre e figlia, rischiando la pelle. Era giusto
farlo: non si sono chiesti se era il caso.
L'ho fatto pensando a mia madre bambina che, scappando dalle
bombe e dalla fame, è stata accolta da una famiglia di contadini del Mugello
che rovistavano nei campi per mangiare e dicevano che dove si mangia in quattro
si mangia in otto.
L'ho fatto perché ho passato l'infanzia con una madre
insegnante che ha dato lezioni gratuite a vagonate di ragazze-madri
reiette, siciliane venete calabresi laziali, perché prendessero il diploma di
terza media e si affrancassero. Venivano a casa, occupavano il tavolo della
cucina e studiavano.
L'ho fatto perché chi salva una vita salva l'umanità.
L'ho fatto da singola senza aspettare che qualcuno me lo
chiedesse.
L'ho fatto perché non ho nessun merito ad essere nata qui e
sento il dovere di restituire la fortuna che ho avuto ad essere sana e nata in
pace.
L'ho fatto perché non posso pensare che mentre dormo al
caldo c'è qualcuno che rischia di partorire al freddo.
L'ho fatto perché non sopporto la carità pelosa che toglie
dignità alle persone.
L'ho fatto perché aborro l'ingiustizia e l'umanità umiliata.
L'ho fatto perché non sono credente e io sono l'unico
giudice di me stessa: non potrei perdonarmi né assolvermi
nel girarmi dall'altra parte.
L'ho fatto come gesto individuale ma consapevole della
necessità di costruire politiche e visioni di società, collettive e per tutti.
Italiani e stranieri. I miei e i loro.
E quindi ho fatto marce, raccolto firme, costruito progetti,
partecipato a presidi, cortei, iniziative. Ho scritto programmi elettorali, ho
fatto proposte politiche, cerco sempre di non smarrire la bussola etica. Quella
che mi ha fatto incontrare l'impegno politico tanti anni fa. Ho fatto e faccio
quello che posso e riesco per essere coerente, con me stessa intanto.
Perché il gesto individuale non mi basta e non appaga la mia coscienza. Che
sarà appagata solo quando non ci sarà più bisogno di gesti individuali.
L'ho fatto senza aver alcun merito per averlo fatto, e senza
che nessuno, nessuno, mi debba dire grazie. Perché non sopporto la gratitudine
e mi vergogno dell'umiliazione degli altri.
L'ho fatto perché è mio dovere. E basta.
L'ho fatto perché faccio il gioco del SE: se quella donna
fossi io, quella figlia fosse la mia, quel padre fosse il mio.
L'ho fatto per puro egoismo: per guardarmi allo specchio la
mattina e non disprezzarmi.
L'ho fatto e con me l'hanno fatto migliaia, milioni di altri
che si sono conquistati il diritto di marciare scalzi e dire la loro. Qui, in
Europa, nel mondo.
Ora ditemi che sono buonista. Ci sono insulti peggiori.
Perché voi un profugo, un immigrato ma neppure un italiano povero, di cui
tanto parlate, in casa non lo ospitereste.
Io sono così buonista che prenderei in casa anche voi
se steste fuggendo dalla fame e dalla paura. Perché continuerei a vedervi umani
e farei il mio dovere.
Ilda Curti
(assessore comunale di Torino alle Politiche Giovanili,
alle Politiche delle Pari Opportunità e
al Coordinamento Politiche per la multiculturalità e
per l'integrazione dei nuovi cittadini).