AVERE IL CORAGGIO DI ESSERE LIBERI
(di fatto e non solo a parole)
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Libero Grassi (1924-1991) |
"La <<Sigma>> è un'azienda sana, a conduzione familiare.
Da anni produciamo biancheria da uomo: pigiami, boxer, slip e vestaglie di target medio-alto che esportiamo in tutta Europa.
Abbiamo 100 addetti: 90 donne e 10 uomini.
Il nostro giro d'affari è pari a 7 miliardi annui.
Evidentemente è stato proprio l'ottimo stato di salute dell'impresa ad attirare la loro attenzione.
La prima volta mi chiesero i soldi per i <<poveri amici carcerati>>, i <<picciotti chiusi all'Ucciardone>>.
Quello fu il primissimo contatto.
Dissi subito di no.
Mi rifiutai di pagare.
Così iniziarono le telefonate minatorie: <<Attento al magazzino>>, <<guardati tuo figlio>>, <<attento a te>>.
Il mio interlocutore si presentava come il geometra Anzalone, voleva parlare con me.
Gli risposi di non disturbarsi a telefonare.
Minacciava di incendiare il laboratorio.
Non avendo intenzione di pagare una tangente alla mafia, decisi di denunciarli.
Il 10 gennaio 1991 scrissi una lettera al <<Giornale di Sicilia>> che iniziava così: <<Caro estortore...>>.
La mattina successiva qui in fabbrica c'erano dei carabinieri, dieci televisioni e un mucchio di giornalisti.
A polizia e carabinieri consegnai 4 chiavi dell'azienda chiedendo loro protezione.
Mentre la fabbrica era sorvegliata dalla polizia entrarono due tipi strani.
Dissero di essere <<ispettori di sanità>>.
Fuori però c'era l'auto della polizia e avevano grande premura.
Volevano parlare a tutti i costi con il titolare.
Scesi e dissi loro che il titolare riceve solo per appuntamento e al momento era impegnato in una riunione.
Se ne andarono.
Li descrissi alla polizia e loro si accorsero che altri imprenditori avevano fornito le medesime descrizioni.
Gli esattori del <<pizzo>>, i due che indifferentemente si facevano chiamare geometra Anzalone, altri non erano che i fratelli gemelli Antonio e Gaetano Avitabile, 26 anni.
Furono arrestati il 19 marzo insieme ad un complice.
Una bella soddisfazione per me, ma anche qualche delusione; il presidente provinciale dell'Associazione industriali, Salvatore Cozzo, dichiarò che avevo fatto troppo chiasso.
Una <<tamurriata>> come si dice qui.
E questo, detto dal rappresentante della Confindustria palermitana, mi ha ferito.
Infatti dovrebbero essere proprio le associazioni a proteggere gli imprenditori.
Come? È facile.
Si potrebbero fare delle assicurazioni collettive.
Così, anche se la mafia minaccia di dar fuoco al magazzino si può rispondere picche.
Ma anche a queste mie proposte il direttore dell'Associazione industriali di Palermo, dottor Viola, ha detto no, sostenendo che costerebbe troppo.
Non credo però si tratti di un problema finanziario, è necessaria una volontà politica.
L'unico sostegno alla mia azione, a parte le forze di polizia, è venuta dalla Confesercenti palermitana.
Devo dire di aver molto apprezzato l'iniziativa SoS Commercio che va nella stessa direzione della mia denuncia.
Spero solo che la mia denuncia abbia dimostrato ad altri imprenditori siciliani che ci si può ribellare.
Non ho mai avuto paura ed ora mi sento garantito da ciò che ho fatto.
La decisione scandalosa del giudice istruttore di Catania, Luigi Russo (del 4 aprile 1991) che ha stabilito con una sentenza che non è reato pagare la <<protezione>> ai boss mafiosi, è sconvolgente.
In questo modo infatti è stato legittimato con il verdetto dello Stato il pagamento delle tangenti.
Così come la resa delle istituzioni e le collusioni.
Proprio ora che qualcosa si stava muovendo per il verso giusto.
Stabilire che in Sicilia non è reato pagare la mafia è ancora più scandaloso delle scarcerazioni dei boss.
Ormai nessuno è più colpevole di niente.
Anzi, la sentenza del giudice Russo suggerisce agli imprenditori un vero e proprio modello di comportamento; e cioè, pagate i mafiosi.
E quelli che come me hanno invece cercato di ribellarsi?
Ora più che mai le Associazioni imprenditoriali che non si impegnano sinceramente su questo fronte vanno messe con le spalle al muro.
La risposta infatti deve essere collettiva per spersonalizzare al massimo la vicenda"
Libero Grassi, lettera pubblicata sul "Corriere della Sera" il 30 agosto 1991 (il giorno successivo al suo omicidio).
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Libero Grassi |
"Caro estortore
Volevo avvertire il nostro ignoto estortore di risparmiare le telefonate dal tono minaccioso e le spese per l'acquisto di micce, bombe e proiettili, in quanto non siamo disponibili a dare contributi e ci siamo messi sotto la protezione della polizia.
Ho costruito questa fabbrica con le mie mani, lavoro da una vita e non intendo chiudere.
Anche mio figlio, Davide, che dirige l’azienda al mio fianco, la pensa come me.
Se paghiamo i cinquanta milioni, torneranno poi alla carica chiedendoci altri soldi, una retta mensile, saremmo destinati a chiudere bottega in poco tempo.
Per questo abbiamo detto no al <<geometra Anzalone>> [nominativo con il quale si presenta l'estortore di Cosa Nostra al telefono, N.d.A.] e diremo no a tutti quelli come lui"
"Io considero l'estorsione la madre di tutti i crimini, perché
stabilisce un consolidamento della manodopera mafiosa sul territorio.
Praticamente tu ti paghi, ti vai a pagare la criminalità, non la protezione. La
criminalità del territorio. In forma stabile.
Questa criminalità ovviamente poi
è disposta e diventa arma d’uso dai livelli più alti.
[…] Ognuno, ogni istituzione, ogni industria, ogni individuo,
ogni associazione deve prendere posizione su questa vicenda e non rimanere sul
piano dell’ambiguità.
Non è interessante quello che faccia lo Stato. Lo Stato deve
fare il suo compito, già evidentemente definito.
Quello che è interessante – e credo
che dobbiamo fare – è importante, è che noi da siciliani risolviamo noi questo problema
con un atteggiamento preciso e dichiarato.
[…] Sono le associazioni e le istituzioni, in fondo, che debbono
dire all'imprenditore: <<Tu puoi lavorare perché noi ti diamo le condizioni per
lavorare>>. Che sono: la tranquillità, l’ambiente e la disponibilità al fare. Queste
sono le condizioni per cui l’imprenditore può lavorare.
[…] Noi abbiamo bisogno della tranquillità ambientale.
Né la
connivenza, né la collusione.
Perché io personalmente a questo non ci sto!
Se
gli altri ci vogliono stare, alla fine lo dichiarano, come l’hanno dichiarato.
Un
magistrato ha detto, in fondo, che se si vuole fare il manager industriale in
Sicilia bisogna mettersi il cuore in pace e mettersi d’accordo prima con la
mafia o insieme con la mafia.
Questa è la condizione.
Evidentemente a questa
condizione, quando si oppone la cittadinanza, un dovere civico, le autorità, le
istituzioni, queste sono le maniere per cui le condizioni cambiano.
Poi, se le
condizioni cambiano e c’è una dichiarazione in questo senso, io ci sto; sennò, non
ci sto!
Siccome io non ho paura, non voglio essere né connivente, né colluso…
[…] I contatti con la mafia avvengono tutti i giorni,
normalmente, in tutti i posti.
[…] La mafia è il maggiore interlocutore
politico perchè assicura i voti di preferenza;
il maggiore interlocutore
amministrativo perchè è presente, attraverso sempre la scala delle preferenze
nei partiti, nei consigli di amministrazione e nelle associazioni importanti;
è
il maggiore interlocutore finanziario, perchè ha i soldi.
Io questo che sto
dicendo a Lei l’ho detto al Tg1 che – purtroppo - questo pezzettino, poi lo ha tagliato.
Forse, evidentemente, per ragioni di tempo.
Non si aspetti di trovare il mafioso a cavallo col
cappello storto, perchè questo è folklore.
Il mafioso è un fatto, come anche in
Italia avviene alla Banca Nazionale del Lavoro, che ci sono tremila miliardi,
di cui nessuno si è accorto, quella sera non hanno controllato il fondo cassa
se era giusto o non era giusto.
Ci sono vicende che per avere una
raffigurazione che Lei mi chiede: <<Chi è il mafioso?>>.
Il mafioso
– Le rispondo - è chi non vede che mancano tremila miliardi dalla cassa.
Oppure
chi è ucciso perchè non ha rispettato la tangente, il gruppo, eccetera
eccetera.
In fondo quello che è stato ucciso era il Direttore Generale delle
Ferrovie"
"... il primato della legge, il primato della politica, il primato della morale.
Ma c’è un primato superiore: quello della qualità del consenso.
La formazione del consenso, che poi è l’arma della mafia.
La prima cosa che controlla la mafia - cosa d’altra parte facile a trovarne una soluzione - è il voto.
La qualità del consenso.
A una cattiva raccolta di voti corrisponde una cattiva democrazia.
I valori morali sono transeunti, si formano, sono contemporanei.
Non c’è un valore morale, non c’è una legge valida per sempre.
La legge la fanno i politici, la fanno buona, la fanno cattiva, relativa al consenso.
Sempre.
Se i politici hanno un cattivo consenso faranno delle cattive leggi.
E allora noi dobbiamo curare la qualità del consenso.
[...] Non mi piace pagare, perchè è una rinuncia alla mia dignità di imprenditore.
Io divido le mie scelte con il mafioso.
Questo è il vero fatto.
Non è che io non abbia avuto avvicinamenti... [...] Non pago, preferisco stare nei miei affari.
[...] Se tutti si comportano come me, si distruggono gli estortori, non le industrie!
[...] Io è quarant'anni che ci vivo. Ancora non sono morto, la maggior parte dei miei anni lavorativi li ho fatti.
[...] Io è quarant'anni che faccio l'industriale in Sicilia e non sono andato mai a cena con Greco, con Marchese [cioè con i mafiosi, N.d.A.]. Io questa necessità estrema non l'ho avuta. [...] Non è detto che gli industriali di Catania debbano fare tutti gli affari, mandandoci in avanscoperta o per concedere i subappalti al mafioso. Ma chi l'ha detto? Rinunciano all'affare!"
Non serve avere paura.
La paura fa il gioco della mafia.
Bisogna avere il coraggio di fare scelte precise, di decidere da che parte stare.
E non farsi cogliere da sentimenti irrazionali.
Oggi uccidermi è più difficile.
Mi sono esposto con le denunce e ho reso la società responsabile della mia vita.
No, il sistema mafioso non mi eliminerebbe.
Lo farebbe piuttosto se mi cucissi la bocca, se fossi uno di loro"
Libero Grassi, "Giornale di Sicilia", 30 agosto 1991 (il giorno successivo al suo omicidio).
Libero Grassi è morto e continuerà ad esserlo se noi non ne facciamo vivere le passioni e gli ideali nelle nostre piccole e grandi esperienze.
Sfrattiamo dalle nostre menti l'indifferenza.
Scacciamo l'ignavia dai nostri cuori.
Facciamo vivere Libero attraverso le nostre azioni, le nostre parole e i nostri pensieri quotidiani.
Dimostriamo concretamente e senza ipocrisie che lui vive - davvero - con noi e dentro di noi.
Facciamone memoria piena, autentica, pratica.
Evitiamo di mettere in atto la solita, stucchevole, retorica messa in scena utile solo a farci credere - illusi - che la nostra coscienza sia a posto.
Come oggi è il giorno in cui un bimbo di nome Libero è sbocciato alla vita, così il testamento morale che questi ci ha lasciato sbocci nella mente e nel cuore di ognuno di noi.
Già, perchè adesso tocca a noi.
Soltanto a noi.