venerdì 8 giugno 2012

NAPOLITANO PREMIA UN AMICO DEI MAFIOSI

Ai più il nome di Rosario Monteleone non dice nulla, ma è un personaggio su cui è bene soffermarsi, se non fosse almeno perchè protagonista di una decisione improvvida e scellerata presa dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. 
Nato a Careri (Reggio Calabria) il 19 aprile 1958, ma residente a Genova, Monteleone è stato consigliere comunale della città della Lanterna (dal 1997 al 2000), assessore comunale con deleghe al patrimonio, alle politiche abitative, al demanio, all'igiene e all'artigianato (dal 2000 al 2005), consigliere regionale della Liguria (dal 2005 a oggi), vicepresidente del Consiglio regionale ligure (dal 2005 al 2010) e presidente del medesimo Consiglio (dal 2010 a oggi). Milita nel partito di Pier Ferdinando Casini, l'Udc.
Pur non comparendo nel registro degli indagati, il suo nome viene citato nell'ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa il 24 giugno 2011 dal Gip di Genova Nadia Magrini nei confronti di 12 presunti 'ndranghetisti accusati di associazione mafiosa. Il 29 gennaio 2010, a mezzogiorno, Domenico Gangemi (presunto capo della 'ndrangheta genovese) e Domenico Calabrese (presunto suo affiliato mafioso) discutono al telefono dell'appoggio elettorale per un candidato "paesano" in cambio di favori. Trattasi di Aldo Praticò, nato a Reggio Calabria il 28 maggio 1967, dal 2007 al 2012 consigliere comunale di Genova nelle file del Pdl. Ecco una parte del dialogo:
Gangemi: "Al posto di un cane qualsiasi, glielo diamo a un cane dei nostri il voto, che cosa dite voi?"
Calabrese: "Certo, a chi dobbiamo darglielo?"
Gangemi: "Basta che non è il Lardo"
Calabrese: "No, se è per Lardo da me..."
Gangemi: "No, Lardo niente, con Lardo niente da fare, no"
Calabrese: "Lardo deve andare ad ammazzarsi"
Gangemi: "No, questo qua, paesano nostro, è un ragazzo... Logicamente oggi come oggi, al momento, non hanno forza, però se un domani noi gli diamo le forze, può essere che si comporta paesano del tipo che è..."
Calabrese: "Se uno apposta di votare da un'altra parte, votiamo lui"
Gangemi: "Che poi almeno lui lo possiamo andare a prendere dalle orecchie per mandarlo a fanculo come a Lardo".
"Lardo" è il soprannome di Rosario Monteleone (dovuto alla sua imponente stazza fisica), ripudiato dai boss per puntare sul "paesano" Aldo Praticò.
A febbraio dello stesso anno (2010) Arcangelo Condidorio (altro presunto capo delle 'ndrine genovesi) conversa in auto con il figlio Fabio. I due parlano delle elezioni regionali del 28-29 marzo seguente, in particolare della candidatura di Monteleone. Il boss rivela al figlio che non avrebbero appoggiato quest'ultimo, facendo altresì trasparire una certa avversione nei confronti del politico: "Questo adesso l'abbiamo quasi preso a calci nel sedere...". Secondo Condidorio senior, Monteleone aveva avvicinato sia lui, sia Domenico Gangemi (ovvero i due presunti boss a capo della 'ndrangheta genovese) per perfezionare un accordo finalizzato ad acquisire un certo numero di voti. La scelta di non puntare più su Monteleone è verosimilmente dovuta a una mancanza di rispetto del politico Udc nei confronti del boss Gangemi, al quale - dopo le precedenti elezioni - non aveva fatto nemmeno una telefonata di ringraziamento per l'appoggio politico ricevuto. Anzi. Dopo che Gangemi gli aveva detto: "Dobbiamo passare, dobbiamo discutere...", l'ingrato politico aveva risposto: "Qua non c'è da discutere proprio niente". Sempre secondo Condidorio (intercettato), il contributo fornito nelle precedenti elezioni amministrative a Monteleone era stato l'aver fatto sottoscrivere 700 tessere di partito. 
Non è finita.
Nelle carte dell'operazione Crimine, la Procura antimafia di Reggio Calabria ha trascritto le parole rivolte il 4 marzo 2010 (24 giorni prima delle elezioni regionali) da Domenico Belcastro a Giuseppe Commisso (entrambi boss di vertice delle 'ndrine genovesi, arrestati per associazione mafiosa). Riferendosi al boss Domenico Gangemi, afferma: "Ha voluto appoggiare un finanziere, uno sbirro. Cinque anni fa ha detto lui che è sbirro questo qua, un infame... che questo... adesso ha voluto appoggiare a Monteleone lui ... lo potete appoggiare... uno vale l'altro, appoggiamo a Monteleone... adesso questo [lo sbirro, N.d.A.] gli ha promesso un posto di lavoro al genero e voleva appoggiare questo qua".           
Se ciò non bastasse, le indagini eseguite dai carabinieri del Ros di Genova e Reggio Calabria - i cui esiti sono stati redatti in un apposito rapporto consegnato ai magistrati antimafia - hanno consentito di qualificare Rosario Monteleone quale candidato alle elezioni regionali che chiedeva l'appoggio dell'elettorato calabrese rappresentato da Domenico Gangemi, attraverso la mediazione di alcuni intermediari. Secondo i Ros, gli amministratori locali erano perfettamente a conoscenza dell'organizzazione dei clan mafiosi, ai quali si rivolgevano per chiedere i voti. Le 'ndrine si erano così adoperate affinchè i politici amici venissero eletti per poter poi ottenere appalti e altri favori.
Bene, anzi male, perchè con decreto del 27 dicembre 2011, il Capo dello Stato Giorgio Napolitano - su proposta della Presidenza del Consiglio dei Ministri - ha riconosciuto a Rosario Monteleone una prestigiosa onorificenza: l'Ordine al Merito della Repubblica (grado: Cavaliere), di cui l'inquilino del Quirinale è capo. A pensare che tale onorificenza - concessa 6 giorni fa in occasione della festa della Repubblica - premi le benemerenze acquisite verso la Nazione in campo letterario, artistico ed economico, in attività sociali, filantropiche e umanitarie o attraverso lunghi servigi resi nelle carriere civili e militari, vengono non solo i brividi, ma soprattutto una domanda inevitabile da porre a Napolitano: da quando è diventato giusto premiare gli amici dei mafiosi?
Forse Napolitano non conosce (o non ricorda) le parole pronunciate il 19 luglio 2011 - durante la cerimonia di commemorazione della strage di via D'Amelio organizzata dall'Associazione Nazionale Magistrati di Palermo - da Leonardo Guarnotta (Presidente del Tribunale palermitano e membro - insieme a Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e Giuseppe Di Lello Finuoli - del pool antimafia guidato da Antonino Caponnetto):
"Sopravvivono personaggi rappresentativi di quel modo di vedere e condurre la vita che, in niente o quasi, si differenzia dalla filosofia della mafia. Personaggi antropologicamente troppo simili ai Riina, ai Bagarella, ai Provenzano e per i quali i valori e le norme sono specchietto per le allodole o, nel migliore dei casi, spunti retorici per discorsi ufficiali.
La società civile non si libererà dalla soffocante non più tollerabile presenza della mafia, antistato nello Stato, che inquina il tessuto socio-economico-imprenditoriale, sino a quando sarà autoindulgente e tollererà facilmente al proprio interno atteggiamenti paternalistici, clientelari, conformistici, conservatori illegali; insomma atteggiamenti mafiosi e paramafiosi. E' necessario dunque che maturi una forte coscienza collettiva dei valori della legalità".

Nessun commento:

Posta un commento