mercoledì 26 febbraio 2020

DEL GIUDICARE (gli altri) 
DEL DECIDERE (per se stessi)

"Non sono sicuro che si debba perdonare a coloro che muoiono. 
Sarebbe troppo semplice se, alla sera di ogni vita umana, si rimettessero i contatori a zero; se la crudeltà e l'avidità degli uni, la compassione e l'abnegazione degli altri, venissero mellifluamente spacciate per profitti e perdite. Così, gli assassini e le loro vittime, i persecutori e i perseguitati, si ritroverebbero ugualmente innocenti nell'ora della morte? 
Non per me, a ogni modo. 
L'impunità, dal mio punto di vista, è perversa quanto l'ingiustizia; a dire il vero sono le due facce di una stessa medaglia. 
Si racconta che nei primi secoli dell'era cristiana, quando la nuova religione si diffondeva nell'impero romano, alcuni patrizi cercavano di ritardare per quanto possibile la conversione. Non avevano forse spiegato loro che al momento del battesimo tutti i peccati sarebbero stati cancellati? Proseguivano dunque la loro vita dissoluta, per farsi battezzare solo in punto di morte. 
Non so se i pentimenti tardivi abbiano qualche valore agli occhi della religione. Ai miei, non ne hanno alcuno. Né quelli degli antichi romani, né quelli dei miei contemporanei. 
Tuttavia, nell'ora della morte, esiste un obbligo di decenza. 
Quel momento fatale deve serbare una dignità, se si vuole restare umani. 
Qualunque sia, peraltro, il giudizio che si esprime sul moribondo e sui suoi atti. Sì, anche se si tratta del peggiore dei criminali. 
[...] Capita che un uomo commetta un crimine senza meritare per questo di essere definito criminale. Tanto insorgo contro l'impunità, quanto mi rifiuto di collocare tutte le malefatte sullo stesso piano, prescindendo dalle intenzioni, dall'entità o dalle circostanze che, senza assolvere, possono però costituire, come dicono le leggi, delle <<attenuanti>>"

Amin Maalouf, "I disorientati", Bompiani, 2013
(titolo originale "Les désorientés",
letteralmente così come tradotto nell'edizione italiana, 2012).




 "Di solito 
mi fido del mio impulso; 
non che sia infallibile, 
ma ho constatato, nel corso degli anni, 
che mi sbagliavo assai più spesso quando riflettevo a lungo, quando cercavo di prendere in considerazione tutti i dettagli di una faccenda o, peggio, quando allineavo mentalmente, in due colonne contrapposte, le argomentazioni a favore e quelle contro. 
Di conseguenza, distinguo adesso due maniere di pensare. 
Nell'una, la mia testa funziona come un calderone; abbraccia tutti i fattori contemporaneamente, li <<computa>> a mia insaputa, per consegnarmi in fretta il risultato finale. 
Nell'altra, la mia testa agisce come un banale coltello da cucina; si dà daffare per trinciare il reale con l'aiuto di nozioni approssimative come i <<vantaggi>> e gli <<inconvenienti>>, l'<<affettivo>> e il <<razionale>>, con l'unico risultato di confondermi di più. 
Quante volte ho preso decisioni disastrose per eccellenti ragioni! 
O, al contrario, le migliori decisioni a dispetto del buonsenso! 
Sono arrivato dunque a ritenere che fosse meglio che decidessi subito, in un batter d'occhio; poi che mi immergessi pazientemente in me stesso per comprendere la scelta fatta"

Amin Maalouf, "I disorientati", Bompiani, 2013
(titolo originale "Les désorientés",
letteralmente così come tradotto nell'edizione italiana, 2012).



"Non giudico? 
Sì, giudico, passo il mio tempo a giudicare. 
Mi irrita profondamente chi chiede, con sguardo falsamente inorridito: 
<<Non starà giudicandomi?>>. 
Sì, naturalmente, La giudico, non smetto di giudicarLa. 
Ogni essere dotato di una coscienza ha l'obbligo di giudicare. 
Ma le sentenze che pronuncio non toccano l'esistenza degli <<imputati>>. 
Accordo la mia stima o la tolgo, doso la mia affabilità, 
sospendo la mia amicizia in attesa di un supplemento di prove, 
mi allontano, mi riavvicino, mi volto dall'altra parte, 
concedo il beneficio della condizionale, passo la spugna, o faccio finta. 
La maggior parte degli interessati non se ne rende nemmeno conto. 
Non comunico i miei giudizi, non sono uno che dà lezioni, 
l'osservazione del mondo suscita in me solo un dialogo interiore, 
un interminabile dialogo con me stesso"

Amin Maalouf, "I disorientati", Bompiani, 2013 
(titolo originale "Les désorientés"
letteralmente così come tradotto nell'edizione italiana, 2012).

giovedì 13 febbraio 2020

L'ESSENZA DI OGNI RESISTENZA




"Accetta 
infine 
di schierarsi, 
di rischiare, 
perché non tutto sia perduto, 
perché il suo popolo 
non debba vergognarsi 
di tutti i suoi capi"

Antonia Arslan, 
"La masseria delle allodole", 
Rizzoli, 
2004.  





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CORSI E RICORSI DI OGNI GENOCIDIO



"In quella lontana solare giornata di maggio 
lei e i suoi familiari, 
piccoli e grandi, 
tutti sono stati giudicati - e trovati colpevoli - di esistere: 
e Dio si è velato. 
[...] 
Ismene prega con fervore, 
e lancia oscure minacce 
al Dio velato 
che non sembra ascoltarla:
 <<Troppo, troppo. Troppo male è su di loro. 
Non ti pare che sia abbastanza?>> 
brontola, segnandosi tre volte"

Antonia Arslan, "La masseria delle allodole", Rizzoli, 2004. 




"[...] è il giorno più funesto per un paese quello in cui, 
per sentirsi unito, 
sente il bisogno di eliminare una parte dei suoi cittadini, inermi"

Antonia Arslan, "La masseria delle allodole", Rizzoli, 2004. 



"Là le donne circondano i massacrati, 
ognuna con la sua lampada, 
si prendono per mano 
e cominciano solennemente il rito intangibile. 
Ancora per questa volta: 
Sempad e i suoi avranno sepoltura cristiana. 
A tutti gli altri armeni che perderanno la vita in quei mesi funesti, 
trucidati, torturati, morti di sete e di fame lungo le strade anatoliche, 
con scherno coerente 
sarà negato anche ogni funebre rito. 
O meglio: non ce ne sarà bisogno. 
Un singolo morto 
era prima un essere che respirava, era vivo, 
e la sua spoglia è un cadavere che può essere onorato: 
centomila morti 
sono un mucchio di carne in putrefazione, 
un cumulo di letame, 
più nulla del nulla, 
un'immonda realtà negativa di cui disfarsi"

Antonia Arslan, "La masseria delle allodole", Rizzoli, 2004. 





"Sopravvivere 
diventerà 
un caso, 
un'astuzia ingegnosa, 
una prova di forza, 
uno schernevole gioco di dadi che ha in palio la morte" 

Antonia Arslan, "La masseria delle allodole", Rizzoli, 2004. 




"Ogni giorno 
portò il suo orrore quotidiano, 
ogni giorno 
la pena si accrebbe per i sopravvissuti, 
che si trascinavano avanti passo dopo passo, 
sempre più miserabili, sempre più macilenti, 
affrontando 
ogni giorno 
la loro morte quotidiana"

Antonia Arslan, "La masseria delle allodole", Rizzoli, 2004. 



"Per un momento, 
tutti covano un'indistinta speranza: 
<<Qualcuno ci vedrà, qualcuno capirà che cosa ci stanno facendo>>. 
Ma la gente lungo la strada invece sembra non vederli, 
li attraversa con occhi di vetro, 
o si scansa, con visibile disgusto. 
E intorno si fa il vuoto"

Antonia Arslan, "La masseria delle allodole", Rizzoli, 2004. 





"Djelal vede 
ogni giorno 
i bambini scheletrici  
che vagano dappertutto, 
e neanche più chiedono pane, 
solo vagano 
fissano gli altri, tutti coloro che hanno il diritto di vivere"

Antonia Arslan, "La masseria delle allodole", Rizzoli, 2004.