lunedì 9 dicembre 2019

CINQUANT'ANNI FA, IN UNA PIAZZA DI MILANO...


"[...] gli uomini dei servizi s'infileranno ancora in quelle che, 
pur definite eufemisticamente <<deviazioni>>, 
sono così numerose, intrecciate, 
da non far più scorgere - a volte - il retto percorso che doveva essere seguito. 
Deviazioni così consistenti da marcare l'assenza di una volontà politica superiore in grado di incanalare e guidare attività che si pongono sulle estreme frontiere della legittimità del potere, della sovranità dello Stato. 
Confini dove la certezza del diritto, la forza della democrazia, 
sfumano in un'incerta ed insidiosa terra di nessuno.
Non è senza significato che, 
fra tutte le <<deviazioni>> addebitate al Sid, 
e successivamente al Sismi che ne prenderà il posto,
le più gravi, 
e documentate oltre ogni possibile dubbio, visto le sentenze passate in giudicato,
riguardino proprio l'operato dei servizi in connessione ai reati di strage che, a partire dal 1969, insanguinano il Paese.
E' una constatazione che, 
dopo essere stata fatta propria da numerose sentenze, 
costituisce il tema fondamentale delle attività della Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi. 
Sin dalle prime sedute della Commissione emerge, pressoché unanime, 
un comune punto di partenza, 
vera e propria ipotesi di lavoro che guiderà le attività dei commissari.
L'impunità - 
che ha consentito ai responsabili delle stragi avvenute in Italia nell'ultimo ventennio di rimanere sempre (unica eccezione Peteano) nell'ombra - 
non deriva, viene detto, 
<<da oggettive difficoltà connesse al reato di strage 
né da una generica inefficienza degli apparati pubblici, 
ma da atti e omissioni volutamente posti in essere>>.
Quando 
- in connessione con le inchieste sulla strage di piazza Fontana - 
ci si comincia ad imbattere in 
un variegato e strabiliante susseguirsi di atti e omissioni frapposti 
all'accertamento della verità, all'individuazione dei responsabili, 
si è ancora lontani dall'assegnare il giusto significato a questi interventi, a questi accadimenti. 
Solo più tardi, 
quando in connessione con altre, successive stragi, 
si dovranno registrare analoghi, gravissimi interventi, 
ci si renderà conto che 
le omissioni, le falsificazioni, gli occultamenti di indizi, le sottrazioni di testi, i depistaggi, la disinformazione, l'apposizione arbitraria del segreto, 
non prendono posto casualmente. 
Né possono essere ridotte, come si è continuato a fare, 
a dissennate e criminali iniziative da addebitare a figure di servitori dello Stato che, 
dopo anni di tranquilla carriera, 
appena approdano nelle stanze segrete dei servizi di sicurezza 
gettano la maschera e rivelano bagliori di luciferina malvagità. 
S'intravede - 
nel procedere che sbarra la strada alle verità sulle stragi, in questa trasmutazione di persone di grande esperienza che, anziché servire lo Stato si fanno complici di terribili omertà - 
una metodicità, un prevalere di comportamenti così costanti 
da imporre una sorta di triste prevedibilità. 
Elementi che, 
per essere compresi pienamente, 
chiedono che si vada oltre le singole vicende, 
che si superi la ristrettezza delle biografie dei singoli ufficiali, funzionari, incriminati; 
che si giunga perfino a guardare gli eventi al di là del breve e affannato e mutevole operare dei reparti e dei nuclei, dei servizi e degli organismi della sicurezza che pur cambiando, spegnendosi e rinascendo, paiono dispiegare sempre gli stessi comportamenti. 
E incorrere negli stessi gravissimi errori"

Giorgio Boatti, "Piazza Fontana. 12 dicembre 1969: il giorno dell'innocenza perduta", Einaudi, 2009, nuova edizione aggiornata
(il saggio è stato pubblicato per la prima volta nel 1993 dalla casa editrice Feltrinelli).



"Piazza Fontana - 
come Peteano nel 1972, 
la bomba in piazza della Loggia a Brescia e l'attentato al treno Italicus del 1974, 
la strage alla stazione di Bologna del 1980 - 
è il capitolo di una guerra, 
che pur invisibile, 
è cruenta ed è in corso, per oltre un decennio, nella penisola. 
Guerra non ortodossa, pilotata da strateghi così saldamente annidati nei sancta sanctorum dei servizi e della difesa nazionale da rinunciare talvolta [...] ai toni sommessi. Alle coperture mimetizzatrici.
Guerra condotta in tempo di pace e in mezzo alla gente da reti clandestine e da terroristi mossi come fossero eserciti e soldati dispiegati a fronteggiare ogni possibilità d'alternanza nella democrazia italiana.
Guerra dura e sporca: non rispetta innocenti. Nelle  sue inafferrabili mimetizzazioni non conosce perenni fedeltà a schieramenti. Si sottrae alle sue stesse segrete gerarchie. E - a volte - si morde la coda e scatena sorde rese dei conti anche tra le proprie fila.
Di questa guerra piazza Fontana è la prima tragica pagina, 
perseguita con gelida pianificazione. 
Quanto accade dopo - 
principalmente l'impunità ai colpevoli e la verità inaccessibile 
sbarrata dal fronte di omertà che salda, in un patto scellerato, 
potere politico e stratificazione dei servizi, vertici militari e settori della magistratura - 
è la prima volta di tante altre"

Giorgio Boatti, "Piazza Fontana. 12 dicembre 1969: il giorno dell'innocenza perduta", Einaudi, 2009, nuova edizione aggiornata
(il saggio è stato pubblicato per la prima volta nel 1993 dalla casa editrice Feltrinelli).



"La filatura criminale procede infatti 
tra spazientite ordinazioni di timer necessari agli ordigni 
e chiacchiere trascinate 
tra botteghe di libraio 
[il terrorista neofascista Giovanni Ventura,
riconosciuto in via definitiva dai giudici responsabile della strage di piazza Fontana.
Tale verità giudiziaria non ha potuto sortire alcun effetto giuridico
in quanto per i fatti milanesi del 12 dicembre 1969
Ventura era stato irrevocabilmente assolto in un precedente processo, N.d.A.]
e studi d'avvocato 
[il terrorista neofascista Franco Freda,
riconosciuto in via definitiva dai giudici responsabile della strage di piazza Fontana.
Anche per lui tale verità non ha potuto avere alcuna conseguenza giuridica
per la stessa ragione sopra rammentata nel caso di Giovanni Ventura, N.d.A.],
missioni in casolari nella campagna veneta per depositare arsenali d'armi ed esplosivi 
e pasticciati affari fra personaggi che non dovrebbero avere nulla in comune tra di loro.
Vi si aggiungano amicizie strette in collegio e 
vanterie di importanti e misteriosi legami con pezzi grossi degli apparati romani 
capaci di sventare le curiosità e le sacrosante intromissioni 
di qualche servitore dello Stato - 
come il commissario Pasquale Iuliano - 
che non ha dimenticato il proprio dovere 
e che, proprio per questo, 
la pagherà cara 
in un Paese dove il potere è da sempre debole con i forti e forte con i semplici.
[...]
Quella della <<cellula nera>> veneta 
è un'azione di terrorismo e di provocazione politica 
che cresce sotto l'ombra protettiva di apparati contigui a quelli militari, 
si dirama guidata da una pseudo-intelligence 
cresciuta nel sottobosco di un Triveneto 
che allora più che mai è ancora avamposto della Guerra Fredda 
contro il Patto di Varsavia e il blocco comunista.
E in questo contesto è obbligatorio pensare 
alla disperazione di un galantuomo come 
il commissario Pasquale Iuliano, capo della Squadra Mobile di Padova, 
che ha intuito buona parte di quanto è prossimo ad accadere. 
Intercettando le telefonate con cui Freda ordina i timer per gli ordigni, 
Iuliano sarebbe persino vicino a produrre le prove 
dell'escalation eversiva della cellula nera 
a incastrare i responsabili prima che compiano l'ultimo e irreversibile passo. 
Ma è proprio su questo passaggio cruciale che 
da Roma saetta l'ordine che 
lo rimuove dall'incarico e lo esilia, 
per tappargli la bocca e lasciare libero corso alla cospirazione, 
in uno sperduto ufficio della Pubblica Sicurezza in quel di Ruvo di Puglia"

 Giorgio Boatti, "Piazza Fontana. 12 dicembre 1969: il giorno dell'innocenza perduta", Einaudi, 2009, nuova edizione aggiornata
(il saggio è stato pubblicato per la prima volta nel 1993 dalla casa editrice Feltrinelli).



"La strage di piazza Fontana, 
e le azioni di quel 12 dicembre che le sono collegate, 
non costituiscono solo un attentato terroristico.
Rappresentano l'avvio di una strategia volta a mutare, 
con un solo evento di pianificato impatto, 
il panorama politico italiano.
E' una strategia che qualcuno ha definito <<strategia della tensione>> 
e che più propriamente, da lì a qualche anno, troverà il suo nome giusto in <<stragismo>>.
La definizione più sintetica dello stragismo 
è quella data dal presidente emerito Francesco Cossiga 
nel corso di una sua lunga e complessa testimonianza 
davanti alla Commissione parlamentare di inchiesta sulle stragi 
[l'audizione avvenne il 6 novembre 1997, N.d.A.]:
<<Lo stragismo aveva come fine 
- altrimenti era pura follia e quindi terrorismo puro - 
... di creare una situazione di destabilizzazione 
che rendesse possibili avventure autoritarie o dittatoriali. 
Come ad esempio in Grecia>> "
    
Giorgio Boatti, "Piazza Fontana. 12 dicembre 1969: il giorno dell'innocenza perduta", Einaudi, 2009, nuova edizione aggiornata
(il saggio è stato pubblicato per la prima volta nel 1993 dalla casa editrice Feltrinelli).



"Le sentenze definitive 
pronunciate a carico di alcuni degli esponenti di destra qui individuati, 
nonché gli elementi probatori 
ulteriormente acquisiti in questo dibattimento, 
hanno consentito di ricostruire in modo inconfutabile 
l’esistenza di un gruppo criminale che, 
a partire dalla fine del 1968 
(pur con episodi prodromici collocati negli anni immediatamente precedenti), 
definì ed attuò la cosiddetta strategia della tensione, 
teorizzò cioè la necessità storica, 
per un sodalizio di ispirazione neofascista, 
di compiere attentati terroristici 
finalizzati a provocare nel nostro Paese una condizione di tensione sociale 
(anche mediante l’attribuzione di quelle azioni ad organizzazioni della sinistra extraparlamentare od anarchiche) 
che determinasse una situazione di emergenza istituzionale 
e consentisse il sovvertimento delle istituzioni democratiche 
da parte di forze golpiste"

Corte d’Assise di Milano, sentenza n. 15/01 del 30 giugno 2001 
(causa per la strage di piazza Fontana a carico di Maggi Carlo Maria + 4).
Nella medesima pronuncia i giudici parlano di 
"strategia eversiva culminata negli attentati del 12 dicembre" 
e di "funzione eversiva dell’attività terroristica"
ribadendo 
"l’idea di fondo della strategia della tensione, 
cioè la necessità di attuare un'escalation di violenza indiscriminata 
nei confronti dei cittadini, 
finalizzata alla creazione di uno stato di tensione 
che legittimasse l’intervento autoritario 
di forze istituzionali politiche e militari".



"[...] il generale Maletti, 
ex ufficiale del Sid condannato per i depistaggi su piazza Fontana 
e da tempo residente in Sudafrica, 
in un'intervista a un quotidiano nell'agosto del 2000, 
rivela l'apporto che settori dell'intelligence statunitense 
avrebbero fornito nel periodo antecedente la strage 
alla formazione estremista Ordine Nuovo 
[l'organizzazione criminale neofascista responsabile della strage milanese, N.d.A.]
Il tutto per creare, 
con gli attentati, 
un clima adatto a instaurare in Italia un regime autoritario 
simile a quello che i generali greci, 
con l'avvallo della Nato, 
avevano imposto dall'aprile del 1967 ad Atene"

Giorgio Boatti, "Piazza Fontana. 12 dicembre 1969: il giorno dell'innocenza perduta", Einaudi, 2009, nuova edizione aggiornata
(il saggio è stato pubblicato per la prima volta nel 1993 dalla casa editrice Feltrinelli).

domenica 20 ottobre 2019

QUANDO UN LIBRO INDICA LA DIREZIONE DA SEGUIRE...

"I giorni seguenti furono un vero disastro, [Lara, N.d.A.] si sentiva tristissima, dormiva poco, non mangiava più e scese sensibilmente di peso. 
Quando usciva a camminare sembrava una demente: lo sguardo perso, procedeva senza direzione, amareggiata, addolorata, solitaria.
Solo quando si immergeva nella lettura riusciva ad allontanare, almeno per un po', la mente dal suo dramma.
Diego le aveva regalato due libri sul Perù, che non aveva ancora letto: li prese e iniziò a sfogliarli. 
Con grande sorpresa scoprì che sembravano scritti apposta per lei, così ci si immerse per ore, come non era riuscita a fare con gli altri libri che scorreva solo per prendere sonno. Quando si stufava di uno, lo lasciava e ne cominciava subito un altro, alla ricerca di qualche argomento che la interessasse. 
Invece, appena incominciò a leggere La profezia della curandera lo trovò indicato a lei: avrebbe potuto aiutarla a cercare soluzioni al suo caso e a trovare una direzione da seguire. 
Lo lesse dal principio alla fine, poi lo rilesse di nuovo, per tre notti consecutive, perché non aveva sonno. 
Iniziò poi a meditare sulla sua condizione alla luce degli argomenti e dei pensieri presenti in quel libro.
Nella vicenda narrata Kantu, la protagonista, lottava per un amore impossibile: il modo in cui combatteva per conquistarlo impressionò Lara, perché le calzava giusto come un anello al dito. 
Adesso non aveva più preoccupazioni né dolore, era molto più tranquilla e rilassata. C'era una strada!
Nei giorni successivi, Lara aveva in mente solo una cosa: emulare le azioni della protagonista del libro con la quale si era tanto identificata"

Hernán Huarache Mamani, "La donna dalla coda d'argento", Mondadori, 2005 (titolo originale "La mujer de la cola de plata"
letteralmente così come tradotto nell'edizione italiana, 2004).
       

venerdì 4 ottobre 2019

Lo STATO e il CREDO dei MAFIOSI, ovvero quali AFFARI TRATTANO



"<<La domanda è piuttosto semplice. 
Di cosa si sta occupando con precisione?>>.
Mi lascio andare sul divano, incrocio le braccia, raccolgo le idee. 
E mi stupisco della nettezza con cui riesco a rispondergli.
<<Del rapporto fra potere economico, politico e criminalità organizzata>>.
[...]
<<Sa, prima, ha dimenticato un pezzo>>.
<<Scusi?>>.
<<Potere politico, economico, criminalità organizzata>>. 
Alza un dito della mano sinistra per ogni voce dell'elenco. 
Fa una pausa, alza il quarto dito.
<<Potere religioso. 
Anche se alcuni potrebbero ancora definirlo temporale. 
Non sono mondi diversi, non lo sono mai stati. Non lo saranno mai. 
Un paese come l'Italia vive schiacciato da due poli 
che sembrano opposti, ma si assomigliano molto. 
Cosa Nostra e il papato. 
Entrambi controllano il loro territorio, 
entrambi estendono il proprio dominio al di fuori dei loro minuscoli confini. 
Entrambi potrebbero avere un'influenza marginale, ma non accadrà mai. 
Perché il potere, quello vero, quello politico e finanziario, 
è troppo intrecciato con tutti e due 
per poterli ridurre al ruolo che sarebbe logico. 
Sono quattro lati di un medesimo oggetto. 
E per tre di loro, spesso, devi guardare molto da vicino per notare le differenze>>"

Patrick Fogli e Ferruccio Pinotti, "Non voglio il silenzio. Il romanzo delle stragi", Piemme, 2011.




"<<Cosa Nostra fa spesso il lavoro sporco di altri. 
Anzi, fa spesso il lavoro sporco dello Stato. 
Quando sei brutto e cattivo, una macchia in più fa poca differenza. 
Conosce bene in che cosa cercava di mettere il naso il dottor Falcone. 
Le sembra così strano che volessero ucciderlo?
[...] Sa perché le ho raccontato questa storia, dottore?>>.
<<Per farmi capire che non siete sempre voi [i mafiosi, N.d.A.] i cattivi?>>.
Baldacci ride.
<<Una cosa del genere, sì. 
E per spiegarle che 
chi si mette in testa di andare contro rapporti secolari, alla fine viene sacrificato. 
Falcone voleva infilarsi nel giro del riciclaggio. 
Voleva sapere quante delle azioni quotate in Borsa appartenevano a noi [mafiosi, N.d.A.]
Quale percentuale della ricchezza dell'Italia apparteneva a noi. 
Chi erano quelli che diventavano ricchi, grazie a noi. 
Che facevano affari con noi>>.
Baldacci unisce le mani, quasi una preghiera. 
Le muove avanti e indietro, come un pendolo.
<<E questa è una cosa che non si può fare, dottore. 
Cosa Nostra non te lo permette. 
Ma la cosa più importante è che non te lo permette nemmeno lo Stato>>"

Patrick Fogli e Ferruccio Pinotti, "Non voglio il silenzio. Il romanzo delle stragi", Piemme, 2011.




"Spiegare i meccanismi, le motivazioni, i canali, 
la procedura di infiltrazione e cannibalismo 
con cui Cosa Nostra era riuscita 
prima a diventare socia 
e poi a mangiarsi, con un breve tempo di cottura, 
una fetta bella grossa dell'economia reale.
[...]
<<Non potrebbero risolvere il problema neppure volendo>>.
[...]
Non avevo capito a cosa si riferisse 
e lo aveva spiegato col tono che usava, una vita fa, 
per cacciarmi in testa qualche compito difficile.
<<Mi riferivo ai soldi>> aveva detto. 
<<Una volta era facile capire quali erano buoni e quali no. 
Se ti facevi una pera, sapevi che stavi pagando la mafia. 
Se assegnavi un subappalto a certe imprese, sapevi che facevi lavorare la mafia. 
Se aprivi un negozio e accettavi protezione in cambio del pizzo, eri sicuro che i tuoi soldi andavano alla mafia. 
Oggi è tutto diverso. 
Puoi pagarli anche con un vestito comprato in un negozio del centro. 
O versando i soldi in banca. 
Se per qualche motivo si decidesse di estirpare ogni ramo, 
le conseguenze sarebbero così forti che si rischierebbe una rivolta>>"

Patrick Fogli e Ferruccio Pinotti, "Non voglio il silenzio. Il romanzo delle stragi", Piemme, 2011.




"[Don Vito Ciancimino - nel romanzo chiamato don Antonio Prestileo - sta parlando a un ufficiale del Sisde, verosimilmente identificabile nel misterioso signor Franco o Carlo. Entrambi sono stati protagonisti della trattativa Stato-mafia dei primi anni '90 del secolo scorso, N.d.A.]
<<Ieri ho visto il nostro ragioniere di Corleone [Bernardo Provenzano, N.d.A.][...] Dice che [i vertici di Cosa Nostra, N.d.A.] stanno facendo pressione. Che vogliono ottenere la dissociazione [ovvero sconti di pena ai mafiosi che - senza collaborare con la giustizia - si limitino a ripudiare Cosa Nostra. Lo scopo criminogeno di una simile misura è azzerare il pentitismo, N.d.A.]Che gli anni di silenzio stanno per scadere e bisogna che qualche cosa torni indietro. Più di quello che è stato fatto. [...] Non abbiamo mai smesso di trattare, amico mio. In realtà non c'è stata nessuna trattativa. Né quell'estate [del 1993, N.d.A.], né l'estate precedente e neppure negli anni successivi. I miei amici e i suoi [mafiosi i primi, uomini dello Stato i secondi, N.d.A.] condividono lo stesso territorio, che sia la Sicilia o l'Italia ha poca importanza>>.
[...]
[Cambio di scena: ora chi parla è un Pubblico Ministero di nome Daniele. Il suo interlocutore è un generico Colonnello, da identificare tuttavia in Mario Mori, vice comandante del Ros dei Carabinieri all'epoca della trattativa Stato-mafia, N.d.A.]
<<Mi risulta, Colonnello, che qualcuno si stia muovendo per ottenere la dissociazione>>.
<<Le risulta. E chi si starebbe muovendo?>>.
Daniele allarga le braccia.
<<Diciamo le stesse entità con cui ha avuto a che fare lei. Per questo speravo potesse schiarirmi le idee>>.
[...]
Il Colonnello prende una lunga pausa, prima di rispondere.
<<C'era un vecchio progetto di legge che...>>.
Daniele lo interrompe.
<<Leggo i giornali. Quattro, di solito. Lei non è un politico. E non sto facendo riferimento a progetti di legge>>.
<<Allora non ho idea di cosa stia parlando>>.
<<Come per la trattativa, immagino>>.
Il militare si irrigidisce di colpo.
<<Non c'è stata nessuna trattativa. Solo un'indagine. Si legga gli atti>>.
[...]
<<E come è andata a finire?>>.
<<Il soggetto con cui eravamo in contatto si è rifiutato di aiutarci. E la faccenda si è interrotta. Solo colloqui investigativi>>.
Daniele scarta una caramella. 
Il soggetto, pensa. Don Antonio Prestileo [come ricordato prima, si tratta di don Vito Ciancimino, noto politico democristiano e mafioso, N.d.A.]Il corleonese che di Cosa Nostra aveva scelto la faccia pulita e non quella sporca. Il potere pubblico e non quello privato.
[...]
Il Colonnello fa per alzarsi, scuote la testa, ci ripensa.
<<Senta, dottore, cerchiamo di non essere ipocriti. Io e lei abbiamo due compiti diversi. Lei cerca la verità e spesso quello che trova non le piace. Cerca la giustizia, ma non si pone il problema se quello che chiama reato sia qualcosa che serve al bene comune>>.
Daniele si sforza di non ridergli in faccia.
<<E lei? Ora mi dirà che è un eroe>>.
Il militare sembra privo di senso dell'umorismo.
<<Quello di cui mi occupo ha a che fare con le cose che nessuno vuole fare. A volte è davvero simile a infilare le mani nella merda. E non solo quelle. Ovviamente senza protezioni>>. 
<<Non le fa mai schifo?>>.
Il Colonnello incrocia le dita, poi le distende. Quasi una preghiera. Non alza mai la voce.
<<Non è importante. Non conta. Non sono pagato per quello. Da me ci si aspetta che non senta la puzza. Prima, durante. Ma soprattutto dopo>>.
Il magistrato annuisce. Cerca di mantenere la calma.
<<Per conto di chi trattava?>>.
<<Non c'è stata nessuna trattativa>>.
<<Chi erano i suoi referenti?>>.
<<Non c'è stata nessuna trattativa>>.
<<Dovrà rispondermi, prima o poi, lo sa vero?>>.
<<Non c'è stata nessuna trattativa>>.
Daniele abbassa lo sguardo, sorride. Alza la testa di scatto, appoggia i gomiti sul tavolo.
<<Chi era? Un ministro? Due? Sapeva chi c'era dall'altra parte? Ha mai pensato che qualcuno si muovesse alle sue spalle? O magari lo faceva alla luce del sole e lei sapeva tutto?>>.
<<Non c'è stata nessuna trattativa>>.
Daniele stritola l'incarto della caramella.
<<Avete dato a Cosa Nostra un messaggio chiaro, voi mettete bombe e noi scendiamo a patti. Magari non con parole esplicite, ma per quella gente contano i gesti, i segnali, i dettagli. 
Infatti vi hanno preso in parola. 
Ci ha mai pensato, Colonnello? Ha mai pensato che se non avesse avuto quei - come li ha chiamati? - colloqui investigativi, Paolo Borsellino sarebbe vivo?>>.
<<Sta scherzando? Come si per...>>.
Lo interrompe, si sforza di non gridare.
<<Ha mai pensato che i Georgofili, via Palestro, le chiese di Roma [cioè le stragi mafiose del 1993, N.d.A.] erano il loro modo di condurre gli affari? Il modo che conoscevano meglio, quello in cui sapevano cosa ottenere? Ci ha mai pensato?>>.
<<Non c'è stata nessuna trattativa, dottore>>.
<<Lei c'era, Colonnello. Era lì. Sa tutto. Può raccontare tutto>>.
Il militare si allunga in avanti. Scandisce le parole.
<<Non c'è stata nessuna trattativa. Ha capito? Io ho sempre combattuto Cosa Nostra, se lo ricordi>>.
Daniele scuote la testa. Devi stare calmo, pensa. Devi stare calmo.
<<Come Michele Giordano [cioè Bruno Contrada, numero tre del Sisde, responsabile del dipartimento Criminalità organizzata. E' stato condannato in via definitiva a 10 anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa, N.d.A.], Colonnello?>> chiede. <<Me lo dica, è quella la sua concezione di lotta? Cercare il minor male possibile? Sa cosa credo? Che lei sia uno di quelli che dice che con Cosa Nostra bisogna imparare a convivere. Che la vittoria non esiste, non è possibile. E allora tanto vale mettersi il cuore in pace e fare come il tafano con il bue. Una punturina in qua e in là, una succhiata di sangue e sperare che la coda o le orecchie non ti riducano a una poltiglia. Ma il bue resta un bue e tu resti sempre un tafano>>. 
<<E lei, dottore, cosa pensa?>>.
Daniele si sporge sul tavolo.
<<Penso che i Totò Riina, i Bernardo Provenzano, i Messina Denaro, i Brusca, i Badalamenti sono feccia. E che più di loro puzzano quelli che usano i loro quattrini. Gente con un bel vestito di sartoria, i denti bianchi, la camicia stirata, le macchine lucide, un bell'autista educato e la babysitter straniera che resta a casa con la prole e intanto le insegna l'inglese. Merde che vanno alla prima della Scala, al festival del cinema di Venezia, alle regate, alle riunioni di Confindustria, nei consigli di amministrazione. In parlamento. Colletti bianchi che vendono il culo, sputano soldi sbiancati e scartano il liquame in cui sono stati recapitati. Stronzi che profumano come viole>>. Fa una pausa. <<E mi scusi i francesismi>>.
<<Crede che non me ne preoccupi anch'io?>>.
Il magistrato si stringe nelle spalle.
<<Lo ha detto prima. Io e lei facciamo lavori diversi. A me interessa la verità. Per quanto mi riguarda è sufficiente>>.
[...]
Daniele lo guarda. 
Si sente stanco come mai nella vita.
Stanco di parole, di mezze frasi, di minacce che sembrano consigli, di consigli che non sono mai quelli giusti. 
Stanco di difendersi da chi dovrebbe aiutarlo, stanco di non riuscire più a capire chi sono i buoni o i cattivi. Di ascoltare un uomo fedele a Cosa Nostra per scoprire che quelli fedeli allo Stato giocano in realtà la stessa partita, a volte con regole peggiori.
Accenna una risata, guarda fuori dalla finestra, si gira verso il militare.
<<L'Italia, Colonnello, è una Repubblica fondata sui segreti, sulle bombe, sulla collusione, sul depistaggio. Lei da che parte sta? Quella della Repubblica, dei segreti, della collusione, delle bombe o del depistaggio?>>.
Abbassa gli occhi sulle carte, la risposta non è necessaria.
Il militare aspetta un istante. Poi gira la maniglia, volta le spalle alla stanza e se ne va"

Patrick Fogli e Ferruccio Pinotti, "Non voglio il silenzio. Il romanzo delle stragi", Piemme, 2011.




"<<Un potere che si sgretola dalle fondamenta,  
[...] che perde contatto con la realtà, 
indebolito ogni giorno dalla corruzione, dalle inchieste, dagli arresti
[è l'Italia di Tangentopoli "scoperchiata" dall'inchiesta Mani Pulite, N.d.A.]
E un meccanismo criminale, organico a quello stesso potere. 
Il rapporto è quello di un parassita con una cellula sana. 
Solo che spesso è difficile distinguere chi stia parassitando chi. 
[...] Il parassita ha bisogno dell'organismo. 
E l'organismo non può ottenere quello che vuole, senza il parassita. 
Se lo Stato e Cosa Nostra concordano la reciproca sopravvivenza, 
non le sembra un colpo di Stato? 
Se nella reciproca sopravvivenza è previsto 
che le teste dei due organismi cadano, 
che si eliminino i rami secchi, 
gli oppositori, 
chi sa troppo e potrebbe parlare 
o chi è stato usato a sufficienza, 
non le sembra un colpo di Stato?>>.
<<Due>>.
[...]
<<Già. Due. 
Uno per togliere Totò Riina dal vertice di Cosa Nostra. 
E uno per rianimare il potere politico che era morto>>.
<<Molto diverso dal classico golpe>>.
[...]
<<Ma è esattamente quello che è accaduto. 
Prima bastava condizionare. Da Piazza Fontana in giù. C'era un motivo. 
I due blocchi, la posizione strategica dell'Italia, i comunisti. 
Nel '92, invece, tutto è finito. La paura rossa non c'è più. Gladio è stata rivelata>>.
<<E nascosta>>.
<<Ma certo, nascosta. La riconversione è fondamentale, in ogni settore. 
[...] Qui il problema non sono i servizi deviati. 
I servizi deviati non esistono. 
Parliamo di alti ufficiali dei servizi, della polizia, di agenti semplici, di politici e ministri. 
Parliamo di contatti noti, quasi alla luce del sole. 
Di presenze di forze dell'ordine nell'organizzazione di una o forse più di una strage. 
Di una tradizione di depistaggio che parte da Piazza Fontana e arriva qui, a Palermo. 
Non c'è deviazione, capisce? 
La linea è chiara, limpida. Un ordine di servizio>>"

Patrick Fogli e Ferruccio Pinotti, "Non voglio il silenzio. Il romanzo delle stragi", Piemme, 2011.




"<<Mi racconti la storia che conosce>> dice.
Faccio un tiro [di sigaretta, N.d.A.]. Uno solo. E prendo fiato.

La storia che racconto parla di un uomo che tutti conoscono e nessuno sa chi sia [ovvero Silvio Berlusconi, nel romanzo chiamato Luca Rossini, N.d.A.]
Di un ragazzo [Berlusconi da giovane, N.d.A.] deciso a salvare il patrimonio e il nome di un'antica famiglia, prossima alla rovina. 
Di un amico [Marcello Dell'Utri, nel romanzo chiamato Antonio Marsigli, N.d.A.] che gli propone un affare. C'è qualcuno che ha dei soldi da investire, se hai qualche idea vincente. Posso darti una mano.
Sei sveglio, un'offerta così la accetti. 
E non importa se il tuo investitore si chiama Capobianco [nel romanzo è il cognome di una famiglia di Cosa Nostra dedita al traffico di droga e al riciclaggio dei proventi nelle banche svizzere, N.d.A.]
Forse non lo sai nemmeno. 
Non importa da dove vengono quei soldi o se la banca che te li presta odora di mafia.
Il denaro non puzza, lo sanno tutti.
E i tuoi affari funzionano, il nome della famiglia esce dal fango, cominci a essere tenuto d'occhio dalla politica e dalla finanza.
Non c'è niente di strano.
In quella stessa politica, in quella stessa finanza c'è gente che traffica con Cosa Nostra a livelli molto più alti di te. Vorrebbero aiutarti a crescere, perché in Italia la finanza cattolica [si fa riferimento a Roberto Calvi e Michele Sindona, N.d.A.] non se la passa molto bene e ha bisogno di un campione.
E tu sei cattolico. Eccome.
Così, arrivano anche i loro soldi. [...] Ce li mettono di tasca propria e dietro di loro, magari seguendo un consiglio, arriva anche Cosa Nostra siciliana. Il numero uno in persona, Stefano Viola [ovvero Stefano Bontate, N.d.A.].
Così le tue tasche si riempiono di denaro.
Dai vecchi finanziatori, gli gnomi svizzeri del narcotraffico.
E da quelli nuovi, i banchieri che masticano politica e Sicilia.
E tu, il ragazzo, sei un principe del Rinascimento, un genio, un cervello che non dorme mai, che non riesce a stare spento. Inventi, crei, trovi nuove strade. Non sai pensare in grande, riesci a concepire solo qualcosa di enorme, di rivoluzionario. Tocca a te, è il tuo momento, sei il successore designato. [...] 
I metodi sono gli stessi. Non importa chi devi tutelare, non importano i compromessi, non importa il contorno. Non importa se una percentuale di quello che sembra tuo in realtà è di qualcun altro e neppure quello che fa dei soldi che guadagna grazie a te. Non ti interessa, useresti chiunque per salire la scala. Fingeresti di non vedere qualsiasi cosa, per fingere di non aver paura. 
Il mezzo è una funzione del fine, la moralità una macchia di fango, che pulisci dalle scarpe con un'adeguata dose di lucido.
E' tutto facile.
Lo immagino, quel ragazzo, che se lo ripete allo specchio.
Sei un attore, sei un banchiere, sei bravo, sei bello, le donne ti adorano.
Sei un prestigiatore e il mondo è il tuo coniglio.
Poi, un giorno, la macchina si inceppa. Forse la crescita è stata troppa, forse la dose di unto che ti serve per tenere oliato il meccanismo brucia soldi senza produrne più. E anche i tuoi amici politici, quelli che hanno incassato per darti una mano, stanno per cadere in gruppo, uno dopo l'altro [il riferimento è a Tangentopoli e all'inchiesta Mani Pulite, N.d.A.].
Il domino è iniziato.
Il ragazzo sente il rumore delle pedine che cadono.
Tic. Tac. Tic. Tac.
Sono lontane, ma stanno arrivando. Sono ancora poche, ma non si fermeranno. Quel rumore lo tiene sveglio di notte, lo sente sovrapposto al respiro, al battito del cuore.
E i suoi amici, quelli che hanno messo i soldi, quelli che in società non si possono nominare, cominciano a preoccuparsi della fine che farà l'investimento.
Non se la passano bene nemmeno loro. Avete le stesse amicizie [la classe politica e dirigente della Prima Repubblica, falcidiata da Mani Pulite, N.d.A.].
A entrambi manca la terra sotto i piedi.
Tic. Tac. Il buco si allarga.
Tic. Tac. Qualcuno che era diventato grande come te non ha retto. Si è sparato un colpo in testa, per non consegnare l'impero, ha preferito abbandonare la partita [ci si riferisce a Raul Gardini, morto suicida a Milano il 23 luglio 1993. Era stato a capo del secondo gruppo privato italiano, il gruppo Ferruzzi di Ravenna, grazie a lui divenuto socio e prestanome di Cosa Nostra, oltre che dispensatore di tangenti, N.d.A.].
Tic. Tac. Stai per perdere tutto, ma hai una scialuppa di salvataggio.
Serve a te e anche ai tuoi soci impresentabili.
L'amico di una volta [Marcello Dell'Utri, N.d.A.] è ancora al tuo fianco. 
Ha un'idea [stringere un patto con i vecchi amici della mafia siciliana: dopo l'attentato a Maurizio Costanzo e le stragi di Firenze, Milano e Roma, volte a mandare segnali allo Stato nel contesto della trattativa e - allo stesso tempo - ad abbattere il vecchio sistema politico, i Corleonesi avrebbero cessato di piazzare bombe in giro per l'Italia per sostenere la nascita e la vittoria elettorale di un partito della Fininvest; Berlusconi e i suoi, una volta al governo, avrebbero soddisfatto le richieste dei mafiosi comprese nell'accordo, N.d.A.]. La fai diventare tua, la studi con attenzione, perché il cilindro dei trucchi migliori non può essere scarico, non può essersi esaurito.
Una follia. Un salto nel vuoto. Un suicidio.
Ne cerchi un'altra, pensi, resti sveglio notti intere. E gli amici del tuo amico [i boss di Cosa Nostra, N.d.A.], quelli che ti hanno aiutato quando stavi per finire sul lastrico, insistono.
Una volta.
Non vuoi.
Due.
Non ascolti.
Tre.
Ti manca il coraggio.
Quattro.
Si deve fare. Non si fermeranno [con la strategia stragista delle bombe, N.d.A.].
Serve soltanto un assistente di scena.
Qualcuno che metta un dito e fermi il domino.
Qualcuno che abbia qualcosa da perdere.
Come te.
Nessuno scoprirà chi siete veramente.
C'è sempre una via d'uscita e anche questa volta l'hai trovata.
Per sopravvivere, a volte, è necessario rinnovare un patto col diavolo.
E non ti importa molto se per farlo devi peggiorare le condizioni contrattuali.

<<Una bella storia>>.
[...]
<<Non mi dica che non la conosceva>>.
Ignora la mia frase.
<<Lo Stato rinuncia a crollare e ricicla se stesso. 
E qualcun altro salva i propri denari, la propria vita e si garantisce un'esistenza serena, immune da grane e a piede libero [curiosamente questo vale sia per Silvio Berlusconi, che per Bernardo Provenzano, N.d.A.].
Tutti ci guadagnano qualcosa. 
E il gioco è fatto>>.
Fa una pausa.
<<La paura è il messaggio migliore.
E le bombe di quegli anni [1992 e 1993, N.d.A.] erano il biglietto più evidente che si potesse spedire.
Per chi non sapeva nulla e restava col cuore in mano.
E per chi aveva il potere di farle smettere e non voleva decidersi.
Due piccioni con una fava>>.
<<Non credo che Rossini [come ricordato sopra, è il nome scelto nel romanzo per Silvio Berlusconi, N.d.A.] sapesse tutto, sa?>>.
Sorride amaro.
<<Rossini è solo un pupo o un presuntuoso. 
Ha detto bene, prima. Non gli importa, credo sia quello il succo del discorso. Cosa Nostra è un partner commerciale come un altro. 
E lui è stato troppo pavido per riuscire a togliersi di mezzo, quando le cose si sono messe male>>.
Fa una pausa. 
<<In fondo non aveva scelta. 
Mettevano bombe, facevano pressione. 
Immagino anche il suo amico Marsigli [Marcello Dell'Utri, N.d.A.], che avrebbe potuto sbriciolarlo in qualsiasi momento. 
L'impero [aziendale di Berlusconi, all'epoca sull'orlo del fallimento, N.d.A.] cadeva. 
Non gli restavano molte scelte, le pare? 
[...] In fondo ha fatto un favore a tutti. Il gioco stava finendo, il mondo crollava. L'unica possibilità era affidarsi in prima persona all'ultimo campione rimasto. E sfruttare l'opportunità per ricominciare. [...] 
Quando succede qualcosa di così grosso [...] si ottengono due effetti.
Il primo è quello diretto. L'evento in sé. [...] Capaci. Via d'Amelio. Elimini un nemico e il tritolo è molto più duraturo di un proiettile. O scateni il panico.
Il secondo è indiretto e si verifica solo quando la svolta che si decide di dare con l'esplosivo è radicale. Per una raddrizzata non ci si spreca>>. 
La guardo.
<<E sarebbe?>>.
<<Si tagliano i rami secchi. Tutti. Senza esitazione. 
Pensi a quello che è successo. 
Andreotti fuori gioco [...]. 
Riina venduto [da Bernardo Provenzano, attraverso Vito Ciancimino. In questo modo, nell'ambito della trattativa, Provenzano dà qualcosa allo Stato e allo stesso tempo può proseguire a trattare, prendendo nelle sue esclusive mani le "redini del gioco", N.d.A.]. E poi i suoi soldati.
Un aiuto arriva da Tangentopoli che porta via tutto.
La piazza ha la bava alla bocca ed è pronta per qualcosa di nuovo.
La mafia trova altri interlocutori [Berlusconi tramite Dell'Utri, N.d.A.] e sparisce.
La marea sale, il mare torna calmo, i soldi ricominciano a scorrere. 
[...] Per questa gente, Paolo Borsellino era il primo dei rami secchi.
[...] Sa cosa succede qui a Palermo se provi a dare la caccia a Bernardo Provenzano [il nuovo garante della trattativa con lo Stato per conto di Cosa Nostra, N.d.A.]? Ti fanno capire che non è aria. Dritto per dritto. E non ci vuole tanto, mi creda, a pensare che sia coperto dai carabinieri>>.
<<I patti vanno rispettati>> 
[Dopo ben 43 anni di latitanza, Bernardo Provenzano viene arrestato l'11 aprile 2006. Le elezioni politiche del 9 e 10 aprile avevano appena sancito la sconfitta elettorale di Berlusconi e quindi la fine del suo governo. Di certo una singolare coincidenza, N.d.A.].
[...]
<<A volte il vero problema è che ci si rifiuta di credere>> dice. <<Quello che hai sotto gli occhi non basta. Serve qualcosa che lo renda umano, possibile. 
Le rivelazioni che cambiano la vita non piacciono a nessuno. Specie quando ti fanno sentire molto stupido. 
Quante volte si è chiesto se non poteva capire prima? 
Quante volte si è posto il problema del perché ha lasciato passare tutte queste coincidenze, senza farsi domande?>>.
[...]
<<Molte>> rispondo.
<<Vede? Non si senta diverso. Alla maggior parte della gente succede così. 
La vita è già abbastanza difficile, perché preoccuparsi anche del mondo in cui vivi? 
Se sapesse quante volte mi capita di pensare che avrei potuto fare qualcosa, quell'estate [del 1992, N.d.A.]. O che potrei farla oggi. Un atto dimostrativo, che ristabilisca la verità, almeno ai miei occhi>>.
<<Non servirebbe a nulla>>.
[...]
<<No, infatti. Mi farebbero a pezzi, niente di più. Questa storia uscirà quando sarà il momento>>.
<<Crede?>>.
Si solleva dal muro.
<<Non puoi nasconderti per sempre>> dice. <<Farti inseguire per sempre. Fuggire, per sempre. Chi ti ha aiutato a scappare continua ad aver bisogno di qualcuno che sappia correre veloce. 
Prima o poi non sarai più in grado, ti sostituiranno. 
E quando accadrà, ti renderai conto che sei stato solo una pedina. 
E' accaduto a molti, prima di Rossini [Silvio Berlusconi, N.d.A.]
Succederà anche a lui>>.
<<Dimentica i soldi>>.
[...]
<<Crede che sarà difficile trovare qualche altro socio disponibile?>>"
  
Patrick Fogli e Ferruccio Pinotti, "Non voglio il silenzio. Il romanzo delle stragi", Piemme, 2011.




"Questo è il paese delle storie dimenticate.
Le hanno dimenticate quelli che le conoscono e non le raccontano.
Chi le ha vissute e finge di ignorarle.
Chi potrebbe scoprirle e ha troppa paura.
Chi non si interessa e finge che, per un tacito e assurdo rapporto, 
il mondo decida di non interessarsi a lui.
Un'amnesia collettiva che vive di voci di corridoio, 
di particolari che non si saldano mai. 
Di legami che sembrano di fantasia 
e invece esistono, sono lì, sotto un sottile strato di polvere, 
pronti a essere svelati.
L'arma più potente che resta 
è il coraggio di mettere un punto interrogativo in fondo a una frase 
e pretendere una risposta che abbia senso"

Patrick Fogli e Ferruccio Pinotti, "Non voglio il silenzio. Il romanzo delle stragi", Piemme, 2011.

giovedì 29 agosto 2019

SUL DESIDERIO


"Il desiderio non è ciò che vedi, ma quello che immagini"

Paulo Coelho, "Undici minuti", Bompiani, 2003 
(titolo originale "Onze minutos"
letteralmente così come tradotto nell'edizione italiana, 2003).



"<<Tu sei un uomo, Ralf Hart, 
con tutto ciò che questa parola può racchiudere di bello e di intenso. 
Hai saputo sostenermi e aiutarmi; 
hai accettato che io ti sostenessi e ti aiutassi, 
senza che ciò significasse umiliazione.
[...] Vorrei poterti insegnare 
dove toccare il mio corpo, con  quale intensità e per quanto tempo, 
e so che non la reputeresti una recriminazione, 
ma uno stimolo affinché le nostre anime comunicassero meglio.
L'arte dell'amore è come la tua pittura: 
richiede tecnica, pazienza e, soprattutto, inventiva tra gli amanti. 
Ed esige anche audacia: 
bisogna andare al di là 
di ciò che è convenzionalmente definito con l'espressione 
"fare l'amore">>. 
[...]  
<<Poi, faremo l'amore di nuovo, con meno ansietà e più desiderio. 
Vorrei che, finalmente, tu capissi meglio gli uomini. 
[...] Sì, vorrei che tu capissi meglio gli uomini>>, 
ha ripetuto Ralf, notando la mia espressione ironica. 
<<Parli di esprimere la tua sessualità femminile, 
di aiutarmi a navigare nel tuo corpo, 
di avere pazienza e tempo. 
D'accordo, ma ti è mai venuto in mente che siamo diversi, 
almeno riguardo al tempo? 
Perché non te la prendi con Dio? 
Quando ci siamo incontrati, 
ti ho chiesto di darmi qualche lezione sul sesso, 
perché il mio desiderio era svanito. 
E sai qual è il motivo? 
Dopo un certo numero di anni, le mie relazioni sessuali finivano per tediarmi o frustrarmi, 
poiché avevo capito che mi era molto difficile dare alle donne che amavo 
lo stesso piacere che loro procuravano a me. 
[...] Non avevo il coraggio di chiedere: 
"Insegnami il tuo corpo, rivelami i suoi segreti". 
Ma quando ho incontrato te, 
ho visto la tua luce e ti ho amata immediatamente. 
Ho pensato che, a questo punto della vita, 
ormai non avevo nient'altro da perdere se fossi stato onesto con me stesso 
- e con la donna che avrei voluto avere al mio fianco. 
[...] Noi [uomini, N.d.A.] non capiamo niente. 
Pensiamo che sesso ed eiaculazione siano la stessa cosa: 
ma come hai appena detto tu, non lo sono. 
Non impariamo perché non abbiamo il coraggio di dire alla donna: 
"Insegnami il tuo corpo, rivelami i suoi segreti". 
Non apprendiamo perché neppure la donna ha l'audacia di dire: 
"Impara come sono". 
Così ci limitiamo al primitivo istinto di perpetuazione della specie, 
ed è tutto. 
Per quanto assurdo sembri, 
sai che cos'è più importante del sesso per un uomo?>>.
Io ho pensato ai soldi, poi al potere, ma non ho detto niente.
<<Lo sport. 
Perché lì un uomo capisce il corpo di un altro uomo. 
Nello sport, cogliamo il dialogo dei corpi che s'intendono>>.


<<Tu sei matto>>.
<<Può darsi. 
Ma ciò ha un senso. 
Ti sei mai soffermata a pensare 
cosa sentivano gli uomini con cui sei stata a letto?>>.
<<Sì, l'ho fatto. Provavano paura.
Erano tutti insicuri>>.
<<Era peggio che paura. 
E non erano soltanto insicuri, ma vulnerabili. 
Non capivano esattamente ciò che stavano facendo: 
sapevano soltanto che la società, gli amici, le mogli stesse 
dicevano che quell'atto era davvero importante. 
"Sesso, sesso, sesso": 
ecco la base della vita, sbandierata 
dalle pubblicità, dalle persone, dai film, dai libri. 
Nessuno sa di cosa stia parlando. 
Giacché l'istinto è più forte della ragione, la gente sa che va fatto. 
Tutto qua>>.
[...] 
Mi sono inginocchiata, 
lentamente gli ho tolto i vestiti 
e ho visto che il suo sesso era molle, addormentato, inerme. 
Lui sembrava non badarci, 
e io gli ho baciato l'interno delle gambe, partendo dai piedi. 
Il suo membro ha cominciato a reagire lentamente; 
poi l'ho toccato, l'ho preso in bocca 
e - senza fretta, perché non lo interpretasse come un: 
"Avanti, preparati ad agire!" - 
l'ho baciato con la tenerezza di chi non si aspetta nulla 
e, proprio per questo, ha ottenuto tutto. 
Ho visto che si eccitava.
Ha cominciato a toccarmi i capezzoli, 
titillandoli come quella sera nell'oscurità più totale; 
mi ha fatto venir voglia di stringerlo di nuovo fra le gambe, 
o di averlo nella mia bocca, 
o di esaudire qualsiasi sua fantasia o desiderio 
riguardo al modo di possedermi.
Lui non mi ha tolto la giacca. 
Mi ha fatto chinare bocconi sul tavolo, con i piedi ben saldi sul pavimento. 
Mi ha penetrato lentamente, 
questa volta senza ansietà, senza paura di perdermi [...]
Sentivo il suo sesso dentro di me, 
ma avvertivo anche le sue mani sui seni, sulle natiche; 
mi toccava come solo una donna sa farlo. 


Allora ho capito che eravamo fatti l'uno per l'altra, 
perché lui sapeva essere donna - come avveniva in quel momento - 
e io riuscivo a essere uomo - accadeva quando parlavamo 
o ci iniziavamo reciprocamente all'incontro di due anime smarrite, 
dei due frammenti che mancavano per completare l'universo. 
Mentre lui mi penetrava, e contemporaneamente mi toccava, 
ho sentito che quegli atti non erano rivolti soltanto a me, 
ma all'universo intero. 
Adesso il tempo ci apparteneva, 
al pari della tenerezza e della conoscenza reciproca. 
[...] Il suo sesso è rimasto immobile dentro di me, 
mentre le sue dita si muovevano rapidamente 
- e io ho avuto un primo, e un secondo, e poi un terzo orgasmo, 
uno dopo l'altro. 
Avevo voglia di spingerlo via 
- il dolore del piacere può essere così intenso da annichilire -, 
ma sono riuscita a resistere, 
ho accettato che fosse così, 
che potevo sopportare ancora un nuovo orgasmo, 
o altri due, o forse di più... 
...e all'improvviso, dentro di me è esplosa una luce. 
Non ero più me stessa, 
ma un essere infinitamente superiore a tutto ciò che conoscevo. 
Quando la sua mano mi ha portato al quarto orgasmo, 
sono entrata in un luogo dove tutto sembrava pervaso di pace; 
poi, al quinto, ho conosciuto Dio. 
Allora ho sentito che ricominciava a muoversi dentro di me, 
mentre la sua mano continuava a titillarmi, e ho detto: 
"Mio Dio", 
abbandonandomi a chissà cosa, all'inferno o al paradiso. 
Si trattava del paradiso. 
[...] Lui si muoveva sempre più rapidamente, 
e il dolore si fondeva con il piacere. 
Avrei potuto dire: "Non ce la faccio più", 
ma sarebbe stato ingiusto 
- perché in quel momento, lui e io eravamo la stessa persona. 
Ho lasciato che continuasse a penetrarmi fino a raggiungere l'orgasmo; 
le sue unghie adesso erano conficcate nelle mie natiche, 
e io, là, bocconi sul tavolo della cucina, 
stavo pensando che non esisteva un posto migliore al mondo 
per fare l'amore. 
Ancora lo scricchiolio del tavolo, 
il respiro sempre più affannato, 
il dolore provocato dai graffi 
e il mio sesso che batteva vigorosamente contro il suo, 
carne contro carne, ossa contro ossa, 
e di nuovo stavo per avere un orgasmo, insieme a lui 
- e niente, niente di tutto questo era MENZOGNA! 
<<Oh, sì, veniamo!>>.
Lui sapeva che cosa stava dicendo, 
e io ero perfettamente conscia che era arrivato il momento: 
ho sentito il mio corpo cedere, non ero più me stessa. 
Ormai non udivo e non vedevo, 
sperimentavo il piacere del nulla - sentivo soltanto.
<<Oh, sì, veniamo!>>.
E sono venuta, insieme a lui.


Non sono stati undici minuti, ma un'eternità: 
era come se entrambi fossimo usciti dal corpo e camminassimo, 
pervasi da una gioia profonda, da comprensione e affetto, 
nei giardini del paradiso. 
Io ero donna e uomo, lui era uomo e donna. 
Non so quanto tempo sia durato, 
ma era come se tutto fosse immerso nel silenzio, nella preghiera, 
come se l'universo e la vita avessero cessato di esistere 
e si fossero trasformati in qualcosa di sacro, 
senza nome, senza tempo. 
Ma subito dopo il tempo è tornato; 
ho udito le sue grida e ho urlato insieme a lui; 
i piedi del tavolo battevano con forza sul pavimento, 
e nessuno di noi ha voluto domandare o scoprire 
ciò che il resto del mondo stava pensando. 
Poi è uscito da me all'improvviso; rideva. 
Ho sentito il mio sesso contrarsi, 
mi sono voltata verso di lui, ridendo anch'io, 
e ci siamo abbracciati 
come se fosse la prima volta nella vita che facevamo l'amore.
<<Benedicimi!>> mi ha ordinato.
Ho obbedito, senza sapere cosa stavo facendo. 
L'ho pregato di fare altrettanto, 
e lui ha esaudito il mio desiderio, dicendo:
<<Benedetta sia questa donna, che ha tanto amato>>. 
Quelle parole erano davvero belle. 
Ci siamo abbracciati ancora e siamo rimasti lì, immobili [...].
<<Come hai potuto innamorarti di una prostituta 
[colei che parla - Maria - è infatti una prostituta, N.d.A.]?>>.
<<Allora non l'ho capito. 
Ma oggi, se ci ripenso, credo di poter dire che, 
sapendo che il tuo corpo non sarebbe mai stato soltanto mio, 
mi era data la possibilità di concentrarmi 
sulla conquista della tua anima>>"

Paulo Coelho, "Undici minuti", Bompiani, 2003 
(titolo originale "Onze minutos"
letteralmente così come tradotto nell'edizione italiana, 2003).