domenica 13 gennaio 2013

OMOFOBIE ISLAMICHE (E VATICANE)

I protagonisti di questa storia sono una mamma, un papà, un figlio e... la compagna della mamma. 
Già, perchè le due donne convivono e hanno una relazione sentimentale: la madre del bambino è una ex tossicodipendente e la compagna è una ex educatrice della comunità di recupero dove la prima era stata ospitata.
Qual è il problema? L'affidamento del figlio.
Ora, tutti i giudici che si sono occupati del caso (il Tribunale per i Minorenni, la Corte d'Appello di Brescia e la Cassazione) hanno sancito l'affidamento esclusivo alla madre, incaricando i servizi sociali di regolamentare gli incontri con il padre (da tenersi almeno ogni 15 giorni in un ambiente neutro e inizialmente protetto, con facoltà concessa ai servizi di ampliarne modalità e durata, fino a giungere eventualmente a incontri liberi nel caso in cui la situazione evolva in maniera favorevole).
La decisione dei magistrati si è basata su due argomentazioni, entrambe scaturite dalla considerazione dell'interesse del minore:

1) il bambino aveva assistito a un episodio di violenza da parte del padre ai danni della convivente della madre. Tale episodio aveva generato nel piccolo un sentimento di rabbia nei confronti del genitore, dato che la vittima dell'aggressione - in quanto convivente della madre - era una persona familiare al bambino. La condotta del padre è stata pertanto giudicata "grave";

2) il genitore si è allontanato dal figlio da circa 10 mesi, non prendendo parte nemmeno agli incontri protetti. Un simile comportamento non denota certamente la volontà di recuperare le proprie funzioni genitoriali ed è altresì poco coerente con la richiesta di affidamento condiviso e di poter frequentare liberamente il bambino.

Due ottime ragioni - secondo i giudici - per negare l'affidamento congiunto del figlio e stabilire l’affidamento esclusivo alla madre.
Tra le tesi avanzate per ottenere l'affidamento condiviso, l'uomo ha sostenuto che i giudici del Tribunale e della Corte d'Appello non avevano verificato - non espletando un’apposita indagine chiesta dai Servizi Sociali di Settala (Milano) - se il nucleo familiare della madre composto da due donne legate da relazione omosessuale fosse idoneo, sotto il profilo educativo, ad assicurare l’equilibrato sviluppo del bambino, in relazione al suo diritto fondamentale di essere educato nell’ambito di una famiglia quale società naturale fondata sul matrimonio (art. 29 della Costituzione) e secondo i principi educativi e religiosi di entrambi i genitori. Insomma, il padre - data la sua origine e formazione culturale, proprie di un credente musulmano - non riesce ad accettare che una famiglia formata da due donne innamorate possa essere un contesto adatto per farvi crescere il proprio figlio.
La Cassazione (Sezione I Civile - Sentenza 11 gennaio 2013, n. 601), nel confermare pienamente le argomentazioni sostenute dal Tribunale e dalla Corte d'Appello, ha definito le sopra menzionate tesi paterne "inammissibili", in quanto "generiche". Infatti l'uomo non ha mai specificato quali fossero le tanto paventate ripercussioni negative per il bambino sul piano educativo dell’ambiente familiare in cui questi viveva presso la madre. Persino l'accenno ai principi costituzionali è stato bollato dalla Suprema Corte come "generico" e "inconcludente"Ecco le parole con cui la Cassazione ha terminato le motivazioni della propria sentenza:  
"Alla base della doglianza del ricorrente [il padre del bambino, N.d.A.] non sono poste certezze scientifiche o dati di esperienza, bensì il mero pregiudizio che sia dannoso per l’equilibrato sviluppo del bambino il fatto di vivere in una famiglia incentrata su una coppia omosessuale. In tal modo si dà per scontato ciò che invece è da dimostrare, ossia la dannosità di quel contesto familiare per il bambino, che dunque correttamente la Corte d’appello ha preteso fosse specificamente argomentata".
Invece l'uomo non ha argomentato nulla in proposito.
Morale: o si dimostra - con argomentazioni specifiche e certezze scientifiche o dati di esperienza - che far crescere un bambino all'interno di una famiglia omosessuale costituisca per lui un danno, oppure si tratta solo di stupidi pregiudizi omofobi.
A qualcuno, in Vaticano e non solo, suonano per caso le orecchie?

Nessun commento:

Posta un commento