venerdì 4 settembre 2015

AVERE LA FORZA DI CONTINUARE A LOTTARE CONTRO LE PREPOTENZE, 
SENZA ARRENDERSI. MAI!

Rita Atria (1974-1992)
"La morte di una qualsiasi altra persona sarebbe apparsa scontata davanti ai nostri occhi, saremmo rimasti quasi impassibili davanti a quel fenomeno naturale che è la morte ma il giudice Falcone, per chi aveva riposto in lui fiducia, speranza, la speranza di un mondo nuovo, pulito, onesto, era un esempio di grandissimo coraggio, un esempio da seguire. 
Con lui è morta l'immagine dell'uomo che combatteva con armi lecite contro chi ti colpisce alle spalle, ti pugnala e ne è fiero. 
Mi chiedo per quanto tempo ancora si parlerà della sua morte, forse un mese, un anno, ma in tutto questo tempo solo pochi avranno la forza di continuare a lottare. 
Giudici, magistrati, collaboratori della giustizia, pentiti di mafia, oggi più che mai hanno paura, perchè sentono dentro di essi che nessuno potrà proteggerli, nessuno se parlano troppo potrà salvarli da qualcosa che chiamano mafia.
Ma in verità dovranno proteggersi unicamente dai loro amici: onorevoli, avvocati, magistrati, uomini e donne che agli occhi altrui hanno un'immagine di alto prestigio sociale e che mai nessuno riuscirà a smascherare. 
Ascoltiamo, vediamo, facciamo ciò che ci comandano, alcuni per soldi, altri per paura, magari perchè tuo padre volgarmente parlando è un boss e tu come lui sarai il capo di una grande organizzazione, il capo di uomini che basterà che tu schiocchi un dito e faranno ciò che vorrai. Ti serviranno, ti aiuteranno a fare soldi senza tener conto di nulla e di niente, non esiste in loro cuore, e tanto meno anima. 
La loro vera madre è la mafia, un modo di essere comprensibile a pochi.
Ecco, con la morte di Falcone quegli uomini ci hanno voluto dire che loro vinceranno sempre, che sono i più forti, che hanno il potere di uccidere chiunque. 
Un segnale che è arrivato frastornante e pauroso. 
I primi effetti si stanno facendo vedere immediatamente, i primi pentiti ritireranno le loro dichiarazioni, c'è chi ha paura come Contorno [Salvatore Contorno, detto Totuccio, "pentito" di mafia, N.d.A.], che accusa la giustizia di dargli poca protezione. 
Ma cosa possono fare ministri, polizia, carabinieri? 
Se domandi protezione, te la danno, ma ti accorgi che non hanno mezzi per rassicurare la tua incolumità, manca personale, mancano macchine blindate, mancano le leggi che ti assicurino che nessuno scoprirà dove sei. Non possono darti un'altra identità, scappi dalla mafia che ha tutto ciò che vuole, per rifugiarti nella giustizia che non ha le armi per lottare.
L'unica speranza è non arrendersi mai. 
Finchè giudici come Falcone, Paolo Borsellino e tanti come loro vivranno, non bisogna arrendersi mai, e la giustizia e la verità vivrà contro tutto e tutti. 
L'unico sistema per eliminare tale piaga è rendere coscienti i ragazzi che vivono tra la mafia che al di fuori c'è un altro mondo fatto di cose semplici, ma belle, di purezza, un mondo dove sei trattato per ciò che sei, non perchè sei figlio di questa o di quella persona, o perchè hai pagato un pizzo per farti fare quel favore. 
Forse un mondo onesto non esisterà mai, ma chi ci impedisce di sognare. 
Forse se ognuno di noi prova a cambiare, forse ce la faremo"

Rita Atria, tema svolto nell'ambito degli esami per l'ammissione al terzo anno dell'istituto alberghiero di Erice (Trapani), mattino di venerdì 5 giugno 1992. 
Fra le tre tracce proposte, Rita sceglie la seguente: "La morte del giudice Falcone ripropone in  termini drammatici il problema della mafia. Il candidato esprima le sue idee sul fenomeno e sui possibili rimedi per eliminare tale piaga".
Sono trascorsi solo tredici giorni dalla strage di Capaci.
A seguito della prova scritta e degli orali, Rita viene promossa.



Rita Atria



"Con la paura la mafia non si vince"

Rita Atria, parole pronunciate durante l'esame orale in riferimento a ciò che aveva scritto nel tema, 1992.
Dalla testimonianza diretta del commissario d'esame Salvatore Girgenti, professore di Lettere, rilasciata al settimanale "Epoca", 12 agosto 1992.






"Caro signor giudice,
le scrivo perché mi hanno ferita le parole che qualcuno ha voluto dire sul mio conto: sono stata definita una <<pentita>> della mafia. 
Dicono che sono la più giovane <<pentita>> d’Italia perché ho soltanto 17 anni e mezzo. 
Ma io non mi sento affatto una <<pentita>> perché non sono mai stata una mafiosa. 
Sto semplicemente cercando di trovare il coraggio per aiutare la <<nostra>> Sicilia a uscire dalla morsa della mafia. 
L'ho capito da Lei che cosa vuol dire avere coraggio. 
Perchè Lei è un uomo coraggioso dal quale ho imparato tante cose: la prima che nella vita non ci si deve inchinare alla prepotenza. 
Ma soprattutto Lei mi ha insegnato che raccontare la verità aiuta a rimanere sereni e a posto con la propria coscienza. 
In questi mesi ho anche capito che alla Giustizia non servono parole tonanti, ma racconti veri, documentabili, e prove, fatti concreti: sull'emozione deve prevalere il coraggio della ragione. 
Ecco: mio padre è stato ammazzato dalla mafia, mio fratello è stato ammazzato dalla mafia. 
Non voglio più che altri padri e fratelli vengano ammazzati dalla mafia e sino a quando ci sarà Lei al mio fianco non avrò paura di parlare"

Rita Atria, lettera scritta a Paolo Borsellino, 1992.



Rita Atria
"Ora che è morto Borsellino, nessuno può capire che vuoto ha lasciato nella mia vita.
Tutti hanno paura ma io l'unica cosa di cui ho paura è che lo Stato mafioso vincerà e quei poveri scemi che combattono contro i mulini a vento saranno uccisi.
Prima di combattere la mafia devi farti un auto-esame di coscienza e poi, dopo aver sconfitto la mafia dentro di te, puoi combattere la mafia che c'è nel giro dei tuoi amici, la mafia siamo noi ed il nostro modo sbagliato di comportarsi.
Borsellino, sei morto per ciò in cui credevi, ma io senza di te sono morta"

Rita Atria, ultime parole scritte nel suo diario, luglio 1992.
Il 26 luglio 1992 - sette giorni dopo la strage di via D'Amelio - Rita si suicida, lanciandosi nel vuoto dal proprio appartamento al 7° piano di un palazzo di Roma. 
Quaranta giorni dopo avrebbe compiuto 18 anni.




Rita Atria è morta e continuerà ad esserlo se noi non ne facciamo vivere le passioni e gli ideali nelle nostre piccole e grandi esperienze.
Sfrattiamo dalle nostre menti l'indifferenza.
Scacciamo l'ignavia dai nostri cuori.
Impegniamoci, dunque!
Facciamo vivere Rita attraverso le nostre azioni, le nostre parole e i nostri pensieri quotidiani.
Dimostriamo concretamente e senza ipocrisie che lei vive - davvero - con noi e dentro di noi.
Facciamone memoria piena, autentica, pratica.
Evitiamo di mettere in atto la solita, stucchevole, retorica messa in scena utile solo a farci credere - illusi - che la nostra coscienza sia a posto.
Come oggi è il giorno in cui una bimba di nome Rita è sbocciata alla vita, così il testamento morale che lei ci ha lasciato sbocci nella mente e nel cuore di ognuno di noi.
Già, perchè adesso tocca a noi.
Soltanto a noi. 

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