DARE PER PRIMI L'ESEMPIO
Beppe Alfano (1945-1993) |
"Mio padre era un uomo inflessibile.
Difficilmente ammetteva compromessi e spesso peccava perfino di eccesso di zelo.
Come quella volta dell'incidente in classe, per esempio.
Aveva sempre fatto il professore di educazione tecnica alle scuole medie e, quando eravamo tornati in Sicilia dal Trentino nel 1976, aveva ottenuto un posto alla Galileo Galilei di Terme Vigliatore, in provincia di Messina. Divideva le sue ore di lezione tra la sede centrale e quella distaccata, che si trovava a Vigliatore, dove abitavamo.
Anche io, come tutti i ragazzini della frazione, ero iscritta lì nella sezione
unica e per poter essere sua alunna c'era voluta una dispensa speciale del
provveditorato. Siccome inoltre era vicepreside, capitava spesso che me lo
ritrovassi dietro la cattedra anche come supplente.
Ero a casa con la febbre il
giorno in cui uno dei miei compagni ruppe la maniglia della porta, e io venni a
sapere dell'accaduto quando mio padre rientrò, all'ora di pranzo.
Il mattino
dopo tornai a scuola e lui entrando in aula con aria seria, esordì:
<<Mi
ha detto il bidello che è stata rotta la maniglia>>.
Sulla classe calò il
silenzio.
Tutti gli studenti lo amavano e pendevano dalle sue labbra.
Li aveva
conquistati lasciandoli liberi durante le sue ore di discutere di ciò che li
interessava e partecipando ai loro dibattiti con curiosità; quando però era ora
di dedicarsi allo studio, esigeva la massima concentrazione e non ammetteva
repliche.
I ragazzi sapevano che non si arrabbiava gratuitamente, che
considerava la lealtà e la trasparenza valori fondamentali.
Capirono
immediatamente che per la questione della maniglia sarebbe andato fino in
fondo.
<<Voglio sapere chi è stato>> proseguì infatti, guardandoci
negli occhi, uno a uno.
Nessuno aprì bocca e tra i banchi iniziò a serpeggiare
un lieve disagio, benchè tutti dissimulassero.
Papà girò attorno alla cattedra,
ci si appoggiò e incrociò le braccia:
<<Se non viene fuori il
colpevole>> proseguì <<rischiamo di far saltare la gita. O mi dite
chi è stato, o sono costretto a pescare qualcuno io>>.
Ancora silenzio.
Io osservavo la scena dal mio posto, tranquilla e distaccata, perchè la vicenda
questa volta non mi riguardava.
Passarono alcuni istanti che parevano infiniti,
poi mio padre trasse un profondo sospiro e si girò nella mia direzione.
<<Sonia>>.
<<Che c'è?>> sobbalzai, destandomi dal mio
torpore.
<<Se nessuno si fa avanti, paghi tu per gli altri>>.
Sgranai gli occhi: <<Ma io ero assente!>>.
Improvvisamente tutta
l'attenzione si concentrò su di me, anzi su noi due: io ero allibita dalla sua
mossa, lui sembrava amareggiato ma irremovibile.
Adesso erano i miei compagni
che si godevano lo spettacolo e, com'era prevedibile, nessuno di loro si fece
avanti per difendermi.
Naturalmente non ci fu verso di fargli cambiare idea:
fece rapporto additandomi come la responsabile del danno.
Mi arrabbiai da
morire e quel giorno a scuola non gli rivolsi più la parola.
Una volta a casa
fu però costretto a rendermi conto del suo comportamento.
<<Dobbiamo
dare l'esempio>> fu la sua lapidaria giustificazione.
<<Questa
è l'esasperazione dell'esempio!>> protestai.
Non servì a nulla: a pagare
dovevo comunque essere io.
E pagai. Non solo quella volta, ma per tutti e tre
gli anni che lo ebbi come insegnante.
Non voleva che qualcuno pensasse che mi
favoriva, che ero avvantaggiata in quanto sua figlia, così mi trattava anche
molto più severamente degli altri.
Per esempio, mi interrogava tutti i giorni.
Ero una delle prime della classe, con pagelle piene di 8 e 9; solo nella sua
materia avevo 6. Agli esami, la commissione mi voleva promuovere con 9 e anche
allora si intromise insistendo che dovevano darmi 7. Non c'era verso di fargli
capire che anche farmi scontare al negativo quella nostra parentela era
un'ingiustizia. Fortunatamente, agli esami, la professoressa di italiano lo
prese in disparte e, senza troppi giri di parole, lo ridusse a più miti
consigli. Fu probabilmente solo grazie a lei che uscii con il voto che mi
spettava.
Ma si trattò di un'eccezione: di solito mi toccava rassegnarmi.
Del resto,
è quello che succede con le persone dotate di carisma.
Di fronte a un padre
tanto caparbio e trascinatore, non potevo che alzare le mani"
Beppe Alfano, testimonianza della figlia Sonia raccolta nel libro da lei scritto "La zona d'ombra. La lezione di mio padre ucciso dalla mafia e abbandonato dallo Stato", Rizzoli, 2011.
Beppe Alfano con la figlia Sonia |
Beppe Alfano è morto e continuerà ad esserlo se noi non ne facciamo vivere le passioni e gli ideali nelle nostre piccole e grandi esperienze.
Sfrattiamo dalle nostre menti l'indifferenza.
Scacciamo l'ignavia dai nostri cuori.
Impegniamoci, dunque!
Facciamo vivere Beppe attraverso le nostre azioni, le nostre parole e i nostri pensieri quotidiani.
Dimostriamo concretamente e senza ipocrisie che lui vive - davvero - con noi e dentro di noi.
Facciamone memoria piena, autentica, pratica.
Evitiamo di mettere in atto la solita, stucchevole, retorica messa in scena utile solo a farci credere - illusi - che la nostra coscienza sia a posto.
Come oggi è il giorno in cui un bimbo di nome Giuseppe è sbocciato alla vita, così il testamento morale che questi ci ha lasciato sbocci nella mente e nel cuore di ognuno di noi.
Già, perchè adesso tocca a noi.
Soltanto a noi.
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