giovedì 17 dicembre 2015

FATTO SALVO IL SALVO...


Anzi, è il suo esatto opposto.
Qui bisogna aggiungere!
E' necessario infatti menzionare alcuni fatti (inspiegabilmente) taciuti nell'articolo, in modo tale da offrire al lettore una doverosa completezza d'informazione.
"Nel processo [per mafia, N.d.A.] è stato prosciolto da ogni imputazione il figlio Filippo, padre dei due giovani imprenditori eredi dei beni sequestrati", si legge nel testo.
Vero.
Peccato che l'autore si sia "dimenticato" di aggiungere che il soggetto - Filippo Rappa, nato il 20 novembre 1943, figlio di Vincenzo - è stato invece condannato in via definitiva e in tutti i gradi di giudizio per il reato di bancarotta fraudolenta, distrattiva e documentale, per il fallimento - dichiarato con sentenza del 25 marzo 1997 - della "Ing. G. Lambertini S.p.a.", società che per un decennio (ovvero da quando era stata acquisita dalla famiglia Rappa) si è aggiudicata appalti e lavori edili, anche pubblici.
Il verdetto giudiziario conclusivo è stato emesso dalla quinta sezione penale della Corte Suprema di Cassazione per mezzo della sentenza n. 21868 dell'11 aprile 2012 (Presidente Gian Giacomo Sandrelli; Consigliere Relatore Maurizio Fumo).
Secondo i giudici del Tribunale di Palermo prima, della Corte d'Appello del capoluogo siciliano poi e infine della Cassazione, la contabilità della società per azioni "è rimasta del tutto silente" circa i beni presenti nel suo patrimonio.
Nulla, nessuna prova documentale degli introiti, nè alcuna traccia delle movimentazioni - oltre che in entrata - in uscita.
Tale era la situazione che gli organi fallimentari hanno dovuto ricostruire (solo in parte e a grandi linee) l'intero quadro finanziario, economico, contabile e aziendale impiegando una discreta dose di fatica e dimostrando una notevole diligenza (alcuni dati, per esempio, sono stati rinvenuti in un vecchio computer aziendale ormai in disuso).
Infine, a conclusione della loro decisione, i magistrati hanno evidenziato tre fattori decisamente significativi: l'intensità del dolo, il danno ingente causato ai creditori e la gravità del fatto commesso.
Ma c'è dell'altro.
Attraverso l'ordinanza n. 3241 deliberata dal Tribunale di Sorveglianza di Palermo in data 9 novembre 2012, il nostro Filippo Rappa è stato posto agli arresti domiciliari al fine di espiarvi il residuo di pena da scontare proprio per la vicenda della bancarotta fraudolenta sopra esposta (1 anno, 3 mesi e 29 giorni di reclusione). 
Contemporaneamente, però, il Tribunale ha respinto l'istanza di affidamento in prova ai servizi sociali, evidenziando il "rilevante disvalore sociale del reato commesso" e ritenendo "accertato che l'attività lavorativa proposta presso l'azienda vinicola di famiglia, esercitata dalla Simsider s.r.l., di cui erano legali rappresentanti i figli del Rappa, risultava del tutto sfornita di regolarizzazione, non emergendo dalla documentazione in atti alcun rapporto lavorativo di carattere dipendente o di altro genere, e appariva, inoltre, inidonea all'agevole esecuzione dei dovuti controlli, secondo la nota informativa della polizia di Celafù".
La Cassazione (sezione VII penale, ordinanza n. 26912 del 6 marzo 2014, Presidente Umberto Zampetti; Consigliere Relatore Antonella Patrizia Mazzei), poste "la difficoltà dei controlli presso l'azienda di famiglia" e "la carente documentazione del dedotto rapporto di lavoro", non ha potuto far altro che dichiarare inammissibile il ricorso presentato dal pregiudicato, condannando per di più quest'ultimo a pagare le spese processuali e a versare alla cassa delle ammende la somma di 1.000 euro quale sanzione pecuniaria. 
Ecco, cari lettori.
Fatto salvo il "pezzo" di Salvo, sappiate che tutto quanto ho voluto scrivere qui, in questo mio "pezzo", l'ho scritto "solo" per una necessaria, anche se non Vitale, completezza d'informazione.
Era giusto che ne foste informati.

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