"Ora mi soffermo a lungo tra le sale della biblioteca,
scruto uno a uno i dorsi allineati nella sezione narrativa,
estraggo e ripongo i volumi in un'agonia di gesti meditati e indolenti.
Scelgo i classici meno frequentati,
quelli che hanno rare impronte digitali sulle pagine e riposano dentro una spessa patina di polvere.
<<Sempre in mezzo alla carta, eh?>>
mi bisbiglia con una punta di amara ironia la bibliotecaria.
Se ne sta accasciata su una sedia con una luce rassegnata negli occhi,
una voce spenta a tradire ambizioni frustrate.
Con la mano disegno un semicerchio nell'aria,
perlustro tutte le file di scaffali intorno,
e replico con ostinato orgoglio:
<<Questa è ciò che io chiamo felicità>>"
Crocifisso Dentello, "Finché dura la colpa", Gaffi editore, 2015.
"Nemmeno lo schiamazzo dei bambini giù in strada,
affannati a rincorrersi in una partita di calcio,
riusciva a scuotermi dalla mia igienica distanza dalla realtà.
[...] Nulla poteva rapirmi più dei fumetti e romanzi d'avventura ammonticchiati sulla scrivania,
nulla più della mia partita con quei neri caratteri di stampa.
Mentre i miei coetanei collezionavano ginocchia sbucciate e reprimende materne,
io scendevo agonisticamente in campo contro Il piccolo principe e Il mago di Oz,
impegnato nel mio personale torneo a ultimare un romanzo per cominciarne subito un altro,
con la stessa costanza di un tarlo che scava nel legno.
I personaggi erano vivi intorno a me,
tanto che mentre leggevo avevo la percezione di stringermi a loro in un'unica densa realtà,
da cui non potevo e non volevo sottrarmi.
Erano loro i miei amici,
perché dentro quelle pagine mute risuonavano tutte le mie attese"
Crocifisso Dentello, "Finché dura la colpa", Gaffi editore, 2015.
"Nel corso delle mie periodiche spedizioni in biblioteca,
capitava di tanto in tanto che decidessi di non rincasare subito
e di trascorrervi alcune ore.
La biblioteca era l'unico luogo dove sentivo meno opprimente il contatto con gli altri.
Mi riconoscevo in quella umanità pensante
che vive ai margini, che si attarda sui libri
anziché lasciarsi fagocitare
da quella gigantesca cospirazione contro la vita interiore
che prende il nome di civiltà urbana.
Preferivo le mattinate grigie e piovose,
con la luce anemica dei neon a incombere sui tavoli della sala lettura.
Dopo mille esitazioni e ripensamenti,
l'incontro fatale con una copertina allettante.
Sfilavo il volume prescelto dallo scaffale
e mi trascinavo fino all'ultimo tavolo tra quelli disposti in file parallele.
Sedevo in modo tale da vedere dal fondo le altre teste chine,
così che nessuno potesse gettare uno sguardo su di me.
Mi piaceva restarmene lì a leggere,
in quello stanzone semideserto,
cullato dal tambureggiare cupo della pioggia.
Quella mattina gli unici occupanti della sala eravamo io e un uomo
che non ricordavo di avere mai visto tra le mura della biblioteca.
[...] D'un tratto tirò indietro la sedia, si voltò e mi raggiunse al tavolo.
Era un uomo calvo e atletico, dall'aria distinta.
<<Ti piace leggere, eh?>> mi domandò con ingerenza predatoria.
[...] <<Ti ho già notato altre volte>> riprese,
<<ti ho sempre visto a spasso con una scorta di libri sottobraccio.
Se penso ai tanti giovani sbandati che buttano le giornate a oziare
c'è da ammirarti>>.
Soffocai una risata,
pensando al disprezzo che semmai mi inseguiva da che ero nato.
Ora quest'uomo sosteneva che io fossi degno di ammirazione.
<<C'è chi mi dà del perdigiorno>> dissi esitante,
indeciso se compromettermi o meno con una confidenza prematura.
<<Viviamo nella dittatura della norma, non te ne sei mai accorto?>>
si era rianimato l'uomo, alzando appena la voce.
Non gli interessava la mia risposta. Era una domanda retorica.
Ne aveva semplicemente bisogno per ripartire.
<<Nessuno sopporta l'eccezione, nessuno.
Ci soffocano con il mito della normalità per spegnere le menti superiori>>"
Crocifisso Dentello, "Finché dura la colpa", Gaffi editore, 2015.
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