domenica 26 ottobre 2014

PRESIDENTE, NON SI VERGOGNA
PROPRIO!

<<Non vedo>> 

Gentile Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano (meglio noto come Re Giorgio),
è la terza volta che Le scrivo, dopo le mie lettere dell'8 marzo e del 1° ottobre scorsi.
Avrà certamente saputo che nell'udienza di due giorni fa del processo sulla trattativa Stato-mafia, la Corte d'Assise di Palermo - per bocca del suo Presidente Alfredo Montalto - ha pronunciato un'ordinanza, nella quale compaiono le seguenti parole:

"Nel caso della testimonianza del Presidente della Repubblica […] operano anche i limiti derivanti dalla pronuncia della Corte Costituzionale del 4 dicembre 2012 relativa alle attività anche informali del Capo dello Stato. Inoltre sia per l’assenza – ovviamente - di poteri coercitivi di sorta, sia per le prerogative costituzionali che in genere tutelano la persona che svolge la detta funzione, non può prescindersi di fatto dalla manifestazione di disponibilità del Presidente della Repubblica all'assunzione della sua testimonianza. Tale disponibilità può essere negata o concessa e – in quest’ultimo caso – può anche essere successivamente e  in qualunque momento revocata, e la Corte non potrà che prenderne atto. […] In conclusione, quindi, l’esame del Presidente della Repubblica - fatti salvi i limiti già più volte ricordati derivanti dalla sopra citata sentenza della Corte Costituzionale - potrà e dovrà procedere secondo le ordinarie regole che disciplinano la prova testimoniale, con le sole peculiarità - conseguenti alle prerogative costituzionali pure ricordate - connesse al luogo di assunzione della testimonianza ed alla connaturale facoltà del Presidente della Repubblica di  revocare in qualunque momento la disponibilità a testimoniare in atto comunicata alla Corte".

Ha capito?

Siccome è tutelato da prerogative costituzionali e non si può costringerLa a parlare, nè andarLa a prendere per condurLa forzatamente alla presenza della Corte, Lei può negare in qualunque momento la sua disponibilità a testimoniare e i giudici saranno costretti a prenderne atto.
E pazienza se:

a) i testimoni sono obbligati a "presentarsi al giudice" per "rispondere secondo verità alle domande" (art. 198, c. 1 c.p.p.);

b) essi commettono il reato di "falsa testimonianza" (art. 372 c.p. - reclusione da 2 a 6 anni), qualora si rifiutino di rispondere o tacciano - in tutto o in parte - ciò che sanno (del resto, anche l'art. 497, c. 2 c.p.p. ricorda che i testimoni reticenti sono penalmente responsabili); 

c) il giudice può ordinare l'accompagnamento coattivo dei testimoni che - senza un impedimento legittimo - non si presentino in udienza (art. 133, c. 1 c.p.p.).

Ma c'è di più.

Terminata la lettura dell'ordinanza, il Presidente Montalto "informa altresì le parti, in base a quanto comunicato dalla Presidenza della Repubblica, […] che non saranno ammessi nella sala destinata all'assunzione della testimonianza apparecchi cellulari, computer e - più un generale - strumenti di registrazione di quanto avviene nell'udienza. Ovviamente - come concordato anche in questo caso con la Presidenza della Repubblica - invece sarà attuata l’ordinaria audio-registrazione dell’udienza, come avviene in tutte le nostre udienze e quindi poi si seguirà l’ordinario procedimento per quanto riguarda le attività consequenziali".

Ma quali strabilianti e fantasmagorici poteri ha, signor Presidente? 
Adesso capisco perchè la chiamano "Re Giorgio"...
Cioè, siccome Lei non vuole avere tra i piedi i giornalisti - ovvero coloro i quali utilizzano nello svolgimento del proprio lavoro cellulari, computer e strumenti di registrazione - la Corte si adegua ai suoi voleri regali (anche se l'audio della sua testimonianza verrà registrato). 
Eppure 9 giorni prima, il 15 ottobre 2014, lo stesso Presidente Montalto aveva ribadito "l'interesse sociale particolarmente rilevante alla conoscenza del processo", sottolineando che "l'esame testimoniale in questione [ovvero il suo, N.d.A.] è atto non destinato alla secretazione"Pertanto "nulla osta [...] alla chiesta realizzazione di un collegamento video e/o audio tra la sala nella quale sarà assunta la testimonianza ed una postazione esterna riservata alla stampa".
Ma ecco la formula magica: "fatte salve le determinazioni rimesse alla Presidenza della Repubblica".
Ergo, l'ultima parola spettava a Lei, soltanto a Lei.

<<Non sento>>

Non che le sue numerose precedenti prove di intrepido coraggio (perchè per dire o non dire, fare o non fare certe cose bisogna avere veramente un bel coraggio...) siano state da meno, ma stavolta deve averla davvero combinata grossa se il suo "divieto d'accesso" ha persino provocato la reazione dei cronisti nostrani. 
Infatti, nella tarda serata di venerdì 24 ottobre, il presidente dell'Ordine Nazionale dei Giornalisti (Enzo Iacopino) e il presidente dell'Ordine dei Giornalisti di Sicilia (Riccardo Arena) hanno reso di dominio pubblico un comunicato congiunto, nel quale "prendono atto con notevole perplessità della decisione – peraltro non comunicata espressamente, con note ufficiali – della Presidenza della Repubblica di non consentire né l’ingresso dei giornalisti al Quirinale, né di realizzare un collegamento in video o in audio con una sala anche esterna al palazzo, così come era stato chiesto per assicurare un’informazione completa riguardo all’udienza del 28 ottobre del processo sulla cosiddetta Trattativa Stato-mafia. Pur nel massimo rispetto dell’alta istituzione e della persona di Giorgio Napolitano, Iacopino e Arena osservano che anche la Corte d’assise aveva dato il proprio nulla osta ai cronisti, in considerazione del fatto che l’udienza in sé non è segreta [ma sarà senza pubblico, N.d.A.]. L’impossibilità di raccontare <<senza filtri>> l’audizione del Capo dello Stato su temi così delicati rappresenta ora un notevole vulnus alla libertà di stampa e al diritto di tutti di conoscere che cosa realmente avverrà di fronte ai giudici, creando pericolosi ostacoli nel rispetto della verità sostanziale dei fatti e rendendo concreta la possibilità che, volontariamente o involontariamente, la testimonianza del presidente sia oggetto di manipolazioni o fraintendimenti. I presidenti dell’Ordine nazionale e regionale avevano sollecitato un’apertura da parte del Colle, proprio per prevenire questi rischi, a tutela dei diritti dei cittadini e dello stesso presidente della Repubblica. Adesso si augurano che nessuno invochi la mancanza di professionalità dei giornalisti, se qualcuno di questi pericoli si tradurrà in realtà".

Ma si rende conto?

I giornalisti italiani (non proprio dei cani da guardia del potere, semmai da compagnia) se la sono giustamente presa con una sua decisione occulta ("non comunicata espressamente, con note ufficiali") che - a loro avviso - sortirà almeno cinque effetti dannosi per i cittadini:

1) essi non potranno disporre di "un'informazione completa";

2) dovranno accontentarsi di un racconto dei fatti filtrato e non diretto;

3) verrà pregiudicato (no, non si preoccupi, non mi riferisco alla persona che ogni tanto riceve al Quirinale) il loro diritto fondamentale di ricevere informazioni da una stampa libera;

4) verrà pregiudicato (no, Le ho appena detto che non sto parlando del frodatore fiscale che Lei tiene così tanto in considerazione) il fondamentale "diritto di tutti di conoscere" la sua deposizione "su temi così delicati";

5) sarà pericolosamente ostacolata la "verità sostanziale dei fatti".

Qualora se ne sia dimenticato - data anche la sua veneranda età - Le rammento che la Costituzione della Repubblica italiana - e non quella della Monarchia Napolitana - sancisce che "la stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure" (art. 21, c. 2) e che "i cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore" (art. 54, c. 2).

Se lo ricorda, vero?

<<Non parlo>>

Poichè presumo di no (ma da dove mi deriverà mai questo dubbio amletico?), La esorto a leggere un paio di articoli de "il Fatto Quotidiano", che so essere una delle sue letture predilette in certi momenti della giornata (sa, quando la natura chiama...).

Il primo - intitolato "Trattativa, Colle a porte chiuse. Sì alle domande di Riina", a firma dei giornalisti Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza - è stato pubblicato nell'edizione di ieri e contiene le seguenti considerazioni:

"Ricerca [della verità, N.d.A.] a cui le domande poste al capo dello Stato potranno dare un contributo, ma che rischiano di restare nel chiuso delle stanze del Colle: finora il Quirinale ha pensato a <<blindare ulteriormente>> l'udienza di martedì 28 ottobre con una lettera alla Corte di assise nella quale rende noto il divieto di utilizzare al Quirinale telecamere, pc, cellulari. Nessun accenno ai giornalisti anche se gli strumenti citati sono proprio i mezzi di lavoro dei cronisti, che ad oggi non sanno ancora se e come potranno assistere all'udienza quirinalizia. Sembra infatti tramontata l'ipotesi di allestire una saletta nella Prefettura di Palermo collegata con l'udienza in video conferenza, e nessuna comunicazione finora è stata fornita alla stampa. Ad oggi, dunque, la prima udienza in cui un presidente della Repubblica viene sentito come teste rischia di essere celebrata a porte chiuse, con i funzionari quirinalizi che trascrivono l'udienza per poi consegnare il verbale al presidente della Corte. È uno scenario possibile in assenza di una indicazione chiara che ancora non proviene né dal Quirinale né dalla Corte d’assise. L'unico segnale, di una settimana fa circa, è un buffetto affettuoso del presidente Montalto a uno dei cronisti presenti nel palazzo di Giustizia e una frase augurante: <<Sto pensando anche a voi>>. Come, però ancora non viene detto e a oggi, i cronisti non sanno né se potranno entrare al Quirinale né se una volta dentro, potranno accedere alla sala trasformata in un'aula di udienza".

Il secondo "pezzo" appartiene all'edizione odierna del quotidiano diretto da Antonio Padellaro e consiste in un'intervista a Philip Willan, corrispondente da Roma per "The Times", "Sunday Herald" e "IDG News Service". Il giornalista britannico spiega:
  
"Davvero credono che nascondendo la deposizione si possa tutelare la dignità del capo dello Stato? [...] Ci sono due principi in contrasto: da una parte la dignità del capo dello Stato, che Napolitano teme di vedere lesa. Ma ce n’è un altro più importante: la giustizia è uguale per tutti, e questo è il principio che dovrebbe prevalere. Poi c’è l’oggetto del processo: la trattativa tra lo Stato e la mafia. Ecco, considerando questo scenario, il sospetto che sia avvenuto qualcosa di non solo illegale, ma anche di vergognoso, è viva. […] Napolitano è un rappresentante politico di lunghissima data: se si avvalesse del diritto di non rispondere, confermerebbe l’impressione che c’è qualcosa di molto imbarazzante da nascondere. La stampa serve a questo: ad aiutare l’opinione pubblica a farsi un’idea su un passaggio cruciale della storia del Paese. [Nel Regno Unito non sarebbe ipotizzabile una misura del genere, N.d.A.], gli unici casi di processi a porte chiuse sono quelli che riguardano la sicurezza dello Stato o quelli di minori vittime di abusi. Ma in entrambi i casi, lo si fa solo per tutelare l’incolumità dei testimoni, quindi non c’entra nulla. E, comunque, anche in questi casi la stampa ha protestato perché il controllo dei mezzi di informazione serve a scongiurare il rischio di decisioni arbitrarie e prese in segreto. […] Credo però che per la salute della democrazia italiana debba prevalere il principio di uguaglianza davanti alla legge. Vede, più vengono invocati dei privilegi a tutela della dignità istituzionale, più quella dignità viene meno, perché diventa poi legittimo chiedersi cosa si cerca di nascondere. Tutto questo non è rassicurante per la democrazia. […] a Washington sarebbe impensabile per un presidente una deposizione a porte chiuse, non importa quale sia il segreto militare o storico da tutelare. […] In Italia ci sono troppi misteri che aleggiano sulla democrazia. E i misteri portano a ricatti, che condizionano i protagonisti della vita pubblica e politica del Paese. Questa vicenda rientra nello stesso filone: quello in cui lo Stato si comporta in modo ambiguo e cinico. Anzi, criminale".

Ha letto, signor Presidente, come si comportano i Paesi civili e democratici (e non quelli barbari e napolitanocratici, come il nostro)?
"Si sta diffondendo, io credo, in Italia, un senso di insofferenza per il trascinarsi di vecchi assetti strutturali e di potere" (dal suo intervento alla cerimonia di consegna delle insegne di Cavaliere dell'Ordine "Al Merito del Lavoro", Palazzo del Quirinale, 23 ottobre 2014).
E' davvero sicuro che mentre proferiva tale perla di saggezza non si stava guardando allo specchio? 
Si ricorda che Lei tra otto mesi compirà 90 anni e che è stato eletto per la prima volta in Parlamento nel lontano 1953, vero?

Non si vergogna proprio, signor Presidente della Repubblica!


In ogni caso, per concludere questa mia lettera, vorrei - se me lo consente; e se non me lo consente lo faccio lo stesso - confidarLe il modo in cui, a mio avviso, Lei si sarebbe dovuto comportare:

<<I magistrati hanno intercettato alcune mie conversazioni telefoniche acquisite all'interno di un procedimento penale che riguarda la trattativa intercorsa tra lo Stato italiano e Cosa Nostra nei primi anni '90?  
Benissimo, io non ho nulla da nascondere, anzi.
Non solo la loro pubblicazione non mi arreca alcun danno, ma ho tutto l'interesse che siano note all'opinione pubblica, così da poter dimostrare - nero su bianco - che incoraggio e sostengo personalmente la lotta ai mafiosi e ai loro potenti amichetti.  
D'altra parte, io, le mafie, le combatto strenuamente e senza sosta da più di sessant'anni, da quando cioè sono diventato Onorevole. 
Ma per chi mi avete preso? Per un occultatore? 
Come dite?
Sono anche chiamato a testimoniare di fronte a quel tribunale della Repubblica che sta procedendo per fare completa luce su eventi tragici e infami della nostra storia recente?
Non c'è problema. 
Premetto che mi sarebbe molto piaciuto presentarmi spontaneamente in Procura tanti anni fa, ma sapete com'è, già all'epoca non ero più il giovane di un tempo. 
Comunque ora corro immediatamente dai giudici nonostante i miei numerosi acciacchi, perchè - anche se il primo comma dell'articolo 205 c.p.p. prevede che la mia testimonianza venga assunta al Palazzo del Quirinale - voglio dimostrare, con la mia presenza a Palermo, che la massima carica dello Stato è al fianco di quei pubblici ministeri reiteratamente minacciati di morte (e non solo dai mafiosi).
Chiedo infine che possano assistere alla mia deposizione in aula non solo i giornalisti, ma anche le associazioni e i cittadini a cui - come me - sta a cuore la legalità, la verità e la trasparenza.
Come ho già ribadito, non devo nascondere niente a nessuno.
Io sono il Presidente, non il Reticente, della Repubblica. Ricordatevelo! 
Non immaginate nemmeno quanto sia felice e orgoglioso di portare il mio contributo di verità per rendere finalmente vera giustizia a Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e a tutti coloro i quali si siano immolati per lo Stato, quello vero!!!   
Finalmente i miei detrattori capiranno, una volta per tutte, che si sbagliano, che non sono un monarca intoccabile e inascoltabile, ma un semplice servitore delle Istituzioni>>.

Buona testimonianza, signor Presidente!

Sempre non devotamente suo,

Danilo Rota


P.S. Non so se lo ha saputo, ma "il Presidente Giorgio Napolitano ha sottolineato in più occasioni che il Quirinale è la casa degli italiani. Da anni il Palazzo è aperto al pubblico quasi ogni domenica [...] e in altri giorni è accessibile alle scolaresche per visite programmate. Adesso di questa casa i cittadini d'Italia e del mondo hanno le chiavi, in ogni momento e dovunque si trovino, anche gli utenti della rete" ("Annuncio della nuova visita virtuale del Palazzo del Quirinale", 31 maggio 2014). 
Un suggerimento: prima di far redigere e diffondere dai suoi dipendenti un simile comunicato, sarebbe utile informarli del cambio di proprietà. 
Non più pubblica (cioè degli italiani), ma privata (cioè sua).
Come si dice: quando un Re chiude una porta (ai cittadini e ai giornalisti), apre un portone (ai ladri).


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