CHI LO DICE AL VATICANO?
Tempo fa in Italia si è molto dibattuto sulla necessità di introdurre nell'ordinamento
penale un'aggravante di omofobia e, più in generale, di discriminazione legata
all’orientamento sessuale. In particolare, è stata la deputata del Pd Anna
Paola Concia (lesbica dichiarata) a perseguire tenacemente una simile battaglia
politica (a proposito: quando anche gli eterosessuali si batteranno in prima
linea per difendere i sacrosanti diritti degli omosessuali?). Ovviamente non se
ne è fatto nulla (altrimenti chi l'avrebbe detto al Vaticano?).
Tuttavia, come
sempre più spesso accade nel nostro Paese, le buone notizie giungono dalla
magistratura. Infatti il
giudice Massimo Tomassini del Tribunale di Trieste, attraverso un'ordinanza del
2 dicembre scorso, ha stabilito che esiste già l'aggravante per discriminazioni
legate all'orientamento sessuale: è riconosciuta dall’art. 3 c. 1 della legge
Mancino (la 205/93). Il provvedimento
fa notizia (?) poiché si basa su una valutazione in punto di diritto totalmente
nuova, nonostante la relativa disposizione legislativa sia in vigore da quasi 19
anni.
La norma in
questione prevede un’aggravante per tutti i reati non punibili con l'ergastolo
commessi "per finalità di
discriminazione o di odio etnico, nazionale, razziale o religioso". Compiendo un’analisi
squisitamente linguistica, il giudice triestino ha notato che i concetti di
"discriminazione" e "odio" (già differenti di per sé) sono
separati dalla congiunzione avversativa "o", pertanto gli aggettivi seguenti
al termine "odio" (cioè "etnico", "nazionale",
"razziale" e "religioso") non si possono riferire anche
alla "discriminazione", altrimenti avrebbero dovuto essere declinati
al plurale. Inoltre tale interpretazione trova conferma nella loro esclusiva
declinazione al maschile, in evidente riferimento all'unico sostantivo di tal genere
(cioè "odio"). La conclusione tratta
è consequenziale: l'”odio” può essere contestato solo se caratterizzato da
motivi etnici, nazionali, razziali o religiosi (dunque, non sessuali), mentre la
“discriminazione”, non essendo legata a tali specifiche caratteristiche,
comprende ogni forma discriminatoria nei confronti di chiunque.
Ecco quindi integrata
l’aggravante sessuale. Tomassini ricorda
che scopo della legge Mancino è punire con maggiore severità ogni comportamento
finalizzato a creare “discriminazione” (cioè disparità iniqua di trattamento) oppure
“odio”. Tuttavia è solo in riferimento a quest’ultimo che il Parlamento ha
voluto fornire specificazioni ben precise (legate solo all’etnia, alla
nazionalità, alla razza o alla religione), non richieste invece per la “discriminazione”.
Essa può dunque autonomamente sussistere in una serie indeterminata (e
"forse indeterminabile”, scrive Tomassini) di eventi di varia natura,
anche sessuale.
Ad esempio, dire "frocio bastardo" rappresenta
di certo un’offesa legata a un sentimento d’odio riservato a una persona omosessuale,
ma non è penalmente rilevante (lo sarebbe solo se avesse riguardato l'etnia, la
nazionalità, la razza o la religione).
Sono invece
soggette all’aggravante ex art. 3 c. 1 della legge Mancino le minacce rivolte
con espressioni come quelle contestate nella vicenda posta al vaglio del
Tribunale friulano: "guardati alle
spalle: sarai il primo frocio dell'università a pagarla per lo schifo che fai.
Una di queste sere ti prendiamo e te ne diamo tante che quando abbiamo finito
non piacerai più neanche ai tuoi amici succhia cazzi! Tu e quelli del tuo
gruppo uguali, ma froci verrete eliminati tutti".
In questo caso emerge
una differenziazione (cioè una discriminazione) che tocca non solo il singolo
soggetto, bensì un'intera categoria di persone accomunate dal medesimo
orientamento sessuale. Poiché la legge
Mancino tutela non il singolo individuo, ma un'ampia categoria di persone vittima
di un reato aggravato dalla finalità discriminatoria, non solo l’aggravante di
cui all’art. 3 c. 1 va riconosciuta anche nei casi di omofobia o legati
all’orientamento sessuale, ma i magistrati devono inevitabilmente procedere
d’ufficio (senza avere la necessità di richiedere la denuncia della vittima per
poter procedere penalmente), poiché l'interesse a reprimere tali condotte
discriminatorie non è tanto della vittima, quanto dello Stato.
E adesso chi lo
dice al Vaticano?
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