domenica 1 aprile 2012

VIOLENZA ISLAMICA

Un cittadino marocchino di fede islamica costringeva la figlia di 12 anni a studiare il Corano fino all'una di notte e la percuoteva quotidianamente ogniqualvolta non ne avesse saputo ripetere perfettamente a memoria i versi. Alla povera bambina il padre imponeva sistematicamente una vita infernale, impedendole di dormire per un numero di ore sufficiente per il suo sviluppo psico-fisico e colpendola persino con un manico di scopa. Per fortuna lo zio della piccola (il fratello del padre violento) si era comportato in maniera divergente: dopo che una volta la nipotina si era rifugiata da lui e il fratello voleva riprendersi la figlia usando la consueta violenza, si era schierato in difesa della ragazzina e aveva chiamato i carabinieri.
Processato, l'uomo è stato condannato per maltrattamenti e lesioni aggravate in tutti i gradi di giudizio: prima dal Gup di Ravenna (sentenza del 12 novembre 2007), poi dalla Corte d'Appello di Bologna (sentenza del 2 marzo 2010), infine dalla Cassazione (sezione VI penale - sentenza 30 marzo 2012, n. 12089).
L'imputato - attraverso i suoi legali - si era difeso sostenendo di aver agito per finalità educative in un contesto culturale e familiare rigidamente patriarcale, che lo avrebbe fatto sentire legittimato a comportarsi da "padre padrone", secondo il proprio codice etico-religioso. Se era ricorso all'uso della forza, insomma, era stato solo per il bene della piccola figlia; per di più, essendo egli estraneo al processo di evoluzione del costume e delle scienze pedagogiche, ciò avrebbe dovuto costituire un motivo di giustificazione (la non conoscenza delle norme italiane).
Nessun giudice però ha potuto condividere tale formulazione difensiva, dal momento che è assolutamente irrilevante l'ignoranza della legge penale quando le condotte dell'imputato - come nel caso trattato - abbiano palesemente violato i diritti fondamentali della persona umana riconosciuti dalla Costituzione italiana, giacchè questi ultimi rappresentano uno sbarramento invalicabile contro l'introduzione nella società di prassi, usi e costumi "antistorici" rispetto ai risultati raggiunti con l'affermazione e la tutela dei diritti inviolabili dell'uomo. Secondo i magistrati, il comportamento violento e intenzionalmente vessatorio dell'imputato è stato frutto di una consapevole, quanto ingiustificabile scelta a fronte di un sistema di valori costituzionali opposto.

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