lunedì 5 marzo 2012

INFORMARSI PRIMA DI PARLARE

Un uomo accusato di violenza sessuale continuata ai danni della figlia è stato rinchiuso in carcere per poco più di 9 mesi consecutivi, ma alla fine è stato definitivamente assolto con formula piena. 
Essendo morto pochi mesi dopo, gli eredi hanno chiesto un equo indennizzo per ingiusta detenzione, accolto dalla Corte d'appello di Palermo prima e dalla Cassazione poi (sezione IV penale, sentenza 21 febbraio 2012, n. 6879).
I giudici - valutando congrua un'indennità pari a 69.000 euro complessivi (pari a 250,91 euro per ogni giorno trascorso dietro le sbarre) - hanno ribadito che riparare un'ingiusta detenzione non significa risarcire un danno, ma concedere un semplice indennizzo legato ai principi di solidarietà sociale verso le persone ingiustamente private della propria libertà. Perchè ciò possa essere considerato, al contrario, un risarcimento danni, la legge dovrebbe costringere la vittima a dimostrare l'entità dei danni patiti e la sussistenza di una responsabilità colposa o dolosa delle forze dell'ordine o dei magistrati che avevano agito nei suoi confronti. Tuttavia ciò violerebbe ben tre fondamentali norme di legge (l'art. 24 c. 4 della Costituzione italiana, l'art. 5 c. 5 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e l'art. 9 n. 5 del Patto internazionale dei diritti civili e politici), le quali garantiscono un giusto ristoro ai soggetti ingiustamente detenuti senza obbligarli a complicate controversie sulla determinazione del danno, nonchè sull'esistenza di una colpa o di un dolo da parte di chi li avesse sbattuti in galera. Per di più, non è ulteriormente indennizzabile il danno esistenziale, dal momento che il pregiudizio da esso contemplato non è diverso e autonomo da quello conseguente alla privazione della libertà, di per sè sola idonea a sconvolgere le abitudini di vita di un individuo.
Infine, la Suprema Corte ha confermato che il presupposto per concedere il risarcimento da errore giudiziario è il proscioglimento dell'imputato in sede di revisione del processo. Pertanto, se una persona mandata in carcere durante le indagini o a seguito di una sentenza non definitiva risulti alla fine innocente, non può invocare l'errore giudiziario, contestabile solo nel caso ove siano stati celebrati due distinti procedimenti penali - il secondo in seguito alla conclusione del primo - in cui l'ultimo abbia assolto il soggetto condannato in via definitiva nel primo processo.
Ecco una semplice lezione di diritto per tutti quei politici e opinionisti che chiedono in continuazione all'autorità giudiziaria di rimborsare i propri sbagli. In fondo non è difficile, basta informarsi prima di parlare.

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