lunedì 26 marzo 2012

LA SCONFITTA DEGLI OMOFOBI

Non solo la razionalità, anche il diritto sta rifilando una serie di pesanti batoste agli omofobi di casa nostra.
L'ultima in ordine di tempo proviene dalla prima sezione civile della Cassazione, la quale nella sentenza 15 marzo 2012, n. 4184 ha per la prima volta risposto a due interrogativi:

1) due cittadini italiani omosessuali sposatisi all'estero hanno diritto alla trascrizione del loro atto di matrimonio nei registri dello stato civile italiano?
2) l'Italia riconosce e garantisce a persone omosessuali il diritto fondamentale di sposarsi?

La Suprema Corte ha fornito risposta negativa a entrambe le domande.

1) I matrimoni civili di italiani celebrati all'estero sono validi anche nel nostro Paese se abbiano effetti civili nell'ordinamento dello Stato estero e sussistano i requisiti previsti dalla legge italiana, tra i quali la diversità di sesso tra i nubendi. Essa è considerata prerogativa minima indispensabile per l'esistenza stessa del matrimonio civile come atto giuridicamente rilevante, pur non essendo espressamente richiesta nè dalla Costituzione, nè dal codice civile, nè dalle leggi in tema. Si tratta infatti di una conclusione implicita, visto che gli articoli 107 c.c. e 5 della L. 898/70 parlano di "marito" e "moglie" o di "donna" e "marito", secondo una consolidata e ultramillenaria nozione di sposalizio, fatta di antichissime tradizioni culturali, prima ancora che giuridiche (come, ad esempio, la giurisdizione classica romana). Esse trovano recente conferma nell'art. 16 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo (approvata dall'Assemblea Generale dell'Onu il 10 dicembre 1948) e nell'art. 23 del Patto internazionale sui diritti civili e politici (adottato a New York il 19 dicembre 1966), i quali prevedono il diritto di sposarsi e fondare una famiglia per "uomini" e "donne", nonostante all'epoca la condizione omosessuale fosse conosciuta. Pertanto, avendo l'ordinamento giuridico italiano sempre conosciuto - anche tuttora - il solo matrimonio tra uomo e donna, le nozze gay non sono nulle, ma inesistenti, poichè - secondo un'elaborazione di origine medievale - non possiedono il requisito basilare per la loro identificabilità.
Ergo, l'unico sposalizio svoltosi all'estero riconosciuto dal nostro Paese è quello tra uomo e donna.

2) Avendo richiamato e recepito concetti, nozioni e istituti giuridici mutuati dalle leggi vigenti negli anni '40 del '900 (che - elaborati nelle varie branche del diritto - hanno acquisito valore costituzionale), la Costituzione non riconosce agli omosessuali il diritto di sposarsi. 

Tuttavia, da tempo la realtà europea ed extraeuropea mostra:

- sul piano sociale, il diffuso fenomeno di omosessuali stabilmente conviventi;
- sul piano giuridico, da una parte il riconoscimento ad essi - sia da Paesi membri dell'Ue, sia da Paesi europei ed extraeuropei - del diritto al matrimonio o del più limitato diritto alla formalizzazione delle loro stabili convivenze, con i conseguenti diritti; dall'altra un'interpretazione profondamente evolutiva dell'art. 12 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (diritto al matrimonio) e dell'art. 9 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (diritto di sposarsi e di costituire una famiglia).

A questo punto, la Cassazione ha richiamato la sentenza della Corte Costituzionale 15 aprile 2010, n. 138, secondo la quale:

- le stabili convivenze gay sono "formazioni sociali" ai sensi dell'art. 2 della Costituzione, pertanto i membri della coppia omosessuale hanno il diritto fondamentale di vivere liberamente la loro condizione di coppia (derivante anche dall'art. 3 della Costituzione, che, assicurando la pari dignità sociale e l'uguaglianza di tutti senza distinzioni di sesso, vieta qualsiasi atteggiamento o comportamento omofobo e qualsiasi discriminazione fondata sull'identità o sull'orientamento sessuale);
- fermo il riconoscimento e la garanzia di tale diritto inviolabile, qualsiasi formalizzazione giuridica delle unioni gay richiede necessariamente una disciplina generale che regoli diritti e doveri. Pertanto, spetta alla piena discrezionalità del Parlamento italiano trovare le forme per garantire e riconoscere le unioni omosessuali, attraverso la concessione del matrimonio o di altre forme giuridiche di regolamentazione;
- la Consulta stessa può intervenire per tutelare situazioni specifiche e particolari, dove potrebbe essere doveroso riconoscere un trattamento omogeneo tra la condizione della coppia sposata e quella della coppia gay.

Da ciò la Cassazione ha dedotto che:

- l'art. 2 della Costituzione non riconosce agli omosessuali il diritto di sposarsi e non vincola il Parlamento a garantire il matrimonio quale unica forma esclusiva del riconoscimento giuridico delle coppie gay;
- il diritto fondamentale di vivere in libertà la propria condizione di coppia gay (derivante dagli articoli 2 e 3 Costituzione) comporta che i suoi componenti abbiano il diritto di chiedere alla Corte Costituzionale lo stesso trattamento giuridico riservato alle coppie sposate, al fine di veder tutelate situazioni precise e particolari (ad esempio, la successione nella titolarità del contratto di locazione di un immobile o l'assegnazione di alloggi di edilizia residenziale pubblica).

Poi, i magistrati hanno richiamato un'altra sentenza, emessa il 24 giugno 2010 dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, secondo cui:

- negare il matrimonio agli omosessuali non comporta una violazione degli articoli 12 e 14, in relazione all'art. 8, della Convenzione europea (ovvero il diritto a sposarsi e il divieto di discriminazione, legato al diritto a veder rispettata la propria vita privata e familiare). Infatti, essa è stata adottata in un periodo storico (il 1950) durante il quale il matrimonio era inteso nel solo senso tradizionale (unione di un uomo e di una donna);
- anche se l'art. 12 non concede agli omosessuali il diritto di sposarsi, l'art. 9 della Carta dei diritti fondamentali dell'Ue - il quale riconosce i diritti di matrimonio e formazione di una famiglia - copre la sfera dell'art. 12 e ha un'applicazione più ampia, potendo essere esteso ad altre forme di sposalizio eventualmente istituite dalle leggi nazionali. Esso disciplina i casi ove le normative statali riconoscano modi diversi dal matrimonio per costituire una famiglia e non vieta assolutamente la concessione delle nozze alla coppie omosessuali, ma lascia alle leggi di ogni singolo Paese membro la libera facoltà di prevederla. Insomma, ogni Stato deve garantire i diritti sanciti dall'Unione europea, ma può scegliere in massima libertà se garantire o meno il diritto al matrimonio gay, senza l'obbligo di prevederlo normativamente. Questo è dimostrato dalla notevole differenza tra i vari ordinamenti nazionali, che spaziano dalla previsione delle nozze tra omosessuali fino al loro esplicito divieto. Quindi - anche se non c'è alcuna norma esplicita che preveda che i singoli Paesi debbano facilitare il matrimonio gay - non esiste alcun ostacolo in tal senso. Anzi, in base all'art. 9 il diritto a sposarsi non è più limitato alle coppie eterosessuali;
- il matrimonio ha subìto importanti cambiamenti sociali da quando è stata adottata la Convenzione europea, tanto è vero che - pur in assenza di un consenso generale europeo - alcuni Stati membri della Convenzione permettono le nozze tra omosessuali;
- l'art. 9 della Carta dei diritti Ue (verso cui l'art. 12 della Convenzione è subordinato) ha volutamente evitato il riferimento a uomini e donne, dal momento che comprende un campo di applicazione più vasto;
- la libertà lasciata a ciascun Paese di permettere o negare le nozze gay si giustifica dall'assunto per cui il matrimonio gode di connotazioni sociali, culturali e giuridiche radicate in maniera diversa e spesso profonda da una società a un'altra. La Corte europea quindi non si può sostituire all'opinione delle autorità nazionali, le quali sono in una posizione migliore per valutare le esigenze dei propri cittadini;
- data l'evoluzione sociale e giuridica, la relazione di una coppia gay convivente con uno stabile rapporto di fatto costituisce una famiglia, poichè tale nozione non si limita alle relazioni matrimoniali, ma può comprendere altri legami di fatto tra partner conviventi non sposati (eterosessuali o omosessuali);
- dal 2001 si assiste a una crescente tendenza in Europa verso un riconoscimento giuridico di unioni di fatto stabili tra omosessuali, tanto che sono numerosi i Paesi membri che - a causa di una rapida evoluzione degli atteggiamenti sociali verso le coppie gay - hanno concesso un riconoscimento giuridico a tali unioni;
- esattamente come qualsiasi coppia eterosessuale, anche la coppia gay può godere della vita familiare ai sensi dell'art. 8 della Convenzione europea;
- le coppie gay hanno il diritto di sposarsi e fondare una famiglia, anche se garantirlo è riservato alla libera scelta dei Parlamenti nazionali, i quali non sono obbligati a concedere agli omosessuali il matrimonio. Bisogna dunque tenere separati il riconoscimento e la garanzia del diritto di sposarsi: il diritto comunitario riconosce agli omosessuali i diritti di sposalizio e di fondazione di una famiglia, ma essi sono garantiti soltanto secondo le leggi nazionali in materia.

Dal momento che i giudici nazionali devono interpretare le leggi statali interne in modo conforme alla Convenzione europea (se è impossibile, devono sollevare alla Corte Costituzionale una questione di legittimità della norma per contrasto con la Convenzione, cioè per violazione dell'art. 117 c. 1 della Costituzione, secondo cui lo Stato deve legiferare nel rispetto dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali), essi sono vincolati dall'interpretazione fornita dalla Corte di Strasburgo.
Quindi, la Cassazione ha stabilito che se il diritto di sposarsi è un diritto fondamentale (in quanto derivante dagli articoli 2 e 29 della Costituzione ed espressamente riconosciuto dagli articoli 16 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo del 1948, 12 della Convenzione europea del 1950, 23 del Patto internazionale sui diritti civili e politici del 1966, 9 della Carta diritti fondamentali dell'Ue del 2000/2007), esso spetta ai singoli in quanto esseri umani. Il riconoscimento di tale diritto fondamentale comporta non solo la sua appartenenza al patrimonio giuridico costitutivo indiscutibile del singolo individuo quale persona umana, ma anche l'effettiva possibilità di farlo valere erga omnes e realizzarlo.  
Se la Corte Costituzionale ha stabilito che il riconoscimento del diritto al matrimonio gay non ha uno specifico fondamento costituzionale, quindi il suo riconoscimento e la sua garanzia (ovvero l'eventuale disciplina legislativa volta a regolarne l'esercizio) non sono costituzionalmente obbligati, bensì rimessi alla libera scelta del Parlamento (così come previsto dalle norme europee), la Corte europea dei diritti dell'uomo ha invece sancito che il diritto a sposarsi include anche le nozze tra omosessuali, fermo restando che la sua garanzia è rimessa al potere legislativo dei singoli Stati. Questa riserva assoluta di legislazione nazionale non significa però che i diritti di contrarre matrimonio e costituire una famiglia (previsti dagli articoli 12 della Convenzione europea e 9 della Carta dei diritti Ue) non abbiano alcun effetto nell'ordinamento giuridico italiano fino a quando i nostri parlamentari - liberi di scegliere se e come - non decidano di garantire tale diritto o di prevedere altre forme di riconoscimento giuridico alle coppie gay. Al contrario, i suddetti due articoli - attraverso gli ordini di esecuzione contenuti nelle leggi che hanno autorizzato la ratifica e l'esecuzione della Convenzione europea e della Carta diritti Ue - sono da tempo parte integrante del nostro ordinamento giuridico nazionale e devono essere interpretati in maniera conforme alla Convenzione. Quindi il determinante effetto dell'interpretazione fornita dalla Corte di Strasburgo - secondo cui il diritto di sposarsi non deve più essere limitato al matrimonio tra un uomo e una donna - consiste:

- nell'aver fatto cadere l'implicito postulato, nonchè requisito minimo indispensabile a fondamento del matrimonio rappresentato dalla diversità di sesso tra i nubendi;
- di conseguenza, nell'aver ritenuto incluso nell'art. 12 della Convenzione europea anche il diritto degli omosessuali di contrarre nozze.

Insomma, la Corte europea, sulla base della ricognizione delle differenze anche profonde delle leggi nazionali in materia (che spaziano dal permesso al matrimonio gay al suo esplicito divieto), ha "solo" rimosso l'ostacolo - la diversità di sesso dei nubendi - che impediva il riconoscimento del diritto al matrimonio tra omosessuali, anche se poi spetta alle libere opzioni dei Parlamenti nazionali garantire tale diritto.

Ora, secondo la Cassazione, tutte le finora richiamate decisioni della Consulta e della Corte europea di Strasburgo non lasciano dubbi sul loro senso e sui loro effetti nell'ordinamento giuridico italiano. Se la legge italiana non permette ai componenti della coppia omosessuale conviventi in una stabile relazione di fatto di far valere il diritto a sposarsi e il diritto alla trascrizione del matrimonio contratto all'estero, tuttavia - a prescindere dall'intervento del Parlamento - essi possono rivolgersi ai giudici per far valere - in presenza di situazioni specifiche - il diritto a un trattamento omogeneo a quello assicurato alle coppie sposate ed eventualmente, in tale sede, sollevare presso la Corte Costituzionale le eccezioni di incostituzionalità delle norme di legge vigenti applicabili nei singoli casi, in quanto o nella parte in cui non assicurino detto trattamento. Ciò in quanto i componenti della coppia gay sono titolari dei diritti alla vita familiare, alla libertà di vivere la condizione di coppia, alla tutela giurisdizionale di specifiche situazioni e ad altri diritti inviolabili.

Tale conclusione riporta al primo quesito analizzato dalla Cassazione.
L'intrascrivibilità del matrimonio tra persone omosessuali celebrato all'estero non si fonda più - come sostenuto sopra - sull'inesistenza per l'ordinamento italiano (e neppure sull'invalidità), bensì sulla sua inidoneità a produrre un effetto giuridico nell'ordinamento italiano. Quest'ultimo infatti comprende l'art. 12 della Convenzione europea che ha privato di rilevanza giuridica la diversità di sesso dei nebendi, motivo per cui la tesi del passato - secondo la quale la difformità di sesso è requisito minimo indispensabile per l'esistenza stessa di un matrimonio civile - non è più adeguata all'attuale realtà giuridica, essendo stata radicalmente superata.

Vengono in mente le dichiarazioni rilasciate il 25 giugno 2011 da Mark J. Grisanti, senatore statunitense repubblicano, subito dopo aver concesso il proprio voto favorevole all'approvazione di una legge che istituisse il matrimonio gay nello Stato di New York:
"Chiedo scusa a coloro che si sentano offesi, ma non posso negare a un essere umano, a un contribuente, a un lavoratore, alla gente del mio collegio elettorale e di questo Stato - lo Stato di New York - e a coloro che lo rendono grande gli stessi diritti che ho io insieme a mia moglie".

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