SUL CONCORSO ESTERNO
IN ASSOCIAZIONE MAFIOSA
IN ASSOCIAZIONE MAFIOSA
"Il concorso esterno pone
problematiche diverse da quelle dell’associazione mafiosa. E’ un reato autonomo creato
dalla giurisprudenza, che prima lo ha creato, usato e dilatato e ora lo sta
progressivamente restringendo fino a casi marginali. In Cassazione sono rare
le condanne per concorso esterno. Dall’entusiasmo allo
scetticismo. Ormai non ci si crede
più".
Queste parole pronunciate sei giorni fa dal Sostituto Procuratore Generale della Cassazione Francesco Mauro Iacoviello nell'ambito della requisitoria nel processo Dell'Utri hanno suscitato numerose polemiche. Basti infatti ricordare che la "creazione" del reato di concorso esterno in associazione mafiosa va addebitata ai magistrati del pool di Palermo Antonino Caponnetto, Giovanni Falcone, Leonardo Guarnotta e Giuseppe Di Lello Finuoli (Paolo Borsellino era da alcuni mesi Procuratore di Marsala), i quali misero nero su bianco la propria "invenzione" nell'ordinanza-sentenza contro Abbate Giovanni + 162 del 17 luglio 1987:
"Manifestazioni di connivenza e di collusione da parte di persone inserite nelle pubbliche istituzioni possono - eventualmente - realizzare condotte di fiancheggiamento del potere mafioso, tanto più pericolose quanto più subdole e striscianti, sussumibili - a titolo concorsuale - nel delitto di associazione mafiosa. Ed è proprio questa convergenza di interessi col potere mafioso che costituisce una delle cause maggiormente rilevanti della crescita di Cosa Nostra e della sua natura di contropotere, nonchè, correlativamente, delle difficoltà incontrate nel reprimerne le manifestazioni criminali".
Per questa ragione, come ha scritto su "Il Fatto Quotidiano" Gian Carlo Caselli (uno dei magistrati italiani più competenti e attivi in indagini antimafia), bisogna colpire il "livello delle possibili complicità con politici, imprenditori, medici e professionisti vari", poichè "la vera forza della mafia non è la sua struttura gangsteristica. Il suo autentico potere sta altrove, nelle complicità, collusioni e coperture. Non indagare anche su questo versante significa fare antimafia solo a metà, rinunziando alla possibilità stessa di vincere davvero la guerra alla mafia. E l'unico strumento investigativo-giudiziario che consente di intervenire anche su questo versante è il concorso esterno. Per realizzare i loro affari le mafie hanno bisogno di commercialisti, immobiliaristi, operatori finanziari e bancari, amministratori e politici, notai e giuristi. Un intreccio perverso che costituisce la spina dorsale del potere mafioso e che si può contrastare - ripeto - soltanto con la figura del concorso esterno".
E' facile intuire, dunque, che se proprio si sentisse l'esigenza di rivedere normativamente il concorso esterno in associazione mafiosa, sarebbe bene impegnarsi per rafforzarlo, cancellando quella serie di sofismi giuridici eccessivamente ricercati, tanto agognati da certi politici e magistrati per depotenziare e - di fatto - abrogare l'idea del pool palermitano. Non è un caso che vi siano in circolazione numerosi soloni a rivendicare addirittura l'inesistenza della fattispecie delittuosa in questione, bollandola come frutto della fervida immaginazione delle toghe politicizzate (Caponnetto e Falcone?). E' bene allora chiarire subito la clamorosa falsità di tale assunto: il concorso esterno in associazione mafiosa esiste, per il semplice motivo che la sua presenza nell'ordinamento penale italiano è stabilmente riconosciuta dalla giurisprudenza del massimo organo giurisdizionale, le Sezioni Unite della Cassazione. Si ricordino le sentenze del 5 ottobre 1994, del 27 settembre 1995 e del 30 ottobre 2002 (imputato il giudice Corrado Carnevale), riprese anche dalla spesso invocata sentenza Calogero Mannino (Cassazione, Sezioni Unite Penali, sentenza 20 settembre 2005, n. 33748). Tale pronuncia non solo ha confermato per l'ennesima volta la configurabilità del reato di concorso esterno in associazione mafiosa - "ormai incontroversa in giurisprudenza e pressochè unanimemente asseverata dalla dottrina" - ma ne ha fissato i requisiti:
"Manifestazioni di connivenza e di collusione da parte di persone inserite nelle pubbliche istituzioni possono - eventualmente - realizzare condotte di fiancheggiamento del potere mafioso, tanto più pericolose quanto più subdole e striscianti, sussumibili - a titolo concorsuale - nel delitto di associazione mafiosa. Ed è proprio questa convergenza di interessi col potere mafioso che costituisce una delle cause maggiormente rilevanti della crescita di Cosa Nostra e della sua natura di contropotere, nonchè, correlativamente, delle difficoltà incontrate nel reprimerne le manifestazioni criminali".
Per questa ragione, come ha scritto su "Il Fatto Quotidiano" Gian Carlo Caselli (uno dei magistrati italiani più competenti e attivi in indagini antimafia), bisogna colpire il "livello delle possibili complicità con politici, imprenditori, medici e professionisti vari", poichè "la vera forza della mafia non è la sua struttura gangsteristica. Il suo autentico potere sta altrove, nelle complicità, collusioni e coperture. Non indagare anche su questo versante significa fare antimafia solo a metà, rinunziando alla possibilità stessa di vincere davvero la guerra alla mafia. E l'unico strumento investigativo-giudiziario che consente di intervenire anche su questo versante è il concorso esterno. Per realizzare i loro affari le mafie hanno bisogno di commercialisti, immobiliaristi, operatori finanziari e bancari, amministratori e politici, notai e giuristi. Un intreccio perverso che costituisce la spina dorsale del potere mafioso e che si può contrastare - ripeto - soltanto con la figura del concorso esterno".
E' facile intuire, dunque, che se proprio si sentisse l'esigenza di rivedere normativamente il concorso esterno in associazione mafiosa, sarebbe bene impegnarsi per rafforzarlo, cancellando quella serie di sofismi giuridici eccessivamente ricercati, tanto agognati da certi politici e magistrati per depotenziare e - di fatto - abrogare l'idea del pool palermitano. Non è un caso che vi siano in circolazione numerosi soloni a rivendicare addirittura l'inesistenza della fattispecie delittuosa in questione, bollandola come frutto della fervida immaginazione delle toghe politicizzate (Caponnetto e Falcone?). E' bene allora chiarire subito la clamorosa falsità di tale assunto: il concorso esterno in associazione mafiosa esiste, per il semplice motivo che la sua presenza nell'ordinamento penale italiano è stabilmente riconosciuta dalla giurisprudenza del massimo organo giurisdizionale, le Sezioni Unite della Cassazione. Si ricordino le sentenze del 5 ottobre 1994, del 27 settembre 1995 e del 30 ottobre 2002 (imputato il giudice Corrado Carnevale), riprese anche dalla spesso invocata sentenza Calogero Mannino (Cassazione, Sezioni Unite Penali, sentenza 20 settembre 2005, n. 33748). Tale pronuncia non solo ha confermato per l'ennesima volta la configurabilità del reato di concorso esterno in associazione mafiosa - "ormai incontroversa in giurisprudenza e pressochè unanimemente asseverata dalla dottrina" - ma ne ha fissato i requisiti:
1) punisce chi, pur non stabilmente inserito nella struttura organizzativa del gruppo mafioso e pur non facendone parte, abbia fornito dall'esterno un tangibile, specifico, consapevole e volontario contributo alla realizzazione - anche parziale - del programma criminale;
2) il responsabile deve aver realizzato tutti gli elementi essenziali del reato di associazione mafiosa e la sua condotta deve essere collegata con quegli elementi;
3) non è punibile il tentativo di concorso esterno, ovvero l'essersi accordati o l'aver accolto l'istigazione per la commissione del reato, poi però non commesso;
4) il contributo del concorrente esterno, operante in piena sinergia con i boss mafiosi, deve essere stato condizione necessaria sine qua non per la concreta realizzazione dei crimini collettivi e per la conservazione o il rafforzamento delle capacità operative del clan mafioso. L'intervento del concorrente deve aver comportato una reale ed effettiva efficacia condizionante, attraverso la presenza di un preciso nesso di causa tra tale condotta esterna e la realizzazione del reato di associazione mafiosa. Insomma, bisogna provare - oltre ogni ragionevole dubbio - che il contributo agevolatore del concorrente esterno abbia realizzato un apporto causale significativo per la realizzazione dell'attività mafiosa, avendo portato un contributo reale e materiale che abbia effettivamente influenzato i fatti delittuosi;
5) il concorrente esterno deve aver agito con la consapevolezza e la volontà di interagire sinergicamente con le condotte dei mafiosi nella produzione del reato. Il concorrente esterno deve aver saputo e voluto non solo che il suo sostegno fosse utile per la sopravvivenza o il potenziamento del clan mafioso, ma che fosse anche diretto a realizzare - pur solo in parte - il programma delinquenziale del gruppo. In sostanza, il concorrente esterno deve aver avuto presente e voluto il reato di associazione mafiosa e il contributo causale recato a vantaggio dell'organizzazione;
6) non è configurabile il concorso esterno se l'imputato si sia limitato ad accettare il rischio che si verificasse l'evento delittuoso, ritenuto solo probabile o possibile;
7) il concorrente esterno, pur senza far parte dell'associazione mafiosa, deve essere stato consapevole dei metodi e degli scopi della stessa, a prescindere dalla sua personale condivisione, avversione, disinteresse o indifferenza per tali metodi e fini;
6) non è configurabile il concorso esterno se l'imputato si sia limitato ad accettare il rischio che si verificasse l'evento delittuoso, ritenuto solo probabile o possibile;
7) il concorrente esterno, pur senza far parte dell'associazione mafiosa, deve essere stato consapevole dei metodi e degli scopi della stessa, a prescindere dalla sua personale condivisione, avversione, disinteresse o indifferenza per tali metodi e fini;
8) non è sufficiente che il contributo esterno venga giudicato (con prognosi di pericolosità ex ante) idoneo ad aumentare la probabilità o il rischio di realizzazione del reato.
E' configurabile il reato di concorso esterno in associazione mafiosa persino nel caso di un politico che, contiguo alle mafie, abbia stretto con loro un patto di scambio (per cui il politico chiede appoggio elettorale alla mafia e, in cambio, si impegna a usare i poteri pubblici seguiti all'esito favorevole del voto per ringraziare e avvantaggiare i clan, assicurando loro dall'esterno l'accesso ai circuiti finanziari e al controllo del denaro pubblico, mediante la concessioni di appalti): le promesse di attivarsi - una volta eletto - a favore dei criminali possono già di per sè costituire un concorso esterno, indipendentemente dalla successiva esecuzione dell'accordo. Invero, sono possibili talmente tante forme di patto elettorale collusivo che la loro punibilità non può certo essere sancita per la sola fattispecie prevista dall'art. 416-ter c.p. (accordo elettorale politico-mafioso in termini di scambio denaro/voti), essendo doveroso qualificare come concorso esterno ogni tipo di accordo tra mafia e politica diverso dallo scambio denaro/voti (tra l'altro, quasi mai contestabile, poichè difficilmente un politico ringrazia il sostegno elettorale mafioso con la concessione dei propri soldi personali. Motivo per cui da anni i magistrati antimafia chiedono - inutilmente - al Parlamento di inserire nel codice la locuzione "denaro o altra utilità", in modo da comprendere gli appalti pubblici).
Tuttavia, non devono mai venir meno i sopra ricordati requisiti del concorso esterno: il dolo e il nesso causale del contributo. Non bastano la sola disponibilità o vicinanza, nè che gli impegni presi dal politico siano stati seri e precisi (per l'affidabilità e la caratura dei protagonisti dell'accordo, per l'importanza criminale dell'organizzazione mafiosa, per il contesto storico e per i contenuti dell'accordo). La promessa del politico di elargire favori può essere considerata concorso esterno (cioè un apporto dall'esterno alla conservazione o al rafforzamento del clan mafioso) solo se di per sè abbia inciso immediatamente ed effettivamente sull'operatività della mafia, avendole procurato vantaggi concreti per mezzo dell'interazione con i boss. Il magistrato inquirente deve trovare le prove utili a dimostrare l'esistenza di fatti materiali, dai quali - ex post - si possa dedurre che il patto politico-mafioso abbia prodotto risultati positivi per il reale rafforzamento o consolidamento dei clan. In caso contrario, il Pm non può prendere in considerazione un eventuale contributo del politico in chiave psicologica (nel senso che, in virtù del sostegno politico, sarebbero automaticamente rafforzati il senso di superiorità, il prestigio criminale dei boss, la loro fiducia di sicura impunità e i crediti del sodalizio nel contesto ambientale di riferimento).
E' quindi configurabile il concorso esterno in associazione mafiosa nell'ipotesi di scambio elettorale politico-mafioso se gli impegni assunti dal politico:
- siano stati seri e puntuali (per l'affidabilità e la caratura dei protagonisti dell'accordo, per l'importanza criminale dell'organizzazione mafiosa, per il contesto storico e per i contenuti dell'accordo);
- siano stati seri e puntuali (per l'affidabilità e la caratura dei protagonisti dell'accordo, per l'importanza criminale dell'organizzazione mafiosa, per il contesto storico e per i contenuti dell'accordo);
- abbiano causalmente, effettivamente e significativamente inciso sulla conservazione o sul rafforzamento delle capacità operative dell'intera associazione mafiosa (a prescindere dall'eventuale successiva esecuzione dell'accordo).
Serve un apporto reale da parte del politico, al di là di generiche disponibilità, vicinanze, relazioni personali, incontri e frequentazioni con esponenti mafiosi, penalmente irrilevanti. Tali episodi, anche se accertati, rimarrebbero confinati nella riprovazione etica e sociale, perchè di per sè estranei al reato di concorso esterno.
Dal momento che sono le stesse Sezioni Unite della Cassazione ad aver ammesso l'estrema difficoltà di accertare e provare un simile delitto proprio a causa degli stretti vincoli da lei stessa posti, sarebbe forse il caso di allentare tali "rigorosi paletti garantisti" (Gian Carlo Caselli), per evitare che scompaia l'antimafia prima della mafia.
Dal momento che sono le stesse Sezioni Unite della Cassazione ad aver ammesso l'estrema difficoltà di accertare e provare un simile delitto proprio a causa degli stretti vincoli da lei stessa posti, sarebbe forse il caso di allentare tali "rigorosi paletti garantisti" (Gian Carlo Caselli), per evitare che scompaia l'antimafia prima della mafia.
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