FINCANTIERI OLTRE LA CRISI
Tra i purtroppo numerosi esempi di crisi lavorativa italiana degli ultimi mesi c'è anche il "piano industriale" di Fincantieri, le cui parole chiave sono cassa integrazione, esuberi, licenziamenti, ridimensionamento produttivo, chiusura stabilimenti.
Tuttavia c'è un altro aspetto di Fincantieri che andrebbe evidenziato.
La storia di cui mi occupo oggi riguarda un ingegnere che ha lavorato per i Cantieri Navali Ernesto Breda di Marghera (società poi incorporata da Fincantieri) dal 1955 al 1960 e dal 1969 al 1974 ed è morto di mesotelioma polmonare per le fibre di amianto respirate sul posto di lavoro. Per ben 2 anni e 3 mesi - dalla diagnosi della patologia tumorale al decesso - ha dovuto convivere con una malattia terminale incurabile e gravissime ricadute psichiche. I figli si sono rivolti ai giudici per chiedere a Fincantieri un risarcimento danni e la Cassazione (sezione lavoro - sentenza 16 febbraio 2012, n. 2251) ha dato loro ragione.
La Suprema Corte, infatti, ha sancito la responsabilità di Fincantieri per aver violato l'art. 2087 c.c. e l'obbligo di adottare misure idonee di prevenzione, a fronte della nota nocività dell'ambiente di lavoro per la diffusione di polveri di asbesto liberate nelle operazioni cantieristiche di costruzione delle navi. Del resto, che lavorare l'amianto fosse molto pericoloso era noto, dal punto di vista legislativo, da ben prima degli anni ’70:
1) il Regio Decreto 14 giugno 1909, n. 442 e il Decreto Legislativo 6 agosto 1916, n.1136 (sul lavoro delle donne e dei fanciulli) includevano la filatura e tessitura dell'asbesto tra i lavori insalubri o pericolosi;
2) il Regio Decreto 7 agosto 1936, n.1720 (sui lavori vietati ai fanciulli e alle donne minorenni) contemplava la lavorazione dell'amianto tra i lavori pericolosi, faticosi e insalubri;
3) la Legge Delega 12 febbraio 1955, n.52;
4) il Decreto del Presidente della Repubblica 19 marzo 1956, n.303;
5) il Decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 1956, n. 648;
6) il Decreto del Presidente della Repubblica 21 luglio 1960, n.1169, per cui la presenza di asbesto nei materiali di lavorazione poteva dar luogo all'inalazione di polvere di amianto tale da essere rischiosa;
7) il Decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124, il quale attribuiva un premio assicurativo supplementare per le lavorazioni per cui si presupponesse una concentrazione di agenti patogeni superiore a determinati valori minimi.
Tale legislazione di prevenzione - diretta a evidenziare il contenuto fortemente nocivo della lavorazione dell'asbesto - va però letta alla luce della letteratura scientifica conosciuta all'epoca in cui si è svolta la prestazione lavorativa. Dato che i primi studi scientificamente validi sul rischio tumorale legato all'inalazione di particelle anche minime di amianto sono comparsi in Italia a metà degli anni '60, è solo a partire da tale periodo che è possibile concedere un risarcimento danni. Pertanto la Cassazione non ha potuto considerare la fase lavorativa compresa tra il 1955 e il 1960, ma soltanto quella dal 1969 al 1974.
In base al ruolo dirigenziale della vittima (che le imponeva di trascorrere nel cantiere almeno il 70% del tempo lavorativo) e alle operazioni di taglio dei materiali (che disperdevano polveri di asbesto le quali, pur periodicamente asportate in gran misura, stazionavano sui piani di calpestio, con gravi indici di concentrazione), l'ingegnere, notevolmente esposto alle fibre cancerogene di amianto, aveva contratto la malattia fatale.
Fincantieri è l'unica responsabile poichè, essendo ben nota all'epoca la pericolosità dell'amianto, avrebbe dovuto adottare misure idonee a ridurre il rischio. Infatti, alla luce delle garanzie costituzionali dei lavoratori (che temo non siano in cima ai pensieri dei vari Fornero, Monti e Marcegaglia), il citato art. 2087 c.c. sanziona l'omessa predisposizione di tutte le misure e cautele atte a preservare l'integrità psicofisica e la salute del lavoratore nel luogo di lavoro, tenuto conto della concreta realtà aziendale e della possibilità di venire a conoscenza dell'esistenza di fattori di rischio in un preciso momento storico. La violazione da parte di Fincantieri di tale norma deriva dal danno alla salute provocato dalla nocività del cantiere veneziano e dal non aver fatto tutto il possibile per evitarlo, come invece sarebbe stato suo preciso obbligo. Gli specifici dispositivi di sicurezza e di prevenzione che l'azienda avrebbe dovuto adottare riguardano, ad esempio, l'utilizzo delle mascherine, la presenza di aspiratori e un buon uso dei mezzi di rimozione delle polveri.
Ovviamente, la Cassazione ha precisato che limitarsi a rimuovere i residui della lavorazione dell'amianto non è mai sufficiente a rendere salubre l'ambiente di lavoro.
Per quanto riguarda, invece, il dubbio sulla possibile esposizione della vittima alle polveri di asbesto presso un'altra azienda (dove aveva lavorato tra il 1960 e il 1969), il collegio togato ha affermato che non solo non ci sono prove in tal senso, ma che anche se ci fossero state, l'esposizione presso i cantieri navali Breda-Fincantieri aveva procurato un accumulo dell'effetto patogenetico da cui era derivato il radicamento della malattia latente e l'accellerazione del suo innesco.
In conclusione, Fincantieri è stata giudicata responsabile perchè:
- era stata inadempiente ai propri obblighi di sicurezza;
- aveva leso l'integrità fisica di un suo dipendente;
- aveva causato a quest'ultimo prima intense sofferenze psichiche (la vittima aveva percepito lucidamente l'avvicinarsi della sua fine), poi la morte.
Avendo, quindi, contribuito in maniera decisiva al tragico evento, Fincantieri dovrà risarcire ai figli della vittima i danni biologici, nei quali sono compresi anche i danni esistenziali.
Fincantieri è l'unica responsabile poichè, essendo ben nota all'epoca la pericolosità dell'amianto, avrebbe dovuto adottare misure idonee a ridurre il rischio. Infatti, alla luce delle garanzie costituzionali dei lavoratori (che temo non siano in cima ai pensieri dei vari Fornero, Monti e Marcegaglia), il citato art. 2087 c.c. sanziona l'omessa predisposizione di tutte le misure e cautele atte a preservare l'integrità psicofisica e la salute del lavoratore nel luogo di lavoro, tenuto conto della concreta realtà aziendale e della possibilità di venire a conoscenza dell'esistenza di fattori di rischio in un preciso momento storico. La violazione da parte di Fincantieri di tale norma deriva dal danno alla salute provocato dalla nocività del cantiere veneziano e dal non aver fatto tutto il possibile per evitarlo, come invece sarebbe stato suo preciso obbligo. Gli specifici dispositivi di sicurezza e di prevenzione che l'azienda avrebbe dovuto adottare riguardano, ad esempio, l'utilizzo delle mascherine, la presenza di aspiratori e un buon uso dei mezzi di rimozione delle polveri.
Ovviamente, la Cassazione ha precisato che limitarsi a rimuovere i residui della lavorazione dell'amianto non è mai sufficiente a rendere salubre l'ambiente di lavoro.
Per quanto riguarda, invece, il dubbio sulla possibile esposizione della vittima alle polveri di asbesto presso un'altra azienda (dove aveva lavorato tra il 1960 e il 1969), il collegio togato ha affermato che non solo non ci sono prove in tal senso, ma che anche se ci fossero state, l'esposizione presso i cantieri navali Breda-Fincantieri aveva procurato un accumulo dell'effetto patogenetico da cui era derivato il radicamento della malattia latente e l'accellerazione del suo innesco.
In conclusione, Fincantieri è stata giudicata responsabile perchè:
- era stata inadempiente ai propri obblighi di sicurezza;
- aveva leso l'integrità fisica di un suo dipendente;
- aveva causato a quest'ultimo prima intense sofferenze psichiche (la vittima aveva percepito lucidamente l'avvicinarsi della sua fine), poi la morte.
Avendo, quindi, contribuito in maniera decisiva al tragico evento, Fincantieri dovrà risarcire ai figli della vittima i danni biologici, nei quali sono compresi anche i danni esistenziali.
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