IL LATO B DELLA GRECIA
Voglio soffermarmi su un aspetto della Grecia di cui si tende a non parlare, soprattutto in questi tempi dove la crisi economica viene considerata giustificazione sufficiente per dimenticare i diritti umani degli ultimi, dei quali nessuno si interessa.
Recentemente la sezione II Quater del Tar del Lazio (sentenza 15 febbraio 2012, n. 1551) ha confermato che lo Stato ellenico continua a non essere un Paese sicuro per chi, fuggendo da guerre, epidemie o persecuzioni, vi chieda asilo e protezione internazionale. Tale valutazione, derivante da numerosi e costanti rapporti dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, denota la presenza di leggi e prassi non solo non conformi alle norme europee e internazionali (considerando le preoccupanti difficoltà nell'accesso e nel godimento da parte dei richiedenti asilo di una vera protezione), ma che non garantiscono l'elementare rispetto dei diritti umani. Considerazioni fatte proprie persino dal Commissario per i Diritti Umani del Consiglio d'Europa, Thomas Hammarberg, secondo cui in Grecia i richiedenti asilo sono costretti ad affrontare difficoltà enormi per accedere alla procedura di domanda, non sempre godono di garanzie basilari - come l'assistenza di un interprete e la consulenza legale - e rischiano di essere rispediti in Stati pericolosi per la loro incolumità. Nonostante Atene abbia ratificato e recepito le apposite direttive comunitarie, la situazione dei richiedenti asilo - pur migliorata - è grave e non paragonabile a quella di altri Stati europei. Basti considerare la condanna emessa dalla Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo (sentenza del 21 gennaio 2011) nei confronti dello Stato greco (violazione degli articoli 3 e 13 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo) per aver impartito ai richiedenti asilo trattamenti inumani e degradanti e negato loro il diritto a rivolgersi alle autorità nazionali, non avendo concesso effettive vie di ricorso per contestare il rifiuto delle domande. Sembra incredibile, ma chi chieda asilo in Grecia non viene adeguatamente tutelato nell'accesso alle misure di protezione internazionale e viene persino sottoposto a trattamenti degradanti per la propria dignità umana. Insomma, le condizioni di accoglienza non sono per nulla soddisfacenti.
La conseguenza è che i governi dell'Unione europea non dovrebbero trasferire in terra ellenica i richiedenti asilo, ma esaminare loro stessi le domande anche quando non sarebbe di loro competenza, secondo il principio enunciato dalla Corte di Giustizia europea in un pronunciamento del 21 dicembre scorso. Non è d'altra parte un caso se alcuni Paesi dell'Ue (il Belgio, la Norvegia, la Gran Bretagna, l'Olanda e la Germania) abbiano sospeso i trasferimenti in Grecia, accollandosi la valutazione delle domande presentate da cittadini extracomunitari.
L'Italia, invece, continua a trasferirvi cittadini extracomunitari in cerca di aiuto, tanto da aver disposto tale pratica anche il 2 aprile 2010 nei confronti di un cittadino afghano, Karim Ghorayshy, giunto nel nostro Paese proprio dalla Grecia. Il Viminale, delegando per competenza al governo di Atene la valutazione della domanda di protezione internazionale, aveva considerato quello Stato per ciò che non era allora e non è ancora oggi: un luogo sicuro e affidabile per i richiedenti asilo. Per fortuna Karim si è rivolto al Tar del Lazio, il cui collegio giudicante non ha potuto far altro che annullare il provvedimento del Ministero dell'Interno italiano.
Per quanto riguarda, invece, i governanti ellenici, è sufficiente che riscoprano il loro passato, quando l'accoglienza dell'ospite straniero era considerata prassi indiscussa, sacra e inviolabile. La storia come maestra di vita.
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