domenica 19 febbraio 2012

LEZIONE GIURIDICA (E DI ITALIANO) A DANIELA SANTANCHE'

Tra il 15 e il 17 febbraio scorsi, Daniela Santanchè ha dato il meglio di sè su Twitter e Facebook, regalando a tutti noi frasi memorabili degne di una statista internazionale:

"Gli uomini delle forze dell'ordine anche se sbagliano non sono mai assassini";

"Le forze dell'ordine costrette ad usare le armi per contrastare chi sta violando in maniera violenta la legge possono sbagliare valutazione ma di sicuro non agiscono come chi vuole uccidere. Definirli assassini nel senso comune del termine, è un errore che piace a chi è sempre dalla parte dei banditi e non dalla parte dei tutori dell'ordine";

"La mia dichiarazione su twitter voleva commentare la vicenda attuale del vigile urbano di Milano e non invece quella più complicata del povero tifoso Sandri";

"Sempre con le forze dell'ordine: rischiano la pelle anche quando sbagliano";

"I cimiteri sono pieni di poliziotti e carabinieri che hanno sbagliato a non sparare prima dei criminali. Le carceri sono piene di poliziotti e carabinieri che hanno sbagliato a non sparare dopo i criminali. E' possibile che sbagliano sempre loro???".

Ora, non voglio impartire una lezione di lingua italiana a una ex parlamentare (avrebbe dovuto scrivere "E' possibile che sbaglino sempre loro???". Il congiuntivo non è un optional da richiedere solo ai cittadini extracomunitari). Tuttavia, in primis (è latino, onorevole, non si preoccupi) non si capisce come "la vicenda del vigile urbano di Milano" possa essere considerata "attuale" rispetto a "quella più complicata del povero tifoso Sandri", dato che il 14 febbraio la Cassazione ha definitivamente condannato l'agente di polizia stradale Luigi Spaccarotella (nomen omen; è sempre latino, onorevole, non faccia quella faccia) a 9 anni e 4 mesi di carcere per l'omicidio del "povero tifoso". Siccome poi la logica (questa sconosciuta) dovrebbe avere ancora un senso (anche se in Italia deve essere stata abolita per legge all'insaputa dei parlamentari e, soprattutto, dei cittadini), potrebbe l'ex onorevole Santanchè spiegare come si faccia a mandare in galera poliziotti o carabinieri che non abbiano sparato dopo il criminale di turno? Se non hanno sparato, per quale ragione sarebbero dietro le sbarre? Peraltro, che le carceri strabordino di uomini in divisa è certamente sintomo di un generoso atto di cortesia da parte dell'ex onorevole, avendo ella voluto fornire uno scoop internazionale pari solo al suo livello di conoscenze in materia di giustizia. Ma, si sa, dato che nel nostro Paese gli statisti non possono essere toccati, voglio limitarmi a spiegare alla Daniela nazionale come si sia conclusa (ha visto, ex onorevole, l'uso del congiuntivo non è poi così difficile) la vicenda processuale sulla morte di Gabriele Sandri. 
La rassicuro subito: si è trattato di un omicidio (gli stessi avvocati dell'imputato non si sono mai sognati di chiedere l'assoluzione del loro cliente, cercando solo di fargli ottenere il minimo della pena, qualificando i fatti come omicidio colposo e non volontario), pertanto - vocabolario di italiano alla mano, mi raccomando, non si confonda - Spaccarotella è un "assassino", esattamente come chiunque compia un omicidio, anche se appartenente alle forze dell'ordine. Inoltre, carissima Santanchè, vorrebbe spiegare (almeno al sottoscritto, che - come avrà di certo intuito - è un suo fan sfegatato, a cui sta molto a cuore la sua preparazione, anche linguistica) il concetto di assassino "nel senso comune del termine"? Perchè, esistono più sensi? Ebbene, a parte tali quisquilie, è giunto il momento di far comprendere all'ex onorevole Santanchè (non è più nè parlamentare, nè membro di governo, ma sono certo tornerà presto) quanto sancito dai magistrati sull'omicidio Sandri.
Come già ricordato, cinque giorni fa la Cassazione, confermando la sentenza della Prima Corte d'Assise d'Appello di Firenze (28 febbraio 2011, n. 24), ha condannato in via definitiva Luigi Spaccarotella - agente di polizia stradale, trentunenne all'epoca dei fatti - a 9 anni e 4 mesi di galera per omicidio volontario con dolo eventuale. In attesa delle motivazioni del verdetto della Suprema Corte, è possibile passare in rassegna quanto sancito in appello e convalidato nell'ultimo grado di giudizio.
Innanzitutto, i fatti.
Domenica 11 novembre 2007, mentre Spaccarotella si trovava presso l'area di servizio dell'autostrada A1 di Badia al Pino Ovest, sparò un colpo di pistola d'ordinanza all'indirizzo di un'auto con a bordo 5 persone (tra cui, Gabriele Sandri), mentre stava uscendo dall'area di servizio opposta di Badia al Pino Est. Sandri, colpito alla base del collo, morì. Come anticipato, che si sia trattato di omicidio nessuna delle parti processuali lo ha mai dubitato; la partita giudiziaria si è invece combattuta sulla qualificazione giuridica dei fatti: omicidio colposo per la difesa, omicidio volontario con dolo eventuale per la Procura. Mentre il 14 luglio 2009 in 1° grado la Corte d'Assise di Arezzo ha riconosciuto l'imputato colpevole di omicidio colposo aggravato dall'aver agito nonostante la previsione dell'evento, condannandolo a 6 anni di reclusione (sentenza 7 settembre 2009, n. 1), il 1° dicembre 2010 in 2° grado la Prima Corte d'Assise d'Appello di Firenze (sentenza 28 febbraio 2011, n. 24) ha riqualificato i fatti secondo l'originaria imputazione: omicidio volontario con dolo eventuale. Essendo il reato doloso più grave di quello colposo, la pena è salita a 9 anni e 4 mesi di carcere. 
Ma che cosa era successo con esattezza? 
Spaccarotella si era fermato, aveva puntato la pistola in avanti - con una o entrambe le mani - verso la contrapposta area di servizio (lo stesso imputato non ha escluso di aver esploso il colpo dopo essersi fermato a braccia tese) e con un secondo colpo di pistola (il primo l'aveva sparato in aria) aveva colpito prima la rete metallica posta tra le due corsie autostradali, poi il vetro del finestrino posteriore dell’auto, infine il collo di Gabriele Sandri. Lo sparo mortale non era stato involontario, quindi il poliziotto della Stradale non aveva esploso il colpo accidentalmente: la sua postura indicava chiaramente l’intento di mirare verso qualcosa nell’area di servizio, servendosi dell’arma in suo possesso. Non avevano avuto alcuna importanza né un'eventuale perdita di destrezza alla mano dovuta allo stress, nè un affanno da sforzo, fattori che avrebbero potuto far sì che, senza volerlo, l’imputato avesse azionato il grilletto. Spaccarotella non era coinvolto in un’operazione che mettesse a repentaglio la sua incolumità e non aveva esploso il colpo durante la corsa, ma dopo essersi fermato: aveva in tal modo avuto modo di riprendersi da un eventuale affanno. Per di più, ci vuole un’energia non indifferente per esplodere un secondo colpo e se anche Spaccarotella lo avesse sparato accidentalmente, avrebbe dovuto mantenere inserito il dito in posizione tale da poter azionare il grilletto. Entrambe le circostanze – unite all’esperienza nell’uso delle armi dell’imputato – hanno sbugiardato la tesi del gesto accidentale.
La mancanza di un movente “razionale” non esclude la volontarietà della condotta: essa invero può realizzarsi anche a causa di un movente che trascuri il rapporto tra rischi e benefici, dal momento che l’azione umana può benissimo essere ispirata dall’istinto o dall’impeto. Nel caso specifico, tuttavia, il motivo per cui l’agente Spaccarotella aveva sparato contro l’auto con a bordo anche Gabriele Sandri è ipotizzabile e ravvisabile nella volontà di impedire che si allontanasse.
Non si conosce con precisione l’entità della deviazione della traiettoria del colpo determinata dall’urto del proiettile contro la rete metallica, in quanto non è stato possibile accertare le esatte posizioni di Spaccarotella e dell’auto, nonché la sua velocità di marcia una volta partita. Nondimeno, tale deviazione non deve essere stata particolarmente incisiva, visto che l’impatto con la rete doveva essere stato di entità molto modesta (il proiettile avrebbe solo lesionato lo strato superficiale del filo metallico). E’ vero che senza l’impatto del proiettile contro la rete metallica, verosimilmente non sarebbero stati colpiti né Gabriele Sandri, né l’auto che lo ospitava, ma ciò non escludeva la non intenzionalità dello sparo. In realtà, il colpo era destinato a colpire il veicolo, essendo stato diretto contro l’auto. D’altronde, perché Spaccarotella avrebbe dovuto puntare la pistola all’altezza dell’auto, ma in direzione diversa da quella ove si trovava la macchina, trascurando qualsiasi effetto intimidatorio, ammesso dallo stesso imputato? In più, il colpo aveva colpito il veicolo malgrado la deviazione e ciò è compatibile con l’aver puntato la pistola verso il veicolo e con l’aver esploso il colpo al suo indirizzo, dopo che Spaccarotella aveva percepito l’ubicazione dell’auto. Così, l’agente di polizia aveva potuto puntare la pistola e direzionare il colpo verso il luogo in cui si trovava il veicolo.
Ricostruita in tal modo la vicenda, i giudici non hanno potuto far altro che decretare la sussistenza dell’omicidio volontario con dolo eventuale. Se anche fosse stato provato che le ruote erano visibili dalla posizione di Spaccarotella in modo da avergli fornito la possibilità di mirare a loro per fermare l’automobile, ciò non significherebbe che Spaccarotella fosse convinto di poter effettivamente colpire il bersaglio. Il poliziotto della Stradale, per la sua normale esperienza nell’uso delle armi, era senza dubbio consapevole che alla distanza a cui si trovava l’auto (almeno 50 metri) non ci sarebbe stata alcuna possibilità di attingere il bersaglio con apprezzabile precisione: la pistola che impugnava avrebbe potuto colpire con precisione solo a una distanza decisamente inferiore (circa 25 metri). Non è neppure accreditabile un errore di percezione della distanza: Spaccarotella, per il servizio che svolgeva, conosceva bene i luoghi quale quello in cui stava operando. Inoltre, la presenza della rete metallica davanti a sé avrebbe dovuto indurlo a intuire che il colpo sarebbe stato del tutto verosimilmente deviato per l’impatto del proiettile contro la rete stessa o che comunque questa era un’eventualità assai probabile, tale da poter far assumere qualsiasi traiettoria al proiettile esploso. Quindi, di fronte alla presenza della rete metallica, Spaccarotella non poteva supporre di aver una qualche probabilità di colpire con precisione le gomme dell’automobile; né si può ipotizzare che, pur avendo mirato al veicolo in movimento, avesse potuto contare sul fatto che il colpo, deviato dall’impatto con la rete, avrebbe evitato di colpire l’abitacolo dell’auto, mentre questa era in moto o stava per partire.
Bisogna di conseguenza concludere che l’esplosione del colpo di pistola non poteva che palesarsi allo stesso Spaccarotella soltanto come un irresponsabile azzardo. Del resto, anche i giudici di 1° grado avevano prospettato come ipotesi possibile quella per cui Spaccarotella avesse agito per una reazione quasi incontrollata, vedendo allontanarsi gli individui che voleva bloccare e identificare (in quanto responsabili di una pregressa aggressione), tale da averlo indotto a cercare di ottenere il risultato che si era prefissato a tutti i costi, anche uccidendo. Certo, i precedenti di vita di Spaccarotella non avrebbero portato a ipotizzare una decisione di sparare per uccidere o a costo di uccidere, trattandosi di persona tutt’altro che fanatica delle armi e che non aveva mai tenuto condotte imprudenti o rischiose per l’incolumità altrui. C’è stato pur sempre dolo eventuale, poiché tutti i dati obiettivi e oggettivi acquisiti sono, sul punto, inequivocabili: essi non potevano che rappresentare a Spaccarotella come probabile o niente affatto da escludere il verificarsi dell’evento in realtà accaduto. Ecco, pertanto, spiegata la ricorrenza del dolo eventuale:

- c’è dolo eventuale quando l'imputato conosca la possibilità che il fatto si realizzi concretamente e accetti il rischio (c'è quindi volizione);

- c’è invece colpa con previsione quando l'imputato conosca l'astratta possibilità che il fatto si realizzi, ma nutra una sicura fiducia che in concreto esso non si realizzi (non c'è quindi volizione). La colpa suppone negligenza, imprudenza o imperizia da parte del reo, il quale – sbagliando – abbia giudicato efficaci i fattori impeditivi dell’evento, a lui noti.

Nel caso di Spaccarotella, gli elementi considerati non potevano in alcun modo indurre in lui una sicura fiducia verso il non verificarsi di un evento letale, poi realizzatosi. Pertanto, Spaccarotella è stato ritenuto colpevole di omicidio volontario con dolo eventuale e condannato a 9 anni e 4 mesi di carcere, all’interdizione perpetua dai pubblici uffici e all'interdizione legale durante l’esecuzione della pena (pur potendo continuare a esercitare la potestà di padre). La pena è stata così determinata: pena base 21 anni, che con le attenuanti generiche è diventata 14 anni e con il rito abbreviato 9 anni e 4 mesi. La pena base (nel minimo) e le attenuanti generiche (nel massimo) sono state motivate con la corretta antecedente condotta di poliziotto.

E’ tutto chiaro, ex onorevole Santanchè?

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