lunedì 20 febbraio 2012

GAETANO LIPARI, INFERMIERE MAFIOSO

Questa è la storia di Gaetano Lipari, infermiere mafioso che non si limitava a iniettare un farmaco antitumorale a Bernardo Provenzano e a provvedere ai relativi prelievi, ma era uno degli ultimi anelli della catena di scambio dei pizzini grazie ai quali il capo di Cosa Nostra comunicava con gli altri mafiosi. 
Dopo essere stato rinviato a giudizio per partecipazione ad associazione mafiosa (art. 416-bis c.p.) e condannato dal Tribunale di Palermo a 13 anni di carcere (sentenza del 5 ottobre 2009), Lipari è stato punito con una pena di 10 anni di reclusione dalla Corte d'Appello palermitana (sentenza del 13 dicembre 2010)  e dalla Cassazione (sezione VI penale, sentenza 15 febbraio 2012, n. 5909).
Interessanti alcuni aspetti sottolineati dalla Suprema Corte, come la differenza tra i reati di associazione mafiosa (il sopra ricordato art. 416-bis c.p.) e di favoreggiamento personale aggravato dall'aver agevolato l'attività mafiosa (art. 378 c.p., art. 7 D.L. 13 maggio 1991 n. 152, convertito in L. 12 luglio 1991 n. 203). Mentre l'associazione mafiosa è contestata a chi appartenga stabilmente e consapevolmente all'organizzazione criminale, con una condotta concretamente utile per l'intera associazione, il favoreggiamento personale aggravato è rivolto a chi, estraneo all'associazione mafiosa, si limiti a favorire qualche suo componente. L'infermiere Gaetano Lipari è stato sempre riconosciuto colpevole di 416-bis dal momento che le sue concrete attività avevano procurato un importante aiuto non a un mafioso qualsiasi, ma al massimo esponente di vertice di Cosa Nostra, con evidenti e immediate ripercussioni sull'attività di tutta la mafia siciliana. 
Ci si potrebbe, però, porre il seguente interrogativo: visto che Lipari aveva garantito a Bernardo Provenzano le cure necessarie al suo stato di salute, non doveva essere assolto per aver agito in tutela della salute e per aver fornito una doverosa e impellente assistenza sanitaria? La risposta sancita dai giudici è stata netta: no. Non solo infatti la somministrazione di cure antitumorali non è di pertinenza di un semplice infermiere, ma Lipari si era interessato al capo corleonese in maniera attiva e propulsiva attraverso i contatti e i canali propri della mafia. Per di più, oltre ad aver garantito a Provenzano il mantenimento della sua capacità gestionale nella difficile situazione della latitanza (con relativo vantaggio per l’intera Cosa Nostra), era stato utilizzato quale canale di comunicazione per far sì che Provenzano mantenesse i suoi collegamenti epistolari mediante scambio di pizzini ed era anche stato coinvolto in questioni diverse dallo stato di salute di Provenzano, come gli interventi per la risoluzione delle liti in seno al gruppo criminale. 
La perdurante e rilevante operatività di Gaetano Lipari non era quindi rimasta confinata in un rapporto puramente personalistico con il latitante Provenzano (difficilmente immaginabile, stante la caratura delinquenziale del personaggio), ma si era espressa in termini di consapevole cooperazione alla vita e all’attività di Cosa Nostra, di cui Lipari veniva comprensibilmente ritenuto partecipe.

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