martedì 21 febbraio 2012

SESSO A SCUOLA



E' recente la notizia di una coppia di quindicenni che, nel bagno di un istituto di ragioneria di Bassano del Grappa (Vicenza), ha fatto sesso e, per tale ragione, è stata punita: 1 giorno di sospensione per il ragazzo, 4 giorni per la ragazza. Tale vicenda mi fornisce lo spunto per soffermarmi sul tema dell'educazione sessuale nelle scuole, del  quale si è occupato il massimo organo giurisdizionale italiano, le Sezioni Unite Civili della Cassazione. 
Con l'ordinanza 5 febbraio 2008, n. 2656, esse hanno sancito il principio di diritto per cui nelle scuole italiane (persino le elementari) è possibile insegnare l'educazione sessuale anche se ciò contrasti con la volontà dei genitori e con i valori coltivati in famiglia. Non vale il ragionamento secondo il quale per insegnare in classe l'educazione sessuale - considerata da alcune madri e padri come espressione di immoralità e ateismo - serva il consenso dei genitori, così da tutelare l'esclusivo diritto della famiglia a educare la prole (ai sensi degli articoli 29 e 30 della Costituzione). Le Sezioni Unite della Suprema Corte, pur riconoscendo il suddetto diritto-dovere, hanno affermato che esso si debba compensare con altri diritti altrettanto costituzionalmente riconosciuti, come la libertà di insegnamento (art. 33) e l'obbligatorietà dell'istruzione inferiore (art. 34). Infatti, la nostra Carta fondamentale contempla un necessario bilanciamento e coordinamento tra diritti e doveri della famiglia e della scuola, i quali devono essere esercitati in un ambito di autonomia delle istituzioni scolastiche, così come riconosciuto anche dall'art. 21 della legge 15 marzo 1997, n. 59. Non è un caso che il nono comma parli di "scelta libera e programmata di metodologie, strumenti e organizzazione di insegnamento, da adottare nel rispetto della possibile pluralità di opzioni metodologiche" e di "ogni iniziativa che sia espressione di libertà progettuale". Di conseguenza, per qualsiasi materia, gli istituti didattici di ogni ordine e grado possono liberamente scegliere programmi e metodi anche contrastanti con le convinzioni dei genitori, non godendo questi ultimi di alcun diritto di veto. Possono, così, interferire con la sfera giuridica di madri e padri, poichè inserire un insegnamento in un programma di studi (anche l'educazione sessuale) attiene alla podestà organizzatoria e all'autonomia di scelta riconosciuta alla scuola, indipendentemente dagli indirizzi educativi della famiglia. I giudici della Cassazione, infine, hanno voluto rammentare la funzione propria dell'istituzione scolastica: certamente istruire, ma anche formare ed educare, in un'ottica complementare a quella familiare.
Perchè, di fronte a un verdetto simile, l'insegnamento dell'educazione sessuale nelle aule italiane è decisamente deficitario e assai poco presente? Ha magari qualcosa a che vedere con la Chiesa cattolica?

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