PROMEMORIA PER MONTI E FORNERO
Con la vicenda di cui scrivo oggi mi illudo di far riflettere una volta per tutte il Presidente del Consiglio Mario Monti e il ministro del Lavoro Elsa Fornero, prima che eliminino dal nostro ordinamento normativo e giuridico alcuni fondamentali diritti dei lavoratori, finora tutelati.
Protagonista della storia è una commessa che ha lavorato in un negozio dal 2 maggio 2002 al 6 ottobre 2004, giorno da cui è stata licenziata. Per quale motivo? Tre giorni prima, il 3 ottobre, a seguito di un malore, si era recata al Pronto Soccorso dell'Ospedale di Cosenza, dove le era stata diagnosticata una probabile gravidanza allo stato iniziale. Trascorsi altri due giorni, i fatti si erano ripetuti in forma più grave: dolori lancinanti al basso ventre, seguiti da emorragia, sul posto di lavoro. E qui la prima anomalia (anche se temo possa presto diventare una normalità): nonostante la donna sofferente fosse riuscita a telefonare al datore di lavoro per segnalare l'emegenza e la necessità di tornare subito in ospedale, questo le aveva detto di aspettare (che cosa, non è dato sapere. Forse che venisse almeno fuori la testa?!?). Allora aveva chiamato prima il marito (per farsi accompagnare in ospedale), poi una donna presente in negozio (per chiederle di sostituirla). Una collega presente in quel momento aveva quindi mandato una cliente abituale - che per caso si trovava nel locale - a sostituire temporaneamente la commessa bisognosa di cure mediche. Soltanto dopo che tale signora aveva preso in affidamento l'esercizio commerciale (e ciò sarebbe durato fino all'arrivo dell'amministratrice) e dopo aver avvisato la dirigenza, la donna aveva lasciato il posto di lavoro per andare in ospedale (i medici le avrebbero diagnosticato un rischio di aborto, intimandole un periodo di riposo assoluto per alcuni giorni). Ed ecco la seconda anomalia (o eventuale prossima consuetudine): la donna aveva trasmesso al datore di lavoro l'apposito certificato medico, ma questi lo aveva rifiutato, licenziando la dipendente per aver abbandonato il posto di lavoro senza avviso e aver affidato il negozio a un'estranea, pur essendo stata autorizzata a chiuderlo.
Come nell'episodio raccontato nello scorso post, anche questa lavoratrice si è rivolta alla giustizia e ha avuto ragione in tutti e tre i gradi di giudizio. Infatti, sia il Tribunale di Cosenza, sia la Corte d'Appello di Catanzaro, sia infine la Cassazione (sentenza 26 gennaio 2012, n. 1089) hanno annullato il licenziamento e condannato la società a reintegrare al lavoro la donna, a corrisponderle le retribuzioni maturate dal licenziamento fino all'effettiva reintegrazione e a rifonderle le spese processuali. Le motivazioni dei giudici parlano chiaro: il licenziamento è illegittimo perchè è vietato licenziare il lavoratore senza una giusta causa (ai sensi dell'art. 18 commi 1 e 4 dello Statuto dei lavoratori, L. 20 maggio 1970, n. 300) e la lavoratrice durante lo stato di gravidanza (ai sensi dell'art. 54 commi 2 e 5 del testo unico delle norme in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151). Per quanto riguarda il primo aspetto (l'assenza di giusta causa), i magistrati hanno sottolineato l'irrilevanza del fatto che la donna a cui era stato provvisoriamente affidato il negozio fosse stata una cliente, visto che quest'ultima aveva ricevuto l'incarico da una dipendente, collega della donna incinta. Sul secondo aspetto (la dipendente non era licenziabile perchè incinta), invece, i giudici hanno accertato la conoscenza dello stato di gravidanza da parte dell'amministratrice della società, visto che ne era stata informata dalla cliente-reggente al suo arrivo in negozio, dopo che la lavoratrice gravida era già accorsa in ospedale. Ed ecco la terza anomalia (o futura prassi): la società aveva proceduto al licenziamento nonostante fosse a conoscenza dello stato di gravidanza di una propria dipendente.
Se il "sobrio" governo dei professori avesse già abrogato o "ammorbidito" l'art. 18 e/o altre norme di legge che tutelano i lavoratori e le lavoratrici dai licenziamenti ingiusti, la donna ora non avrebbe più il suo lavoro e sarebbe stata inferta una grave lesione ai suoi diritti di madre e lavoratrice. Comunque, niente paura: in tal caso ci sarebbe stato di certo qualche politico o giornalista che, per consolarla, le avrebbe rammentato le lacrime di disperazione del ministro Fornero e l'avrebbe redarguita qualora non avesse compreso il sincero dispiacere del ministro per aver voluto una legge a sua insaputa.
articoli sempre interessanti, mi piacerebbe sapere come fai a scoprirli visto che sono x lo + sconosciuti.
RispondiEliminacontinua così, ragazzo!!