venerdì 3 febbraio 2012

STORIA ORDINARIA DI UN LICENZIAMENTO INGIUSTO

Il 23 novembre 2005 una dipendente addetta alla pulizia dei macchinari aziendali dell'Antico forno a legna srl (società dedita alla produzione artigianale di pizze e basi per pizza con sede a Borgolavezzaro, in provincia di Novara) è stata licenziata. La donna era solita svolgere il turno notturno (tra le 22 e le 5.30), ma usciva da un periodo di cassa integrazione durante il quale le era stato concesso di lavorare part-time nel turno pomeridiano (tra le 16 e le 22). Poichè l'azienda, terminata la cassa integrazione, le aveva imposto di tornare a lavorare con il precedente orario (22 - 5.30) e la donna si era detta indisponibile, ecco spiegato il licenziamento, motivato con la soppressione della pulizia dei macchinari tra le 16 e le 22 e la mancanza di alternative d’impiego in ditta.
Fortunatamente la donna si è rivolta ai giudici del lavoro, i quali le hanno dato ragione in primo, secondo e terzo grado (Cassazione, sentenza 14 novembre 2011, n. 23807). Essi hanno ricordato che ai sensi dell'art. 11, c. 2, lett. a) del D.L.gs. 8 aprile 2003 n. 66 (legge con cui si sono attuate due direttive europee sull'organizzazione degli orari di lavoro), essendo l’operaia anche madre di un bambino di età inferiore ai tre anni, ha il diritto di rifiutare il lavoro di notte, non potendo essere obbligata a prestare lavoro notturno.
I giudici si sono quindi soffermati sull’obiezione mossa dall’impresa, secondo cui la pulizia dei macchinari aziendali veniva svolta solo di notte ed era impossibile ricollocare la lavoratrice, avendo ella sempre svolto solo tali mansioni ed essendo quindi sprovvista della professionalità necessaria per assumere altri compiti. La magistratura ha ritenuto tali assunti "non condivisibili e comunque non provati". Infatti, in relazione all'applicazione dell'art. 11 sopra citato, la valutazione sulla possibilità di ricollocazione non si deve fondare sulle mansioni concretamente svolte, ma sulla qualifica contrattuale del lavoratore. Visto che gran parte dei dipendenti dell'Antico forno a legna con ruoli produttivi era inquadrata nello stesso livello della donna, non si vede per quale ragione l’azienda non potesse affidarle un impiego analogo, considerando per di più che ella aveva già svolto di tanto in tanto mansioni produttive, essendo evidentemente stata valutata dall’azienda come idonea, dal punto di vista professionale, anche allo svolgimento di tali incarichi. Non bisogna, infine, dimenticare che la possibilità di ricollocazione deve farsi carico di un eventuale breve percorso di riqualificazione professionale del lavoratore.
La conseguenza tratta è che l'azienda avrebbe dovuto impiegare la sua dipendente in mansioni diurne anche produttive, cioè alternative a quelle di pulizia di solito praticate dalla lavoratrice ingiustamente licenziata.

P.s. Sarebbe il caso che il ministro Fornero mediti su storie come quella qui raccontata, prima di pensare di spazzare via i diritti minimi dei lavoratori garantiti dalla legge. Possibilmente senza piangere. 

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