PER ELUANA
Il 9 febbraio scorso è ricorso il 3° anniversario della morte di Eluana Englaro. Per ricordarla, propongo una lettura sintetica dei provvedimenti giudiziari che ne hanno risolto definitivamente la vicenda:
- Cassazione, sezione I civile, sentenza 16 ottobre 2007, n. 21748;
- Corte d'Appello di Milano, sezione I civile, decreto 9 luglio 2008;
- Corte Costituzionale, ordinanza 8 ottobre 2008, n. 334;
- Corte europea dei diritti dell'uomo, sezione II, decisione Ada Rossi e altri contro Italia, 16 dicembre 2008;
- Tar Lombardia, sezione III, sentenza 26 gennaio 2009, n. 214;
- Tribunale di Udine (Ufficio del Gip), decreto di archiviazione 11 gennaio 2010.
Qual era la situazione clinica di Eluana Englaro?
A seguito di un incidente stradale
avvenuto il 18 gennaio 1992, Eluana Englaro – una giovane ragazza di 21 anni –
aveva riportato un gravissimo trauma cranico-encefalico con lesioni irreparabili
di alcuni tessuti cerebrali, a cui era seguito prima un coma profondo, poi
uno stato vegetativo permanente con tetraplegia
(impossibilità di movimento). Pur essendo ancora
funzionanti le attività respiratorie, cardiovascolari, gastrointestinali e
renali e pur persistendo i riflessi del tronco e spinali, Eluana era totalmente
incapace di vivere esperienze cognitive ed emotive, avendo perso qualsiasi
percezione, cognizione, emozione e contatto con l'ambiente esterno. Non c’era
in lei alcun segno né di attività psichica, né alcuna capacità di risposta agli
stimoli visivi, uditivi, tattili e dolorifici. La sua sopravvivenza fisica era
assicurata solo grazie all'alimentazione e all'idratazione artificiali
somministrate attraverso un sondino naso gastrico.
Tale
condizione era irreversibile?
L'irreversibilità di tale condizione è
stata dimostrata sia sul piano clinico, sia sul piano dei più accreditati studi
medici internazionali, secondo i quali, in un adulto, è permanente e
irreversibile lo stato vegetativo di origine traumatica protrattosi oltre i 12
mesi (periodo temporale dal valore non assoluto, ma statistico, dopo il quale è
comunque necessario prolungare il periodo di osservazione medica). Tale limite
è necessario e sufficiente per prognosticare in maniera attendibile
l'irreversibilità dello stato vegetativo. In presenza di uno stato vegetativo
che perduri per più di un anno, è impossibile qualsiasi recupero (la
probabilità di una ripresa è insignificante), quindi il paziente è inguaribile,
poiché nessuna terapia o intervento sarebbero più in grado di modificare lo
stato della patologia. Poiché la condizione di Eluana è rimasta invariata dal
gennaio 1992 al febbraio 2009 – cioè per oltre 17 anni – non c’era alcuna
possibilità che avesse miglioramenti. Eventuali opinioni contrarie sono minoritarie
e assolutamente ininfluenti.
Basti rammentare che in Francia era stata
disposta l'interruzione dell'alimentazione con sondino nasogastrico a una donna
in stato vegetativo da 8 anni, mentre in Gran Bretagna si era intervenuti in
tal senso dopo soli 3 anni.
Qual era lo status giuridico di Eluana?
Il 19 dicembre 1996 il Tribunale di Lecco aveva
dichiarato Eluana “interdetta per assoluta incapacità” e ne aveva nominato
tutore il padre, Beppino Englaro.
Beppino Englaro, in qualità di tutore
della figlia, poteva intervenire sul trattamento sanitario di Eluana o avrebbe
dovuto limitarsi a curarne i soli eventuali beni patrimoniali?
Qualsiasi paziente incapace può accettare
o rifiutare i trattamenti prospettati attraverso un legale rappresentante, che
esercita le proprie funzioni sostituendo l’interdetto in ordine al consenso o
al rifiuto di una terapia medica. Quindi Beppino Englaro (in qualità di tutore)
era legittimamente il soggetto interlocutore dei medici per decidere sui
trattamenti sanitari della figlia.
Qual è stato il giudizio su Beppino Englaro?
Non ha assunto un potere incondizionato di
disporre della salute di Eluana, né ha
tratto alcuna valutazione personale sulla
correttezza comportamentale della figlia. Ha agito nell'esclusivo
interesse di Eluana, avendo ricostruito la sua volontà presunta e decidendo non al
posto di o per, ma con la
figlia. Inoltre, ha fornito una rappresentazione della personalità di Eluana lucida, precisa e
sempre coerente, dandone un quadro quanto
più verace possibile. Di fronte ai giudici, si è
espresso in maniera convincente, con un
atteggiamento pacato, fermo e preciso. Non è mai trapelata alcuna tendenza a “mettere in
bocca” a Eluana parole sue:
al contrario, ha più volte voluto precisare che determinate frasi ed espressioni da lui utilizzate erano proprio quelle che aveva pronunciato la figlia. Non aveva alcun
interesse personale, poiché Eluana
era nullatenente e figlia unica. Per non dubitare
dell’affidabilità di Beppino Englaro, inoltre, basti citare una lettera scritta da Eluana ai
genitori poco prima dell’incidente stradale in cui sarebbe rimasta
coinvolta. In questo scritto, Eluana aveva voluto comunicare al padre e alla madre tutta la
fiducia e il grande affetto che provava per loro, la sua riconoscenza per
quello che essi erano come persone, per come avevano sempre dialogato con lei, per
come le erano sempre stati vicini, per come l’avevano curata, educata, trattata e per
quello che erano riusciti a fare di lei. Si può ben concludere che la scelta delineata dal padre non
è stata espressione del giudizio del tutore, né è
stata dettata o condizionata da interessi, secondi fini o dalla
gravosità della situazione, ma semplicemente dall’affetto e dal
rispetto verso la volontà
della figlia e il suo modo di concepire la dignità e la vita, avendone ricostruito l’identità e la decisione
ipotetica che avrebbe preso se fosse stata cosciente. Il padre è stato l’autentica
voce della figlia.
Le tesi sulle convinzioni e la personalità
di Eluana e la conseguente richiesta di interrompere l'alimentazione e
l'idratazione artificiali sono state avanzate solo dal padre Beppino?
No, sono state
pienamente confermate dalla curatrice speciale di Eluana, dalla madre Saturna e dalle amiche d’infanzia, le cui
testimonianze sono tutte state attendibili,
univoche ed efficaci.
La curatrice
speciale, avv. Franca Alessio, era stata nominata a seguito dell’ordinanza 20 aprile 2005, n. 8291 della prima sezione civile
della Cassazione, in cui la Suprema Corte aveva stabilito che, senza specifiche
prove o disposizioni, il solo Beppino Englaro non possedeva un generale potere di rappresentanza
degli interessi della figlia e che, di conseguenza, si imponeva un contraddittore
imparziale con funzioni di controllo e per verificare
la genuinità e trasparenza delle intenzioni e dei fini che avevano mosso
Beppino Englaro, onde – eventualmente - depurarli da ogni rischio di interesse egoistico. L’imparzialità
dell’attività svolta dall’avv. Alessio è stata dimostrata dall’aver svolto in
prima persona indagini sul passato di Eluana, a seguito
delle quali era giunta alle identiche tesi del padre-tutore.
Per quanto riguarda, invece, le testimonianze delle amiche di Eluana - indicative
della personalità della giovane – sono state talmente attendibili, rilevanti, chiare, univoche, concordanti e ricche di dettagli da aver permesso di dedurre una volontà
sicura di Eluana contraria alla prosecuzione dei trattamenti cui era
sottoposta. Anche se si è trattato di valutazioni
soggettive, provenivano da chi più da vicino aveva conosciuto Eluana, fin dai
tempi dell’infanzia. E’proprio nel rapporto
di amicizia fra coetanei - ancor più che nel rapporto con i genitori - che solitamente
si esprime la maggior parte delle proprie convinzioni, ansie e angosce. Rilevante, inoltre, il
fatto che fossero passati molti
anni dal momento in cui Eluana si era espressa: solo l’immagine che si era formata nella memoria di chi le
era stato vicino sarebbe potuta riuscire a sfuggire ai deleteri effetti del
tempo e del distacco.
Le testimonianze di
cui sopra hanno ricostruito una sorta di testamento biologico di Eluana?
No, esse hanno solo consentito
di accertare che la richiesta di interruzione del trattamento formulata dal
padre tutore rifletteva appieno gli orientamenti della figlia. Si sono, quindi,
limitate a indicare la personalità di Eluana e
il suo modo di
concepire la dignità della
persona, alla luce dei suoi valori di riferimento e dei convincimenti etici, religiosi,
culturali e filosofici.
Qual era la personalità di Eluana?
Indipendente, ribelle,
irremovibile nelle proprie convinzioni ed estranea a qualsiasi compromesso o ipocrisia.
Eluana aveva un genuino e spiccato spirito di libertà insofferente
alle regole, agli schemi e a qualunque imposizione.
Inoltre, ha sempre avuto una
concezione di “vita degna” solo se
vissuta con pienezza di facoltà motorie e psichiche. Proprio il suo grande amore per la
vita esprimeva l’idea per cui “vita”
era solo quella che poteva essere vissuta muovendosi in libertà, esprimendo una volontà cosciente, interagendo con il mondo attraverso le proprie
facoltà intellettive, percettive e cognitive. Si tratta di una concezione personale non rara e non
nuova, essendo anzi un
antico portato della medicina:
“Solo dal cervello derivano le
gioie, i piaceri, la serenità, il riso, lo scherzo, le tristezze, i dolori,
l’avvilimento e il pianto. Per merito suo acquisiamo saggezza e conoscenza, e vediamo,
sentiamo, giudichiamo, impariamo cos’è giusto e cos’è sbagliato, cos’ è
dolce e cos’ è amaro” (Ippocrate, Sulla
malattia sacra, 400 circa a.C.).
Che cosa sono l’idratazione e
l'alimentazione artificiali con sondino naso gastrico?
La comunità scientifica internazionale e
la giurisprudenza italiana sono concordi nel qualificare l’alimentazione e l’idratazione
artificiali come un trattamento sanitario che sottende un sapere scientifico,
praticabile solo da medici grazie all’uso di particolari procedure
tecnologiche, con cui al paziente vengono somministrati alcuni composti
chimici.
L'alimentazione e l'idratazione forzata mediante sondino nasogastrico sono
una forma di accanimento terapeutico?
Non costituiscono in sé una forma di accanimento terapeutico;
rappresentano, invece, un presidio proporzionato volto a mantenere il soffio
vitale.
I giudici hanno ordinato il distacco del sondino naso
gastrico?
No, hanno solo controllato la legittimità
di una scelta nell'interesse di Eluana e – in riferimento al caso specifico – hanno
autorizzato la scelta di Beppino Englaro di interrompere il trattamento sanitario cui era sottoposta la figlia.
Perché i giudici hanno accolto la
richiesta di Beppino Englaro?
In base a un rigoroso apprezzamento
clinico, la condizione di stato vegetativo di Eluana era irreversibile, per cui
non c’era alcun fondamento medico che lasciasse supporre che avesse la benché
minima possibilità di un recupero della coscienza e di ritorno a una percezione
del mondo esterno. Inoltre, in base a prove chiare, concordanti e convincenti
in merito alla personalità, allo stile di vita e ai convincimenti etici,
religiosi, culturali, filosofici di Eluana, l’istanza sollevata dal
padre-tutore era realmente espressiva della voce di Eluana e della sua volontà
presunta. Eluana non avrebbe mai voluto - nemmeno per un breve periodo, figurarsi per 17
anni - essere un mero soggetto
passivo di un trattamento finalizzato al mero sostegno artificiale per la
sua sopravvivenza biologica, perché considerava radicalmente incompatibile con
le sue concezioni di vita uno
stato patologico di totale incapacità motoria e di assoluta immobilità e incoscienza che le impedisse di
muoversi, sentire
e pensare, rimanendo passivamente come un "oggetto" in balìa dell’altrui volontà. Eluana
avrebbe quindi ritenuto il suo trattamento di sostegno vitale come una violenza
e una lesione della propria dignità.
La straordinaria durata dello stato
vegetativo permanente e l’altrettanto
straordinaria tensione del carattere di Eluana verso la libertà, nonché l'inconciliabilità della sua
concezione sulla dignità della vita con la perdita totale e irrecuperabile
delle proprie facoltà sono fattori che dovevano
prevalere sulla necessità di tutelare la vita
biologica in sé. L’autorizzazione dei giudici non è stato
altro che un estremo gesto di rispetto dell'autonomia di Eluana.
E’
giusto che la magistratura si sia pronunciata su un caso così delicato?
L'autorità
giudiziaria si è posta il problema dei limiti dei propri poteri in tale
delicatissimo ambito e ha concluso che doveva affrontare e dare risposta – in
un senso o nell’altro – alla domanda di Beppino. La magistratura si è quindi fatta
carico di una domanda (aveva il dovere di farlo), dandone una risposta: la
prosecuzione dei trattamenti di sostegno vitale di Eluana era illegittima
poiché contrastava con la sua volontà presunta. Anche se le pronunce dei
giudici possono non convincere o suscitare critiche, devono essere rispettate a
tutti i livelli, poiché provengono dalla sede propria e imprescindibile in cui
la società affronta e risolve le questioni sui diritti che sorgono al proprio
interno.
Non si può supporre che dopo 17 anni Eluana avrebbe potuto
cambiare idea?
Eluana possedeva
una concezione della vita talmente radicata da non apparire minimamente
soggetta a ipotetici
ripensamenti che potessero renderla inattuale solo per effetto del trascorrere del tempo e delle
esperienze. Eluana è sempre stata determinata, ferma e irremovibile nelle sue
opinioni, persino quelle su un tema delicato come il confine tra vita e morte.
Ha importanza la
formazione religiosa di Eluana?
No, in quanto Eluana era insofferente verso qualunque
imposizione esterna (anche religiosa), per cui l'orientamento della Chiesa cattolica non le avrebbe di certo fatto cambiare
idea. Inoltre, Eluana non è mai stata una
cattolica praticante. Al di là della sua intima religiosità, ha sempre
criticato qualunque richiesta istituzionale di adesione a pratiche o ideologie
basate sul principio
di autorità. Tuttavia, anche se Eluana avesse avuto una profonda formazione cattolica, ciò non sarebbe stato in
contrasto con la sua personalità indipendente e con le sue convinzioni. D’altronde ciascuno, anche se cattolico, è libero di condividere o meno, di applicare o meno le
tesi ecclesiastiche, soprattutto in uno Stato laico che tutela la libertà di coscienza. In realtà, il profondo sentimento
religioso di Eluana si
estrinsecava in una pietà empatica
verso le tragedie umane, nella speranza
dell’esistenza di una divinità che
le risolvesse.
I giudici si sono
intromessi nel ruolo legislativo del Parlamento? Hanno emanato provvedimenti
politici?
E’ quanto sostenuto
dalla Camera dei Deputati e dal Senato con due distinti ricorsi depositati il
17 settembre 2008 presso la Corte Costituzionale, con i quali avevano sollevato
un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato contro la Cassazione e la Corte
d'Appello di Milano. La Camera e il Senato avevano accusato i giudici di aver usato la loro funzione
giurisdizionale per produrre una legge nuova e fondata su presupposti estranei
all'ordinamento italiano, la quale, colmando il vuoto normativo sul testamento
biologico, aveva introdotto l'autorizzazione a cessare di vivere dei pazienti
in stato vegetativo permanente. I giudici avrebbero insomma intenzionalmente usurpato e menomato le funzioni
del Parlamento, esercitandone le
attribuzioni. Non solo. Le Camere, entrando nel merito, avevano ritenuto che nessuno avrebbe potuto disporre
del diritto inviolabile della vita altrui, che la scienza sollevava questioni
etico-giuridiche controverse, che l'alimentazione e l'idratazione artificiali
non erano una terapia, che la natura dello stato vegetativo permanente era incerta
e che eseguire i provvedimenti dei giudici avrebbe significato compiere non
solo illegali pratiche eugenetiche per la selezione della specie umana, ma
anche i reati di omicidio volontario, omicidio
del consenziente e aiuto al suicidio. Infine,
la Camere avevano scritto come si sarebbero dovuti comportare i magistrati per
giungere al risultato cui erano giunti: avrebbero dovuto sollevare presso la
Consulta una questione di legittimità costituzionale di alcuni articoli del
codice civile, ma, non avendolo fatto, non avrebbero potuto accogliere la
domanda posta loro dal tutore di Eluana, evitando di pronunciarsi per
infondatezza della pretesa.
La Consulta non ha neppure
ritenuto ammissibili i ricorsi, poichè non sussistevano i requisiti per
instaurare un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato. Secondo la
Corte Costituzionale, solo la magistratura è legittimata e competente
a risolvere definitivamente un conflitto di cui sia stata investita,
esprimendo una decisione. Nel caso concreto, la Cassazione – ha proseguito la
Consulta - aveva sancito un principio di diritto cui la Corte d'Appello di
Milano si era attenuta nella sua applicazione. Tali corti giudiziarie non si erano
quindi fatte scudo dei loro provvedimenti per esercitare il potere legislativo
del Parlamento, di cui non hanno minimamente menomato le attribuzioni. Infatti,
i provvedimenti della Cassazione e della Corte d'Appello di Milano possedevano tutte
le caratteristiche proprie degli atti giurisdizionali. Invece con i loro
ricorsi, sia la Camera, sia il Senato avevano avanzato numerose critiche al
modo in cui la Cassazione prima e la Corte d'Appello milanese poi avevano selezionato,
utilizzato e interpretato le norme per la decisione, prospettando un iter
logico-giuridico alternativo a quello dei giudici. Quindi,
non solo non è vero che la magistratura ha assunto il ruolo della politica, ma,
anzi, è vero l’esatto contrario: è stata la politica a ergersi a giudice.
La Giunta regionale lombarda,
guidata da Roberto Formigoni, ha impedito al personale di ogni struttura
del Servizio Sanitario di eseguire i provvedimenti giudiziari. Era legale
l’azione della Regione?
Poiché i verdetti della
Cassazione e della Corte d’appello di Milano potevano essere revocati solo dal
giudice tutelare su istanza di Beppino Englaro o della curatrice speciale, i
loro verdetti erano definitivi. La Regione Lombardia, avendo disconosciuto
tale effetto, si è posta in contrasto con l’ordinamento giuridico italiano, con lo Stato di diritto e con il principio di
legalità. Aver rifiutato il ricovero ospedaliero a Eluana solo perché
aveva esercitato il suo diritto fondamentale di interrompere un trattamento
sanitario, ha infatti limitato tale diritto e violato i principi di legalità,
buon andamento, imparzialità e correttezza.
Lo stesso discorso vale anche per
una nota del Ministro della Salute Maurizio Sacconi, datata 16 dicembre 2008, inidonea,
nonostante le intenzioni, a intaccare il quadro di diritto ricostruito dai provvedimenti
giudiziari. Il principio di non discriminazione del disabile, richiamato da
Sacconi, non contraddiceva il diritto di Eluana a rifiutare le terapie; anzi,
se fosse stata seguita l’impostazione ministeriale - cioè non riconoscere al
disabile incapace tale diritto – si sarebbe proprio in quel caso discriminato
il paziente nell’esercizio di una libertà costituzionale garantitagli.
Beppino Englaro e i medici che
hanno interrotto le terapie di Eluana sono assassini? Eluana è stata uccisa?
Pur essendo stati iscritti sul
registro degli indagati dalla Procura di Udine per concorso aggravato in
omicidio volontario aggravato, Beppino Englaro e 13 medici e paramedici non
sono assassini. Lo ha sancito il Gip di Udine, in accoglimento della richiesta
di archiviazione del Pm.
Beppino Englaro e il personale
sanitario che ha interrotto il trattamento non hanno commesso alcun reato perché
hanno solo dato seguito a un’autorizzazione definitivamente concessa
loro dai giudici (che quindi doveva essere eseguita), nell’esercizio di un diritto legalmente
riconosciuto e attribuito. In più, il decesso di Eluana non era stato né di
natura traumatica, né tossica, perché le pratiche seguite erano state
esattamente quelle autorizzate dai giudici, a cui aveva fatto seguito un protocollo
operativo predisposto e rispettato da Beppino Englaro e dall’equipe
assistenziale, in un prudente e scrupoloso intento di massima trasparenza.
Eluana era morta in seguito ad alcune complicazioni dell’apparato
cardiovascolare, dovute all’estrema vulnerabilità del suo corpo.
Si è trattato di eutanasia, suicidio assistito o
aiuto al suicidio?
Rifiutare vitali terapie medico-chirurgiche anche quando
ciò conduca alla morte, non è eutanasia. Essa infatti consiste in un
comportamento che intende appositamente e causalmente abbreviare la vita, provocando positivamente la morte,
mentre la vicenda Englaro ha riguardato il diritto di esprimere un legittimo
rifiuto in base a una scelta insindacabile del malato, per cui la malattia
segua il suo corso naturale fino
all’inesorabile conclusione. Si è trattato del
riconoscimento dell’inesistenza di un dovere individuale alla salute, per cui
il paziente sia obbligato ad accettare terapie anche vitali.
Imporre un trattamento medico senza il quale il
paziente possa morire, ma da questi sia stato rifiutato in maniera libera e
informata, viola la sua integrità fisica e il suo diritto alla vita privata. Il
diritto di scegliere di morire rifiutando un trattamento sanitario non si fonda
su un diritto ad accelerare la morte, ma sul diritto all'integrità del corpo e
a non subire interventi invasivi indesiderati. Poter morire, assecondando un esito naturale.
I tutori delle persone in stato
vegetativo permanente e le relative associazioni possono lamentare, in merito
al caso Englaro, violazione del diritto europeo e internazionale?
Alla fine del 2008 sei cittadini
italiani (persone in stato vegetativo rappresentate dai loro rispettivi tutori)
e sette associazioni italiane di parenti e amici di persone gravemente disabili
(con medici, psicologi, avvocati al seguito) avevano presentato 8 ricorsi
presso la Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo. In essi - affermando
che i provvedimenti dei giudici italiani sul caso Englaro colpivano eticamente,
psicologicamente, socialmente e giuridicamente le persone affette da gravi
lesioni cerebrali – avevano accusato i magistrati italiani di aver provocato danni
gravi e ingiusti, di aver gravemente discriminato le persone disabili, di
averle lasciate alla mercè di terzi che potevano liberamente decidere della
loro vita e di aver, quindi, violato la loro dignità umana. Secondo i
ricorrenti, quindi, la Cassazione e la Corte d’Appello di Milano avevano violato
gli articoli 2 e 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti
umani (diritto alla vita e divieto di tortura), l’art. 6 della medesima Convenzione
per l’iniquità che aveva caratterizzato il processo italiano (i giudici avrebbero
dovuto avviare una nuova indagine sull’irreversibilità dello stato vegetativo
di Eluana), gli articoli 5, 6 e 7 della Convenzione di Oviedo (consenso libero
e informato e tutela delle persone incapaci o con disturbi mentali) e infine l’art.
25 della Convenzione Onu sui diritti dei disabili (diritto alla salute).
Tuttavia, la Corte di Strasburgo
ha dichiarato irricevibili tutti i ricorsi. Non solo la Corte ha ritenuto
assolutamente equa la procedura tenuta
dai giudici italiani, ma ha escluso che i ricorrenti potessero essere
considerati vittime dirette o potenziali di una violazione della Convenzione
europea, non avendo alcun legame con la famiglia Englaro, né avendo
agito per conto di Eluana. Inoltre, non erano stati direttamente coinvolti nel
processo Englaro, che ha invece riguardato solo le
parti costituite in giudizio e solo i fatti oggetto di giudizio.
Per quanto riguarda i
singoli cittadini italiani, pur avendo essi espresso – attraverso i loro legali
rappresentanti – una chiara opposizione a ogni procedura di interruzione dell’alimentazione
e dell’idratazione artificiali, hanno ignorato che la Corte Appello Milano non aveva
imposto un qualsivoglia ordine di interrompere l’alimentazione e l’idratazione
artificiale di Eluana, ma aveva solo dichiarato legittima la richiesta di
autorizzazione del padre-tutore. Inoltre, non avendo fornito alcuna prova
ragionevole e convincente sulla possibilità che avessero personalmente subìto una
violazione nei loro diritti, hanno avanzato solo semplici sospetti o
congetture. Le decisioni di cui essi temevano gli effetti sono state adottate
dalla Cassazione e dalla Corte d’Appello di Milano con riguardo a circostanze
concrete e particolari, relative a una terza persona: se i giudici italiani
fossero stati chiamati a pronunciarsi sul loro caso, avrebbero considerato i
pareri medici e la loro volontà in difesa del diritto di vivere, secondo gli
stessi criteri adottati per Eluana Englaro.
Per quanto riguarda,
invece, le associazioni italiane, non solo non sono state direttamente toccate
dai provvedimenti della giustizia italiana, ma hanno potuto continuare a
perseguire i loro obiettivi, visto che il decreto della Corte d’Appello di
Milano non aveva alcuna ricaduta sulle loro attività.
Infine, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo ha statuito
il seguente principio di diritto: imporre un trattamento medico senza il consenso del tutore
di un paziente giuridicamente incapace è un’offesa all’integrità fisica
dell’interessato che può compromettere diritti protetti.
Quale massima bisogna trarre dal caso
Englaro?
Chi versa in stato vegetativo permanente è
persona in senso pieno, che deve essere rispettata e tutelata nei suoi diritti
fondamentali, a partire dai diritti alla vita e alle prestazioni sanitarie, a
maggior ragione perché in condizioni di estrema debolezza e non in grado di
provvedervi autonomamente. L’estrema tragicità di tale stato - che nulla toglie
alla dignità di essere umano di chi ne è vittima - non giustifica in alcun modo
un affievolimento delle cure e del sostegno solidale che il Servizio sanitario
deve continuare a offrire e che il malato ha diritto di pretendere fino al
sopraggiungere della morte. La comunità deve mettere a disposizione di chi ne
ha bisogno e lo richiede tutte le migliori cure e i presidi che la medicina è
in grado di apprestare per affrontare la lotta per restare in vita, a
prescindere da quanto la vita sia precaria e da quanta speranza vi sia di
recuperare le funzioni cognitive.
Tuttavia - accanto a chi ritiene che sia
nel proprio miglior interesse essere tenuto in vita artificialmente il più a
lungo possibile, anche privo di coscienza - c'è chi, legando indissolubilmente
la propria dignità alla vita di esperienza e alla coscienza, ritiene che sia
assolutamente contrario ai propri convincimenti sopravvivere indefinitamente in
una condizione di vita priva della percezione del mondo esterno. Uno Stato come
il nostro, organizzato, per fondamentali scelte vergate nella Carta
costituzionale, sul pluralismo dei valori, e che mette al centro del rapporto
tra paziente e medico il principio di autodeterminazione e la libertà di
scelta, non può che rispettare anche quest'ultima scelta. All'individuo che,
prima di cadere nello stato di totale incoscienza tipica dello stato vegetativo
permanente, abbia manifestato - espressamente o anche attraverso i propri
convincimenti, stili di vita e valori di riferimento - l'inaccettabilità per sé
dell'idea di un corpo destinato con le terapie mediche a sopravvivere alla
mente, l'ordinamento dà la possibilità di far sentire la propria voce in merito
alla disattivazione di quel trattamento attraverso un rappresentante legale.
Son sempre stata d'accordo con le posizioni del sig. Englaro; se mio figlio dovesse trovarsi nella situazione di Eluana, mi comporterei come lui. Inoltre ho compilato il modulo della Fondazione Veronesi "testamento biologico", per rendere ben chiare le mie volontà in caso mi trovassi a non poter esprimere il mio parere su eventuali cure inutili.
RispondiEliminaSpero non ti offenderai,ma secondo me sei stato 1pò troppo prolisso nel tuo commento,inoltre il riferimento ad un impossibile ripensamento della Eluana, mi sembra 1pò arbitrario, visto che in caso di malattia la gente cambia molto, ne so qualcosa perchè giornalmente a contatto con malati.
Certo, in questo caso, non potendo il padre sapere di eventuali cambi di opinione, non poteva far altro che attenersi ai desideri espressi dalla figlia prima dell'incidente. Ciao